L’avanguardia quotidiana di Gustave Van de Woestyne
Simbolismo e quotidianità si fondono nell’opera di Gustave Van De Woestyne, un modernista che ha saputo rendere contemporanea la vita pia e rurale.
L’opera di Gustave Van de Woestyne (1881 – 1947) dovrebbe essere collocata nel contesto della generosa produzione artistica che ha contraddistinto Gand e la campagna circostante all’inizio del XX secolo. Gli artisti che lì operavano in quel periodo divennero celebri anche fuori dal loro paese per il modo in cui si univano alle tendenze avanguardiste dell’Europa occidentale, dipingendo scene umili e quotidiane di vita rurale. Il gruppo di artisti che ha costituito la prima “Scuola di Latem” – attiva nel piccolo villaggio di Sint-Martens-Latem – è stata in questo senso fondamentale.
Più che di un’entità autoproclamatasi, si è trattato di un conglomerato ibrido di artisti vagamente affiliati all’Accademia di Gand e guidati da Karel Van de Woestyne (1878 – 1929), il poeta che ha portato il simbolismo francese in Belgio e lo ha associato alla ricerca del distacco, della trascendenza e dell’assoluto. Gli artisti visivi di questa comunità preferivano il realismo all’impressionismo, raffigurando la semplicità della vita contadina in simbiosi con i ritmi ciclici della natura. Spesso definiti ‘simbolisti mistici’, artisti come lo scultore George Minne e i pittori Albijn Van den Abeele e Valerius De Saedeleer sono riusciti a infondere a questo soggetto apparentemente semplice un sottofondo criptico ed esoterico, catturando l’infinità quasi divina della natura.
Il fratello minore di Karel Van de Woestyne, Gustave Van de Woestyne, aspirava, in questo contesto, a fare carriera come pittore. A causa della morte prematura del padre i due fratelli avevano sviluppato un legame intimo, che poi si protrasse per tutta la vita. La vita di Gustave Van de Woestyne è facilmente rintracciabile attraverso i numerosi racconti che egli stesso ha scritto, e in particolare le sue memorie, che sottolineano il rapporto con il fratello, a suo dire il suo miglior critico.
[Anche Vincent van Gogh instaurò un rapporto speciale con il fratello Theo. Qui il link alla nostra traduzione in inglese della lettera scritta da Vincent a Theo poco prima della morte. Ndr.]
Come Karel, anche Gustave organizzava la sua vita e la sua arte intorno a profonde riflessioni filosofiche. Già in giovane età si preoccupava molto delle questioni esistenziali, che si amplificavano rapidamente con la religione. L’artista ha fatto diversi tentativi di condurre vita clericale, ma era troppo spinto dal desiderio creativo per dedicare la sua esistenza esclusivamente alla chiesa. Ha invece inteso la tavolozza pittorica come strumento per diffondere la parola di Dio dispiegando sottili colori terreni per rappresentare valori cattolici come semplicità e umiltà, amore di Dio, rispetto per tutte le creature, sofferenza umana, speranza. Gustave Van de Woestyne riconosceva l’atto di Dio in ogni gesto umano, in ogni manifestazione naturale; è una sincera ammirazione che si irradia in tutta la sua opera.
L’artista ha incarnato questa dedizione spirituale con una posizione aperta sul mondo. Il suo corpus di opere, eclettico, è informato dalla sua ricettività per gli sviluppi del Modernismo. I molti viaggi a Parigi lo hanno messo a confronto con le sfumature delle novità artistiche d’avanguardia presenti nell’opera di artisti come Rousseau, Picasso o Modigliani. Questi sviluppi stilistici sono stati incorporati nella sua stessa pratica – accanto ai riferimenti ai primitivi fiamminghi e ai Brueghel -, generando un’estetica allegorica non convenzionale, non facile da afferrare; ma che gli ha permesso di emergere.
L’opera di Gustave Van de Woestyne è spesso classificata secondo distinti motivi ricorrenti, descritti dal fratello ‘gruppi morali’: ritratti di contadini, scene religiose ed esperienze interiori profondamente personali: un percorso tripartito che è stato fortemente influenzato dal breve periodo trascorso dall’artista in seno all’ordine cistercense. Gustave Van de Woestyne visualizzava con grande dignità la vita austera dei contadini, onorando il loro senso di responsabilità attraverso i caratteristici ritratti di volti contorti dalle difficoltà della vita. Ma mentre queste evocazioni alludono all’opera universale ed eterna del creatore divino, le sue scene esplicitamente religiose trasmettono la sua personale sofferenza. Cristo e Maria diventano protagonisti della sua espressione di dolore, direttamente tradotta in un gruppo di opere accusate di blasfemia, anche se lo stesso Van de Woestyne ha continuato a difenderle, considerandole le sue migliori.
A metà degli anni Venti, dopo due decenni di immagini e soggetti di grande intensità, Gustave Van de Woestyne ha trovato conforto nel ritrarre sua moglie Prudence De Schepper. La loro traiettoria intima prendeva forma come un viaggio quasi sacro: dalle osservazioni enfatiche sugli stati d’animo della compagna, alle toccanti rappresentazioni di lei con loro figlio. Nel complesso, l’introspezione e l’autoanalisi di Van de Woestyne attraversa tutto il suo lavoro, proprio come l’artista che osserva e commenta il proprio posto nel mondo. La sua sterminata produzione di autoritratti ne è la testimonianza più importante.
Gustave Van de Woestyne era un artista impegnato, che lavorava costantemente alla sua carriera e alla sua rete di benefattori e di colleghi artisti. Durante la prima guerra mondiale si è stabilito con la sua famiglia in Gran Bretagna, dove ha conosciuto l’uomo d’affari e collezionista d’arte Jacob de Graaff, che avrebbe poi continuato a sostenere lui e gli altri artisti della Scuola di Latem. Al suo ritorno si era già guadagnato una solida posizione nel panorama artistico belga. Nel 1913 David e Alice van Buuren, mecenati d’arte di Bruxelles, hanno acquisito la loro prima opera di Van de Woestyne, segnando l’inizio di un rapporto di lunga data, un tipo di rapporto che i coniugi hanno poi mantenuto con molti altri artisti. La loro casa di Ukkel (oggi un museo privato) è colma di opere di James Ensor, Henri Fantin-Latour, Paul Signac, Jean Brusselmans e Frits Van den Berghe. Tra il 1928 e il 1931 hanno commissionato a Gustave Van de Woestyne sette nature morte per la loro sala da pranzo, inserita nell’architettura modernista della casa. Nel tempo la coppia ha raccolto una consistente collezione di opere di Van de Woestyne, 32 in tutto. La famiglia van Buuren è dunque stata fondamentale per la conservazione e per la trasmissione dell’opera dell’artista.
Quando il fratello, e mentore, nel 1929 è passato a miglior vita, Gustave Van de Woestyne ha assunto la direzione dell’Accademia di Belle Arti di Mechelen, insegnando anche ad Anversa e a Bruxelles. Anche se queste prestigiose cariche hanno effetivamente confermato la sua statura di artista, Van de Woestyne le ha anche vissute come un limite per la propria creatività. Ha continuato a dipingere fino alla morte, anche se meno intensamente di prima. La sua tavolozza è via via diventata più neutra e umile. Le scene di serena cristianità sono tornate a essere protagoniste, esprimendo l’energia decrescente degli anni della vecchiaia.
[In questi giorni una mostra al Museo di Belle Arti di Gand celebra l’opera di Gustave Van de Woestyne. Ndr.]
August 31, 2020