Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari si consuma in provincia
Mentre l’Italia della politica cerca ancora di formare un governo, quella dei Beni Culturali celebra il maestro rinascimentale Gaudenzio Ferrari con una mostra tanto importante quanto innovativa.
Il ‘Rinascimento di Gaudenzio Ferrari‘ non è una mostra come tutte le altre. E’ vero, si parla di un artista eccezionale, ci sono opere d’arte straordinarie (oltre un centinaio) in prestito dai migliori musei del mondo, e la mostra esce dagli studi di due autorevoli storici dell’arte come Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, aiutati Gianni Romano, massimo esperto al mondo di Gaudenzio. Ma non è ‘solo’ per questo motivo che la mostra è già diventata una pietra miliare. Infatti, invece di accadere in un museo blasonato di una qualche capitale – come ci si aspetterebbe per un evento di questa portata – il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari si compie in un triangolo ideale i cui vertici sono tre piccole città come Novara, Vercelli e Varallo.
Stiamo parlano di meno di 160mila abitanti, e di un territorio prevalentemente agricolo, il cui quadro socio economico è profondamente diverso da quelle stesse capitali in cui, dopotutto, Gaudenzio avrebbe in teoria anche avuto diritto di rinascere. Si pensi non solo alla vicina Milano (che è poi vicina solo se si possiede un’auto), ma anche a Parigi, Berlino, Londra o perfino New York, che dal triangolo ‘gaudenziano’ sono ancora più lontane perché chi venendo dall’estero volesse visitare la mostra dovrebbe comunque atterrare a Milano e da qui noleggiare un’auto, oppure usare i mezzi pubblici (treno + autobus + taxi). Insomma, difficile sperare che i visitatori stranieri saranno alla fine più di qualche decina, anche tendo conto del fatto che siamo in primavera.
Nella Pinacoteca di Varallo i curatori hanno raccolto le opere giovanili dell’artista; a Vercelli, nell’ex Chiesa di San Marco, ci sono i dipinti della la maturità; presso il Complesso monumentale del Broletto di Novara si espongono agli anni ‘estremi’ di Gaudenzio, ovvero quelli dove l’artista era soprattutto attivo a Milano, dove ormai anziano passò a miglior vita nel 1546. Poi però ognuna delle tre tappe ospita straordinarie opere intrasportabili come le nove cappelle ordite da Gaudenzio per il Sacro Monte di Varallo o, ancora a Varallo, lo straordinario ciclo di affreschi dipinti per la Chiesa di Santa Maria delle Grazie; a Vercelli ci sono gli affreschi della Chiesa di San Cristoforo; A Novara c’è il polittico per la Cappella della Natività, presso la Basilica di San Gaudenzio. Ed è un dato di fatto che queste sono tutte opere fondamentali per l’autore, senz’altro le più importanti per impegno profuso, risultati ottenuti, e stato di conservazione. D’altra parte, queste sono tutte opere pubbliche, normalmente visitabili da chiunque senza pagare biglietto, in qualsiasi periodo dell’anno.
Quindi sorge la domanda. Posto che una mostra su Gaudenzio Ferrari è un passo fondamentale per la cultura artistica europea; posto anche che navigare il triangolo gaudenziano sarebbe in sé un’esperienza unica, piacevole e straordinariamente istruttiva per chiunque sia abituato al rito più o meno uguale nelle capitali del mondo della visita alla grande mostra nel grande museo; posto infine che nel mondo dell’arte contemporanea il pubblico affronta viaggi ben più complicati e costosi per vedere opere e autori molto, molto meno importanti. Ora la domanda è: era davvero questo il modo migliore per far risorgere Gaudenzio Ferrari? O, per usare le parole di Walter Barberis, membro del Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo, che con due pesi massimi come Fondazione CRT e Fondazione Cariplo ha sostenuto il progetto, era questo il modo migliore ‘per far scoprire all’ampio pubblico la grandezza di Gaudenzio Ferrari, pittore piemontese la cui parabola artistica non è ancora stata indagata adeguatamente’?
Va da sé che la risposta dipende dagli obiettivi che ci si era posti, ovvero principalmente quelli delle fondazioni bancarie e quelli dei Comuni che hanno partecipato all’evento, ma anche quelli degli storici dell’arte, che hanno avuto un’occasione di ricerca più unica che rara. Si tratta quindi di obiettivi di carattere puramente culturale, totalmente scevri dal mercato dell’arte – le opere in prestito da collezione private non sono più di una decina in tutto (nessuna da galleria), e non sono certo le opere più importanti. Ed ecco che, assumendo questa prospettiva, la risposta subito si complica. Certo, sarebbe stato più facile raggiungere il ‘grande pubblico’ di cui parla Barberis portando Gaudenzio Ferrari se non alla National Gallery o al Met, almeno a Milano, la più internazionale delle città italiane, a prescindere dai flussi turistici. E forse si può dire che gli abitanti di Novara, Vercelli e Varallo sono o dovrebbero essere proprio quelli che meglio conoscono Gaudenzio, visto che ce l’hanno in casa – in Italia si direbbe, qui piove sul bagnato. Ma è pur vero che cultura è, in fondo, non già quello che un singolo individuo sa di un certo argomento, ma quello che la società in cui vive sa di sé stessa. E di certo i cittadini del triangolo gaudenziano ora hanno a disposizione uno strumento di conoscenza di qualità indiscutibile. Gli altri, ovvero quelli che al triangolo andranno in un modo o nell’altro, scopriranno che il mare dell’arte è molto più ampio di quanto non appaia stando ancorati ai soliti nomi.
June 22, 2021