Larissa De Jesús Negrón, vie per un’illuminazione
“Le cose tendono ad accumularsi, e poi ti rimangono mucchi di ansia e di gelosia che non capisci”. A proposito di Larissa De Jesús Negrón
Cosa significa inseguire il sole? Vuole dire star dietro alla sorgente di tutto – luce, vita, crescita, morte – per cercare domande perdute e scottanti verità. Qui non ci sono abissi, nessun mostro contro cui lottare; ci sono desiderio, esposizione, affetto. Voler assorbire parte di quella chiarezza, prestare attenzione, e poi tornare a guardarsi dentro. Volontà di ridisegnare la soglia che separa il singolo dall’impossibilità della completa realizzazione, della pura comprensione – ripetutamente. Il lavoro di Larissa De Jesús Negrón e la sua ultima mostra personale, intitolata Detrás del Sol a Real Pain, derivano da questo tipo di aspirazione.
Nelle opere di Larissa De Jesús Negrón incarnazione e auto-riflessione sono mediate dal flusso della sua stessa coscienza, attraversando i limiti degli spazi fisici, siano essi una stanza o la tela. Il suo processo forza i confini del medium pittorico, portando in scena una riflessione non lineare sul concetto di distanza, nel tempo e nello spazio, che spesso si trasforma in una speculazione introspettiva.
Nonostante la mancanza di linearità dell’approccio, nella pratica di De Jesús Negrón raccontare storie è un aspetto centrale. La mondanità di una routine della bellezza, la cui ordinarietà scatena, in Invierno en Forest Hills (2021), un’esplosione di terrore, invece in Drowning in Expectations (2020) porta alla luce sentimenti di speranza e di una mal riposta fiducia in sé che appare intrisa di desiderio per ciò che è altro da sé. A un primo sguardo la quotidianità può sembrare un soggetto senza pretese. Ma nella natura ricorrente dell’abitudine, per come viene raffigurata da Larissa De Jesús Negrón, ci sono oscurità, possibilità di auto-riflessione e profonda comprensione.
Le cornici di un mobile da toilette, di una tenda da doccia, di una cassettiera, di una macchina in corsa, di un davanzale, diventano cornici temporali: finestre su una realtà differente; proiezioni evanescenti di un passato dislocato a livello geografico ma emozionalmente persistente. Nature morte di oggetti quotidiani e familiari si materializzano su tavoli-diventati-oceani che si affacciano sul paesaggio urbano di New York – come in Vida (2020) -, ma anche in lavandini e vasche da bagno piene d’acqua, ossia il locus prescelto da Larissa De Jesús Negrón per l’introspezione, l’autoanalisi e la spiritualità.
La prima volta che ha dipinto l’acqua, ricorda l’artista, è stato per rappresentare le lacrime. “Quando sei onesto con te stesso, o mentre preghi, o mentre parli fra te e te e capisci cose che ti riguardano, piangere è parte del gioco. Piangere è un modo per lasciar andare, e per andare oltre.” Il lavoro di Larissa De Jesús Negrón accoglie l’acqua come tema ricorrente, cercando di esprimerla nelle sue forme meno tangibili – vapore, nebbia, o nuvole – e simultaneamente la investiga in quanto entità scultorea. Con l’uso agile di una tecnica che combina la leggerezza dell’aerografo alla densità della pittura a olio, Larissa De Jesús Negrón gioca con texture e profondità, dissoluzione e cristallizzazione. Le gocce d’acqua diventano materia solida. Perle e sfere di cristallo vengono disseminate più volte sulle tele, come fossero residui fluttuanti di emozioni e intimità. Sono ricordi vividi di una rimpianto che semplicemente non vuole andarsene.
La narrazione che, nel suo complesso, sottende il lavoro di Larissa De Jesús Negrón si intreccia alla profonda nostalgia per il suo paese natale, Puerto Rico, e al modo in cui questa continua a influenzare la sua esperienza a New York. Ogni dipinto reca i ricordi della sua vita sull’isola, e parla della volontà di tornare ai suoi paesaggi, ai fiumi, alle spiagge, alle foreste pluviali, per riunirsi con la propria famiglia. “Anche quando non penso che un dipinto riguardi la mia infanzia, casa mia, oppure Puerto Rico, in effetti lo fa”, racconta l’artista. “Ogni volta che creo qualcosa sto parlando di casa.”
Larissa De Jesús Negrón è cresciuta a Guaynabo, una città sulla costa nord di Puerto Rico. Prima che iniziasse a dipingere le piaceva guardare sua zia disegnare e scarabocchiare – è stato il capire di poter “creare qualcosa dal nulla” ad aver suscitato il suo interesse per la disciplina. A nove anni ha iniziato a seguire corsi d’arte; allora dipingeva insieme al padre, solo per divertimento. “Voleva che imparassi a trovare un significato in qualsiasi cosa facessi – dice -, e certo questo mi ha spinta a continuare a creare.” Ciò che oggi alimenta il suo impulso produttivo è quella stessa ricerca di significato. Suo padre, in giro per casa, aveva anche “un mucchio” di stampe di Dalí. L’arte surrealista – nello specifico il lavoro di Frida Kahlo, Louise Bourgeois e Iván Tovar – per Larissa De Jesús Negrón ha rappresentato una precoce fonte di ispirazione estetica e concettuale.
