HC: pensare con più di una mente
Chi o cos’è HC? “Il suo approccio umoristico si è rivelato uno strumento piuttosto efficace per creare situazioni inaspettate”
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Il nome HC inizia a circolare tra gli amanti d’arte contemporanea europei, buffamente, per merito dell’argot burocratico della VG Bild-Kunst—società tedesca che colleziona e ridistribuisce diritti d’autore. Anno 2017: Lukas Müller e Friedemann Heckel, fondatori del collettivo, preparano per lo stand della galleria Lucas Hirsch alla Fiera di Colonia una serie di repliche di alcune pioneristiche Trasparencies di Francis Picabia.
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In parte è una riflessione sulla circolazione delle immagini: il pittore francese aveva giustapposto riferimenti e motivi storici in composizioni realizzate tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento e i due tedeschi ne scaricano certe riproduzioni dalla rete – file a bassa risoluzione, quindi dai colori non fedeli, tagli dozzinali, dettagli sgranati – per produrre una serie di acquerelli.
HC, in sintesi, aggiunge un ulteriore strato all’arboreo gioco di citazioni e leitmotiv visivi adottati da Picabia, e rende omaggio alle tradizioni moderniste (e post-moderne) che hanno messo in discussione le idee, più o meno implicite, di autorialità quando si parla di creazione artistica elaborando tattiche estetico-critiche. Infine le Trasparencies hanno dato ai due artisti l’occasione per fondere gli stili e lavorare in tandem sulle stesse superfici.
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VG Bild-Kunst, però, è manichea: le categorie sono “originali” o “copie”, poco importa se copie non di Picabia, ma di file sul web. Invia una lettera cease and desist ad HC, che tuttavia riesce ad asserire la liceità dell’operazione, non senza l’aiuto di un avvocato specializzato in queste faccende.
“HC è la continuazione di un’amicizia iniziata ai tempi dell’adolescenza” raccontano Lukas e Friedemann “Quando abbiamo dato vita a HC, a Bruxelles nel 2016, l’abbiamo fatto riprendendo una conversazione interrotta mentre ancora studiavamo e vivevamo in città diverse. Una delle idee iniziali, che ha poi portato a un approccio collettivo, è stata quella di riunire di nuovo le nostre teste. E dato che pensare con più di una mente è un processo molto gratificante, di tanto in tanto includiamo qualcun’altro. Il collettivo è quindi un veicolo che ci permette di prendere in considerazione i lavori, le idee, e le creazioni degli altri, includendoli così nella nostra pratica dialogica. I collaboratori possono essere musicisti, grafici, scrittori, baristi, oppure altri artisti, o le loro opere, visitatori, oppure anche perfetti sconosciuti”.
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La collaborazione – nel senso più ampio del termine – sta al cuore della pratica artistica di HC: invitati a impadronirsi per una serata del Pogo Bar, parte del complesso KW di Berlino, costruiscono delle coppe “siamesi”, da cui si può bere solo in compagnia, se non si vuol non rovesciare a terra le bevande. Ripetono l’esperimento in una mostra da Galerie Thomas Fischer, e in questa occasione scattano istantanee alle coppie di partner, collaboratori o sodali mentre sorseggiano dai contenitori di argilla, che poi tradurranno in dipinti su legno in occasione di un’esibizione da Damien & The Love Guru, nel 2019.
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Il collettivo ha un’andatura a valanga. Accoglie di volta in volta il punto di vista di nuovi collaboratori, pur conservando il baricentro intorno ai due fondatori; porta con sé – da una tappa all’altra delle sue mostre/viaggio – intuizioni, procedure e interessi che durante il tragitto slittano più o meno radicalmente nell’esito formale:
“HC è iniziato in modo giocoso. Abbiamo tagliato a dadini le nostre iniziali. Quando gli altri hanno cominciato a prendere HC sul serio, il suo approccio umoristico si è rivelato uno strumento piuttosto efficace per creare situazioni inaspettate. Abbiamo iniziato a produrre non solo opere che fossero singolari, ma piuttosto ambienti partecipativi che invitavano i visitatori ad entrarvi. Diventavano parte del collettivo per il tempo della loro partecipazione. Le opere inclusive sono diventate più di un ponte tra le persone e i pensieri.”
