A casa di Le Corbusier
Siamo stati a Parigi, dove ha da poco aperto al pubblico la casa-studio dove Le Corbusier ha abitato dal 1934 al 1965. Qui il maestro ha sopratutto dipinto, al mattino.
«Una casa che è paradisiaca, perché ogni cosa è cielo e luce, spazio e semplicità». Così, Charles-Édouard Jeanneret-Gris, meglio noto con lo pseudonimo di Le Corbusier, descriveva il luogo in cui si era appena trasferito, nel 1934.
La casa studio di Le Corbusier apre al pubblico.
Il palazzo, l’Immeuble Molitorat al 24 di rue Nungesser et Coli – costruito tra il 1931 e il 1934 – gli era stato commissionato da un costruttore privato nel XVI arrondissement di Parigi. Ai confini con il parco di Boulogne, già allora era situato tra strutture sportive di grande modernità: come la piscina déco Molitor e il campo da tennis Roland Garros. Si trattava di un’occasione eccezionale per l’architetto – allora 44enne – di mettere in pratica in un contesto urbano i “Cinque punti dell’Architettura” del suo manifesto modernista, redatto nel 1927, gli stessi che avrebbe poi esplicitato nella monumentale Cité Radieuse a Marsiglia. Nel 2016 l’edificio parigino è stato inserito tra i 17 siti dell’architetto sparsi in 7 Paesi entrati a far parte del patrimonio Unesco e, a 84 anni dalla sua costruzione, l’appartamento ha aperto al pubblico alla fine dell’anno scorso, dopo due anni di restauro.
Le Corbusier, Yvonne e Pinceau.
Progettata assieme al cugino e business partner Pierre Jeanneret, la palazzina presentava pionieristicamente entrambe le facciate vetrate. Il piano originale prevedeva la divisione della superficie in 15 appartamenti e Le Corbusier negoziò per sé il settimo e ottavo piano. Si accollò così le spese del tetto-terrazzo per quella che divenne la casa di famiglia, dove si stabilì con la moglie Yvonne Gallis – conosciuta nel 1922 – la domestica e il cane Pinceau, lasciando l’affollato appartamento di Saint-Germain. In questo duplex di 240 metri poté ricavare il suo atelier, un luminoso spazio con una parete di mattoni a vista – «che mi parlano» diceva- sovrastata da grandi archi. All’estremo allestì uno studiolo, come una nicchia, dove si dedicava alla lettura e alla scrittura delle lettere. Accanto stava l’abitazione.
Sebbene l’architettura razionalista venga solitamente associata al bianco, cioè all’assenza di colore, non c’era nulla nel gusto di Le Corbusier che mostrasse un’intolleranza al colore, tutt’altro: è una grammatica articolata di cromatismi quella che definisce i volumi dell’appartamento. E la parete del salotto, tinteggiata di rosso scarlatto, pone uno gli accenti più caratteristici. È lì che l’architetto aveva inizialmente sistemato la sua poltrona, disegnata con Pierre Jeanneret e Charlotte Perriand. Rappresentava anche l’unico elemento di comfort, fino a che un divano fece il suo ingresso: «Grande evento questa mattina, abbiamo installato, non senza sforzo, un grande divano vicino al camino. E tutto ha cominciato a sembrare confortevole, come la casa di qualcuno» scriveva Charles-Édouard Jeanneret-Gris. «Yvonne ne è felicissima. Alla fine, possiamo goderci un caffè sul sofà. Prova che la strada per acquisire il diritto di entrare nella società borghese è lunga».
Un grande tavolo, trovato all’obitorio.
All’ultimo piano si trovano la stanza degli ospiti – principalmente creata per alloggiare sua madre, ma dotata di una doccia molto conveniente per lavarci il cane Pinceau – e un giardino sul tetto – oggi ancora verdeggiante di piante selvatiche e vagabonde. Scendendo la scala a spirale e lasciandosi alle spalle il salotto, si entra nella sala da pranzo. È dominata da un grande tavolo in marmo che si dice fosse ispirato a un esemplare simile visto in obitorio; una cucina che risulta inusualmente spaziosa a chi abbia una certa familiarità con le sue Unité d’habitation; un lungo balcone e la zona notte, la stanza che presenta gli elementi più originali. L’alcova porta infatti inconfutabilmente traccia dell’attrazione di Le Corbusier per le cabine delle navi, e come tale è costruita: con due bagni separati per lei e per lui, pareti gialle e blu, e un armadio mobile incorporato nella porta che separa la camera dalla sala da pranzo. Il letto è issato a un’altezza inusuale, così concepito per permettere la vista del bosco oltre la balconata.
La coppia abitò in rue Nungesser et Coli fino alla morte, quella di Yvonne sopraggiunse nel 1957, Le Corbusier se ne andò nel 1965 mentre si trovava a Roquebrune-Cap-Martin. In casa rimaneva la sua personale collezione di oggetti, assieme ai suoi dipinti e alle sculture. Alcune tele degli amici pittori: Fernand Léger, Alberto Magnelli, Henri Laurens e Jacques Lipchitz. Oltre a una rassegna di suppellettili quali conchiglie, ossa, africanerie e antichità a buon mercato, reperti bizantini e vasi dei Balcani. «Sono straordinari strumenti di meditazione fisica, di resistenza materiale, di armonia e bellezza» aveva dichiarato nel corso di un’intervista radiofonica nel 1951, riflettendo sulle sue raccolte. «Non nascondo che li chiamo la mia CP (collezione privata) e sono la mia delizia».
Il metodo Le Corbusier.
Oggi l’appartamento è stato riportato allo status originale, nelle tinte e negli arredi. Per il visitatore curioso d’immergersi nelle passioni collezionistiche dell’architetto mancheranno però molte delle suppellettili che animavano le nicchie e i ripiani, soprattutto nello studio e che Le Corbusier periodicamente ri-arrangiava. Quel gioioso caos può solo essere immaginato, magari con le fotografie d’archivio come aide-mémoire. Rimane invece come un totem al centro dell’open-space, il cavalletto su cui dipingeva, allora accerchiato dalle tele e dalle sculture realizzate con Joseph Savina e, proprio lì accanto, un pesante mobile a cassetti dall’aspetto molto funzionale, il cabinet che il padre – orologiaio – utilizzava per archiviare gli orologi. Lui ci riponeva invece pennelli e colori. Ogni attività, nell’appartamento, aveva il suo posto e la sua ora; tutto con una scansione disciplinatissima: mangiare, fumare, scrivere lettere, ascoltare musica, dipingere.
«Sono un pittore, fondamentalmente, con tenacia, poiché dipingo ogni giorno. La mattina è dedicata alla pittura, il pomeriggio, dall’altra parte di Parigi, è dedicato all’architettura e al progetto urbano». E sosteneva che fosse proprio questa virtuosa routine il segreto della sua riuscita come architetto.
June 22, 2021