Ma il suo amore per il Surrealismo è strettamente legato all’ammirazione per le sue capacità di “portarti al di fuori di qualunque cosa tu stia vivendo, portandoti allo stesso tempo al suo interno.” Al centro del movimento si trovava una dualità che, attraverso una rappresentazione ellittica della realtà e una perforazione violenta dell’inconscio, risuona con lo sguardo dell’artista sui confini fisici e psicologici, e sul trattamento pittorico che a essi riserva. Nei suoi lavori la prospettiva si sposta da primi piani al volo d’uccello, mentre si sviluppano tensioni tra interni ed esterni, conforto e desolazione, concreto e immaginario. La spaccatura tra ricordo e vita reale rivela la possibilità di esplorare idee di vicinanza e distanza nel tempo, per dipanare qualcosa di intrinsecamente conflittuale. Ovvero l’atto di porsi in relazione a memorie positive del passato, essendo consapevoli della desolazione del presente.
Ciò che riporta l’artista alla casa come argomento di indagine è il bisogno d’essere accettata. In Sick of Home (2021) i profili di un bagno si sovrappongono al dipinto della spiaggia di Arecibo. “Volevo solamente sentirmi in spiaggia, vivere di nuovo quel momento – solo un po’ più a lungo. Ma quando ho dipinto la spiaggia ho pensato: beh, non sono lì. Non è abbastanza onesto, o abbastanza presente. Non sto accettando la mia realtà. Ed è per questo che ho dipinto il bagno, lo spray Raid per gli scarafaggi… è questione di realtà.” Il lavoro si è sviluppato in questa direzione solo di recente, quando l’obbligo di stare a casa per via della quarantena ha amplificato un interesse pre-esistente verso la capacità degli spazi interni di plasmare il comportamento dei loro abitanti. All’inizio di questo periodo l’artista ha comprato un aerografo e ha prodotto una serie di ritratti di persone in lutto. “In ognuno di questi ritratti si vede la parte di me che cercava di imparare. Si vedono le sbavature, la macchina che si inceppa, il casino sulla carta. Li ho anche venduti a poco. Quaranta dollari l’uno […]. Me ne pento. C’è qualcosa in questi ritratti che non riuscirò mai a ricreare con l’aerografo, perché ora so come usarlo.”
Gli errori e gli incidenti sono fonte di entusiasmo per Larissa De Jesús Negrón, sebbene riconosca che, continuando a fare pratica, accadono sempre meno spesso. Il volume della sua produzione la porta inevitabilmente a cadere nella routine. Ciò che segue è la perdita della sensazione di avere uno scopo. “È la mia paura più grande – non sentirmi connessa al mio lavoro, non imparare qualcosa, o non scoprire qualcosa.” Quando questo succede l’artista cambia medium: “che sia argilla, gesso, pastello, o una nuova superficie, magari spostandomi sul legno o sulla tela se prima sto lavorando con la carta. Quando cambi medium hai nuove cose a cui pensare e nuove sfide da affrontare. È qualcosa che permette di mantenere vivo il lavoro. Nell’abitudine non c’è spazio per la scoperta.”
Se è vero che il suo antidoto preferito alla routine è la sperimentazione, la forza motrice dietro al lavoro di Larissa De Jesús Negrón è senz’altro la tecnica: i suoi programmi per il futuro ruotano attorno al medium, non al soggetto. Per l’artista il contrasto tra medium tridimensionali, come la pasta modellabile e i colori a olio stesi spessi, e il pigmento aereo, con la sua qualità immateriale, è diventato uno strumento cruciale per testare il potenziale della texture, espandere il lessico formale, e iniziare a raccontare una storia più ampia.
Dato che il focus della sua pratica – come conferma – è “sfacciatamente” sé stessa, sentirsi connessa alla propria identità (e connettersi con le persone attraverso quest’ultima) è l’unica condizione necessaria per continuare a lavorare. È anche quello da cui Larissa De Jesús Negrón trae motivazione. “Quando sento che il mio lavoro è in contatto con il modo in cui sono – la mia identità, le mie paure, i miei desideri – o a qualcosa che parla di me, questo mi carica. Mi fa continuare ad aver voglia di esplorare e capire.” L’arte è un’area in cui un certo tipo di apprendimento, autentico, profondo, può prendere forma, e per Larissa De Jesús Negrón è anche una pratica di guarigione e crescita interiore. Per lei, è un modo per “elaborare cose come l’invidia, la gelosia, l’odio – cose molto umane, che tutti noi abbiamo provato almeno una volta”.
Alcuni dei casi in cui lo sforzo per arrivare a comprendere i propri sentimenti, la ricerca dell’illuminazione, e il bisogno di cambiamento si manifestano sono I need you to fix me (2020), Fixing old habits (2021), Waiting for a rude awakening (2020). Tuttavia, quando è alla ricerca di risposte, l’artista si rivolge alla filosofia. Discutendo di questo ambito Larissa De Jesús Negrón nota come Philosophical Meditation (2020) sia un riferimento diretto al lavoro di Alain de Botton sull’educazione emotiva, e al suo libro intitolato The School of Life: An Emotional Education (2019).
Per Larissa De Jesús Negrón impegnarsi nella meditazione filosofica consiste nel trascorrere del tempo con sé stessi, ponendosi delle domande. Significa diventare ricettivi e acquisire l’abilità di affrontare da soli le prove della vita. Il punto è non evitare di vivere i sentimenti. “Non voglio ignorare ciò che provo, o non dedicargli abbastanza attenzione. Le cose tendono ad accumularsi e poi ti ritrovi con un sacco di ansia e di invidia che non riesci a comprendere.” Il parallelismo tra l’arte e il principio della meditazione filosofica risiede nel loro esito condiviso. “La filosofia mi permette di capirmi, proprio come il mio lavoro.” Forse, alla fine, la vita – non diversamente dall’arte – si fonda sulla gestione dei conflitti. “È una pratica così semplice”, osserva. “Ma solo attraverso la pratica si diventa consapevoli.”
May 18, 2021