A cosa servono i pettini, oltre che a sciogliere nodi?
La risposta al collezionsmo di pettini sta nella creatività degli artisti, da quelli Etruschi a Füssli, Man Ray, Picasso, Dalì, Calder…
Pettinarsi è gesto antichissimo ed evocativo: nelle sepolture nilotiche di Naqada sono stati ritrovati pettini del 4000 a.C; dalle necropoli etrusche sono emersi veri e propri beauty case femminili con spilloni, pennellini, limette per unghie e pettini decorati con scene tratte dai miti o di vita quotidiana, perché per presentarsi alle divinità nell’Aldilà si doveva essere perfetti. Nel mondo romano in varie epigrafi si allude all’arte del pettine del pectinator e della ornatrix, cioè gli antichi coiffeur, ed ecco i consigli da magister del capello di Ovidio nella sua Ars Amandi: “Ogni donna scelga davanti allo specchio la pettinatura che più le dona. C’è chi preferisce i capelli inanellati, chi stretti alle tempie; chi acconciati finemente, con mille pettini, chi sciolti in grandi onde”.
Al momento dell’eruzione nel 97 d.C. spille ornamentali per capelli, forcine, diademi erano corredo delle dominae di Pompei, per completare anche con apporti posticci monumentali acconciature che costituiscono un preciso antecedente a quelle chilometriche parrucche di massimo successo sotto Re Sole, Luigi XIV, e i suoi successori fra XVII e XVIII secolo. Huizinga, nel suo Homo ludens, le definisce come “la cosa più barocca di tutto il barocco”.
Niente a che fare con il pettine estratto fulmineamente dalla tasca dei jeans come fosse una pistola, per accismare i ciuffi imbrillantati nella forma “a banana”, reso epico da Elvis o dal suo emulo Fonzie di Happy Days; ma durante l’apoteosi della parrucca alla corte di Francia era popolare la pratica, tutta al maschile, di portare velocemente un pettine per agghindare un boccolo fuori posto, sistemare forcine e fermagli per assestare le enormi acconciature. Fatti di prezioso avorio, di guscio di tartaruga oppure del meno prestigioso corno o legno di bosso, i pettini diventano un importante accessorio della società maschile attenta alle mode. Non è dunque fuori luogo immaginare che il pettine sarebbe diventato realmente un accessorio decorativo da infilare nei capelli dopo questa fase eccentrica, e questo ha probabilmente spinto “i designer” della seconda metà del XVIII secolo a sviluppare pettini con denti più lunghi per assicurare una salda tenuta e con una decorazione che fosse ben visibile al di sopra dell’acconciatura.
Giuseppina Beauharnais, la prima moglie di Napoleone, ha dato il proprio nome a un “brand” di ornamenti per capelli denominato appunto “Giuseppina”. Nel sogno imperiale della Grandeur napoleonica, Giuseppina fa creare parure di aghi crinali, tiare e pettini decorativi che presentino le antiche glorie di Roma, cammei incisi nella madreperla di conchiglie dai gioiellieri francesi Nitot, Mellerio-Meller Pitaux, con prototipi classici e rinascimentali o vedute di Roma imperiale.
Particolarmente pregiate quelle in micromosaico, una tecnica lenticolare con cui Giacomo Raffaelli, attivo all’epoca presso lo Studio Vaticano del Mosaico e successivamente fondatore di una scuola del Mosaico a Milano, costruiva le figurazioni neoclassiche con tessere di smalto filato inferiori al millimetro. Eccone qui sotto un esempio, appartenente alla collezione di quasi duemila pettini ornamentali raccolta da Gabriella e Giorgio Antonini in tutto il mondo a partire dagli anni Sessanta, donata nel 2016 al Musec di Lugano, il Museo svizzero delle Culture.
Nella temperie classico-romantica, i fasti della haute couture pettiniera cara alla corte francese rivivono nelle architetture tricofile di Johann Heinrich Füssli pittore di incubi ma anche di leggiadre pettinature muliebri. Nel 1862 all’ Esposizione Universale il chimico inglese Alexander Parkespresenta la parkesina, la prima plastica artificiale, mentre di poco successiva è la celluloide, da un’idea del tipografo americano John Wesley Hyatt: un materiale versatile, innovativo e poco costoso che sostituiva l’avorio e la tarturga, dando così vita più lunga a queste specie animali. I pettini diventano prodotti di massa e i prodotti sintetici simulano i nobili materiali naturali. Davanti al fenomeno della massificazione e della galoppante industrializzazione il Liberty si oppone con il pettine di “design”; grazie ai disegni raffinati di artisti e gioiellieri si sviluppano creazioni di pettini unici, per la prima volta firmati come quelli di René Lalique.