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Altro filone che cova nella pratica di HC è quello della landscape painting: invitati a partecipare all’edizione 2019 di Art-O-Rama, i due dipingono nell’Airbnb che li ospita a Marsiglia – città dove la fiera si tiene annualmente – una serie di tele che catturano le albe marine della città francese, per poi disporle in una rigida sequenza sul muro, lasciandole specchiare l’una nell’altra.
Apparentemente semplice, l’operazione produce una serie di potenziali cortocircuiti: di nuovo l’opera “unica” e le infinite variazione su un tema; la preziosità del momento esperito intimamente al mattino e l’allusione alla ripetitività del tran tran abitudinario; l’immediata risposta a un ambiente che acuisce la sensibilità nella pratica della pittura en plein air e il sospetto di una SERP di Google Images con albe intercambiabili. (Un cortocircuito che ha implicazioni ancora più grandi se, come in un delizioso articolo di T.J. Clarke sulla relazione tra Cézanne e Pissarro intendiamo la “petite sensation” dalla quale – a dire dei due maestri – si genera la pittura, non come fatto soggettivo, ma come un irriducibile percettivo condiviso).
Cosa fosse la “petite sensation” rimaneva per loro un mistero. Questa era la grande cosa che la pittura doveva evidenziare. Sì, era ‘mia’; ma mentre tracciavo i segni reali che erano il mio vedere, arrivai a capire che in un certo senso non mi apparteneva affatto – o almeno al ‘me’ della mente, della soggettività. Essa, la ‘sensazione’, era il contatto – la struttura profonda del contatto – tra il senso e il circostante. Unico per ogni individuo, senza dubbio, ma pieno di una materialità, un’esposizione all’esterno, che metteva a rischio l’individualità.
– T.J. Clark, “Strange Apprentice” in The London Review of Books, Vol. 42 No.19, October 2020
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Ma l’assonanza più forte è quella con il senso di velocità di esecuzione e di aderenza a un luogo specifico: per HC i progetti nascono quasi sempre nel percorso verso la venue espositiva, nelle conversazioni con chi gli sta intorno durante il progetto, nei continui rimandi alla storia dell’arte che entra in dialogo con i lavori in maniera laterale, non sussiegosa o irriverente, ma come forma di riapertura di chiacchierate lasciate a metà tra diverse generazioni.
“Impariamo molto guardando chi è venuto prima di noi. Alcuni dei riferimenti agli artisti del passato avvengono per pura ammirazione (o divertimento). Crediamo che ci siano enormi quantità di pensieri e idee che si perdono nel tempo e la comprensione dell’arte da parte della gente si aggrappa fermamente a cliché molto superati. Troviamo importante sottolineare e mostrare certi traguardi raggiunti dai nostri predecessori. Specialmente quelli che stanno mettendo in discussione i modi in cui comprendiamo e riflettiamo sull’arte, e così ci sorprendono, con una prospettiva ribaltata, per esempio attraverso gli aspetti più narrativi del loro lavoro.”
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Può quindi accadere che personaggi di plastica dei cartoni animati entrino in panorami prealpini come attoniti ready-made incerti sul percorso da intraprendere, che il landscape sia composto da modellini in miniatura di piante, animali e abitazioni disposti verticalmente sulla vetrina di una galleria, o che un omaggio a Giovanni Segantini si trasformi nel progetto di un’obliqua “cover version” da realizzare in una breve permanenza su uno dei pezzi di montagna sovente ritratti dall’artista apolide. O almeno, di questo si è discusso bevendo un caffè in un gelido pomeriggio berlinese e, l’abbiamo capito, HC può trasformare radicalmente un’intuizione, just in time, seguendo le suggestioni che l’accompagnano da città in città.
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April 14, 2021