Chalisée Naamani non pinxit
Le installazioni pittoriche di Chalisée Naamani espongono ciò che la circonda oggi: la moda del giorno, che non è necessariamente di moda
Tutti sappiamo che sul fondo dell’oceano di Youtube capita di trovare perle rarissime. Tra queste c’è senz’altro la prolusione tenuta dallo stilista Roberto Cavalli all’Università di Oxford qualche anno fa. Tipico esempio delle miscele infelici che solo il web può genereare, Cavalli e Oxford presi insieme sono in effetti un composto piuttosto difficile da digerire. L’istituzione britannica cannibalizza il campione della moda trasformandolo in una macchietta da sacrificare alla prima occasione buona sull’altare della cultura ‘alta’. Per giunta il contesto iper-formale offre allo stilista l’occasione di dare il peggio di sé. Così Cavalli diventa intrattenimento massmediatico da lacrime agli occhi, degno del programma televisivo più sfacciatamente economico, oltretutto consegnato in un pessimo inglese, senza la benché minima traccia di consapevolezza. Una nota dell’artista Chalisée Naamani (nata a Parigi nel 1995) ci ricorda che la moda dovrebbe essere presa più seriamente di così. Ci ricorda che le implicazioni sociologiche ed ecologiche dell’industria rendono le cose meno insensate di quanto non sia stato Cavalli a Oxford. Vediamo quale ruolo questi fattori giocano nelle sue opere d’arte.
Pertanto, lasciamo pure che i fan di Zoolander e Bruno si divertano se lo desiderano, ma le questioni riguardo all’industria sollevate da Chalisée Naamani sono questioni aperte. Nonostante la passione che nutre per gli abiti, la giovane artista parigina dice di non aver mai voluto associare il suo nome a quello di brand. Il suo punto di vista sulla moda è infatti critico, e abbraccia posizioni che risultano allo stesso tempo spiccatamente politiche e squisitamente personali. Aggiunge Chalisée Naamani: “ho sempre sognato di vestire gli uomini. La moda ha contribuito all’emancipazione delle donne, ma per raggiungere pienamente questo obiettivo sono convinta che sia la moda maschile a dover cambiare”. E poi: “Dati i problemi ecologici che abbiamo, l’industria della moda, che è una delle più inquinanti, ha un’enorme responsabilità. Personalmente prendo questo tema molto seriamente”.
Ha toni decisi, ma non arrabbiati. Chalisée Naamani non gioca il ruolo della moralizzatrice scontrosa. Dopo tutto, come si può colpire davvero qualcosa che si ama? Chalisée Naamani racconta come la collezione di tappeti persiani dei suoi genitori – iraniani a Parigi – sia stata per lei una vera un’iniziazione all’universo dei tessili. Dice di essere cresciuta nella cultura del “vestire bene”, dove ogni occasione di uscir di casa, anche la più banale, richiedeva abiti specifici. “Ricordo che quando ero bambina tutti intorno a me pensavano che sarei diventata una designer di moda. Era diventato quasi ovvio; così ho cambiato strada”.
Chi lavora con le arti applicate è spesso sorpreso, o addirittura spaventato dalla libertà concessa agli artisti visivi. Qualcuno ritiene che proprio questa libertà – lontana da leggi, consegne precise, stagioni da rispettare, funzionalità specifiche – sia la vera differenza tra arte e arte applicata. La libertà sarebbe ciò che rende un’opera d’arte quel che è. Chalisée Naamani non è di quest’avviso. Rispetto a questo principio va apertamente controcorrente, e per far ciò si appella al concetto di ‘presentazione’: un capo d’abbigliamento può diventare un quadro se presentato in un certo modo. Ma cosa intende esattamente Chalisée Naamani per ‘presentazione’? L’idea ha a che fare con la composizione, con la pittura e con certi riferimenti proibiti.
Chalisée Naamani ha studiato alle prestigiose Beaux-Arts di Parigi. Si è appena diplomata all’atelier di pittura, anche se è stata l’unica a non aver mai dipinto. Non ci sono tele nella sua pratica artistica, che tuttavia lei considera assolutamente pittorica. Non c’è nessun paradosso qui, ma la consapevolezza che la pittura può anche significare attenzione alla composizione, o la creazione di un pezzo unico lontano dalla serialità della moda. Le sue installazioni sono formalmente equilibrate, a dispetto del loro massimalismo. Hanno quell’aura di unicità che è permessa solo alle arti plastiche, forse quella stessa unicità che si avverte in certi pittori assoluti. Come confessa l’artista: “Picasso e Bonnard sono riferimenti importanti per me. A scuola mi erano proibiti, ma i loro quadri mi hanno seguito durante l’adolescenza, nella costruzione del mio sguardo e della mia sensibilità artistica. Quando ho scoperto che Picasso descriveva la pittura di Bonnard come “un miscuglio di indecisioni” ho capito la loro differenza, ma anche perché ero così attratta dal lavoro di entrambi”.
Accanto alla moda, le installazioni pittoriche di Chalisée Naamani sono piene di fotografie che non sono fotografia. Anche qui nessun paradosso però, solo ulteriore materiale per il processo di presentazione descritto sopra. Attraverso la fotografia, la moda diventa di moda, ma non con miope senso hype. Si tratta piuttosto di esporre ciò che circonda l’artista: ovvero la moda del giorno, che non è necessariamente di moda. Nelle parole dell’artista, le fotografie sono lì per portare la cultura visiva in cui l’artista “evolve”, passando dai dipinti rinascimentali a Kanye West, per unirsi ai venditori ambulanti sotto la Torre Eiffel.
Come dice Cinzia Ruggeri negli anni ’80 esponendo una serie di abiti appena disegnati, “l’unico modo per sopravvivere è non avere un’identità temporale”. Queste parole risuonano nello sforzo di Chalisée Naamani contro la stagionalità della moda: “Ho anche capito che i tessuti sono un vettore di memoria molto potente, come la fotografia. Nell’era del fast-fashion e dell’obsolescenza legata al consumo spinto al suo culmine, voglio offrire un valore duraturo ai miei pezzi”. Naamani pinxit.
[Qui il link al testo scritto su Cinzia Ruggeri da Dino Buzzati. Ndr].
[Una mostra personale di nuove opere di Chalisée Naamani apre l’8 aprile da Ciaccia Levi a Parigi. Ndr.]
February 13, 2021