Questo pettinino di corno è altamente rappresentativo della rivoluzione che Lalique ha realizzato progettando gioielli che utilizzavano materiali meno pregiati rispetto ad avorio e tartaruga; ma qui Lalique mutua anche gli elementi iconografici giapponesi nella sintesi di delicatezza ed essenzialità del paesaggio di alberi al crepuscolo, e l’idea di natura “fluttuante”del mondo ukiyo-e flette le sue curve nello stile liberty .
Nessuno meglio dell’inglese Aubrey Beardsley (1872-1898) si fece interprete del nipponismo, creando una serie di illustrazioni realizzate ad inchiostro, con netti contrasti tra campiture nere e bianche, tra raffinati dettagli e linee pure per la Salomé di Oscar Wilde, come per la propria irriverente favola erotica Under the Hill- Sotto il monte di Venere e Tannhäuser, dove si assiste alla pettinatura di Venere: “Davanti a una toilette che scintillava come l’altare di Notre Dame des Victoires, sedeva Venere in una minuscola veste da camera nera e eliotropo. Cosmè, il parrucchiere, curava la sua chioma profumata, e con sottili mollette d’argento, calde delle carezze della fiamma, modellava deliziosi, intelligenti riccioli che ricadevano leggeri come un soffio sulla fronte e sulle sopracciglia, e si ammassavano come viticci attorno al collo”.
Delle acconciature delle donne giapponesi, della loro leggiadra bellezza, arrivano in Europa i celebri bi- jin-ga , Studi di donna di Kitagawa Utamaro e di Utagawa Hiroshige. Non solo viene resa la bellezza, ma anche l’acconciatura, gli ornamenti e gli accessori impiegati. L’incanto della donna nipponica era affidata proprio al lucido capello corvino raccolto in chignon, che poteva essere alto oppure a forma di scatola, o con alette modellate con la cera che scendevano ai lati del volto. Fondamentale il pettine detto kushi, unico ornamento permesso a uno o due denti, alcuni con piccoli sonagli tintinnanti o i kanzashi floreali che dovevano esaltare il corvino dei crini.
Non è un capello ma un crine di cavallo
Guarda caso, un pettine è uno dei primi Readymade di Duchamp del 1916 (riproposto nel 1963 e 1964), che così lo descrive: “Un pettine in acciaio datato all’ora esatta della sua creazione e completo di un’enigmatica iscrizione lungo il suo bordo stretto”.
[Qui il documento in cui Marcel Duchamp spiegò per la prima volta il ready-made, ndr]
Il suo Comb (Peigne) forse èuno strumento di tolettatura in acciaio per cani, o per bovini con la scritta “3 ou 4 gouttes de hauteur n´ont rien a faire avec la sauvagerie” (“Tre o quattro gocce di altezza [o superbia] non hanno a che fare con la ferocia [la barbarie]”), di certo anche questo di difficile interpretazione.
Per descrivere il lavoro di Alexander Calder, Marcel Duchamp conia nel 1931 il termine “mobile”. Piegare e torcere il filo per creare “disegni nello spazio “tridimensionali: è innovativo il metodo ideato da Calder, che negli anni ’30 e ’40 crea una serie di pettini-mobiles. Forme astratte realizzate con materiali industriali, spesso poetiche e aggraziate, che pendono in un misterioso, perfetto equilibrio. Si potrebbero riprendere le parole di Arthur Miller per descrivere questi pettini volatili che sembrano “fluttuare sopra le nostre teste come stormi di uccelli, cose per prendere la luce, per svolazzare con il vento”.
Nella donna con l’orologio di Picasso, del 1936, la figura femminile è liquefatta e scomposta, ricomposta e acconciata; tutto avviene in un tempo che non ha un prima o un dopo, ma le dimensioni temporali si assommano: lei è accosciata su un cuscino, seduta di fronte a uno specchio col pettine davanti, mentre rami di forsizia creano un cerchietto per trattenere i capelli ondosi e intrecciati. Pur nel richiamo abbastanza evidente, il gioco non è quello della Donna che si pettina attribuita a Tiziano nel Museo de la Ceramica di Barcellona (una variante della Donna allo specchio al Louvre) del 1515. Tutto nell’opera di Tiziano gira attorno a quegli specchi “ardenti”: da quello concavo, da magie, alle spalle della donna, allo specchio tenuto dall’uomo davanti al volto; un intenso gioco di riflessi fra sguardi e seduzione, nato da quei crini voluttuosamente discriminati e pettinati. Ma cosa riflette lo specchio posato sulle gambe della giovane dipinta da Picasso ? La capigliatura nera annodata in una treccia, il seno dal capezzolo linguacciuto? Il sesso di ebano? Risuonano le parole di una canzone di Lucio Dalla in Disperato erotico stomp: “Ti hanno visto alzare la sottana fino al pelo: che nero”. In Picasso domina un gioco di assommarsi di tempi, non la cronologia, vive una quarta dimensione, quella di un tempo molle come quello del pettine-cucchiaino di Dalì.
Dalì realizzò gli orologi molli della Persistenza della memoria nel 1931, in sole due ore, ispirato dall’”ipermollezza” del formaggio che stava consumando a tavola, trovando una formula visiva per la teoria einsteiniana sulla relatività del tempo. Nel suo dentato Montre petite cuillère, Cucchiaino orologio, del 1937, i denti del pettine s’incurvano mollemente richiamando quelli degli ingranaggi di un orologio. Si flettono, si fanno onda, emblemi della persistenza di una memoria al femminile. “Sedete per due ore in compagnia di una bella ragazza e vi sembrerà sia passato un minuto”: così Einstein aveva reso popolare la teoria della relatività in un ‘intervista sul New York Times nel 1935 e Dalì risponde con il suo molle orologio crestato.
Come è perfetto l’ovale della Ragazza con pettine tra i capelli di Kazimir Malevic. Nei ritratti eseguiti negli anni ’30 l’ ideatore del suprematismo, costretto dai burocrati a conformarsi ai canoni del realismo socialista, mette in scena un linguaggio nato dal suo amore per i pittori del Rinascimento italiano. Ne nasce un “SupraRinascimento”, basti osservare il suo Autoritratto del 1933 ispirato al ritratto di Colombo realizzato dal Ghirlandaio.
[Qui il nostro testo su Kasimir Malevich e il suo libro “La pigrizia come verità effettiva dell’uomo”, ndr]
Il suprematismo non è stato assolutamente dimenticato nella Ragazza con il pettine di Malevic; qui la non-oggettività si fonde con la figura, in uno spazio nuovamente dominato dalle partiture di colore antinaturalista. La funzione del pettine, un oggetto così socialmente comune, taglia con una linea la chioma della figura femminile, come un braccio della croce taglia l’aureola di capelli, in un intreccio fra rimandi all’iconografia sacra e astrazione cromatica di pura ascendenza suprematista. Il volto così puro della donna è vicino all’astratto nitore della Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, come pure al Ritratto di giovane del 1564 di Lucas Cranach che tanto influenzò Picasso.
Nel suo Portrait de jeune fille d’après Cranach le Jeune del 1958, l’ipertrofia di spilloni, pettini e fermagli appuntati sui capelli della figura femminile rovescia la sobria partitura formale di Malevic in barocca apoteosi di un ornamento votato a esaltare la fugace bellezza delle chiome. Dalle antiche necropoli alle sperimentazioni dell’arte contemporanea, si può dire che il fascino effimero ma duraturo del pettine non abbia mai smesso di suggestionare gli artisti.
Bibliografia
- Pettini e ornamenti da testa. Moda e costume dal XVI al XX secolo La Collezione Antonini, Silvana Editoriale, Milano 2020
- Calvin Tompkins– Duchamp: A Biographie , ed. MoMA, New York, 2014
- René Lalique, AA. VV., castalogo della mostra al Museo Gulbenkian Gallery di Lisbona, 2008
- Malevič a Bergamo, Eugenia Petrova e Giacinto Di Pietrantonio (a cura di), Catalogo GAmm-Giunti, Firenze2015
July 31, 2020