Manuel Solano. Ovvero, come trasformare la cecità in una risorsa creativa
Manuel Solano è senz’altro la scoperta più controversa fatta quest’anno dalla Triennale del New Museum. Lo abbiamo incontrato per capire come la disabilità ha cambiato il suo approccia all’arte e alla vita.
Nato nel 1987 a Mexico City, Manuel Solano era un promettente giovane artista quando, nel 2013, ha perso la vista a causa di un’infezione dovuta all’HIV. Rifiutandosi di cedere alla sua condizione, e spinto dagli amici, Solano è ritornato a produrre. Ma invece di continuare con il lavoro sperimentale dei suoi esordi ha iniziato tutto da capo, con una serie di ritratti e ‘dipinti di parole’ intitolata “Blind Transgender With AIDS”. Rifacendosi a reminiscenze pop e al suo passato di vedente, Solano ha creato un corpus di lavori che ha nuovamente catturato l’attenzione del mondo dell’arte. In occasione dell’apertura della Triennale del New Museum, dove il Solano ha presentato quattro suoi lavori, lo abbiamo incontrato per cercare di capire di più riguardo al rapporto tra vita e lavoro artistico.
Ricordi cosa volesse dire per te esser un artista prima di diventare cieco?
Sapevo che volevo fare di ciò una mia pratica. Allora sospettavo – anche se non ero chiaro a riguardo – che il lavoro parlasse di me. Mi riferivo alla cultura pop, all’umanità e all’amore e credo che così fosse, nella misura in cui tutto mi toccava personalmente.
Sono cambiati i tuoi pensieri ora che la tua vita è diversa?
Si sono rinforzati. Mi è chiaro, ora più che mai, che ciò che faccio attraverso il mio lavoro è… mettermi in gioco. Dopotutto è ciò che ho cercato di fare per tutta la vita, sin da bambino.
Quanti anni avevi quando hai contratto l’infezione che ha causato la tua cecità?
Ne avevo 26.
E quanti anni hai ora?
Oggi ne ho 30.
Come procede il tuo lavoro? Hai strumenti che ti aiutano, oppure degli assistenti? Come ti approcci alla tela?
A volte – come nel caso dei lavori esposti alla Triennale del New Museum – lavoro con un assistente; ma la maggior parte del tempo lavoro da solo. Le tele sono appese direttamente alla parete, e non montate su telaio, che renderebbe il processo più complicato. Lavoro direttamente a muro e dipingo con le mani, perché è il tatto la mia guida principale. Dato che dipingo con le mani, preferisco usare pittura acrilica piuttosto che a olio. Sulla tela utilizzo anche quelli che io chiamo segnalatori tattili. Per esempio, quando dipingo un ritratto, li impiego per fare la pupille e le narici. Per segnare un area metto uno spillo, o una puntina da disegno, o un chiodo. Se invece devo fare una linea retta utilizzo una stringa; mentre per la linea curva uso lo scovolino, e poi seguo quella linea con le mie dita. Se lavoro con un assistente di solito mi aiuta lui a mettere i segnalatori perché da solo ci vuole molto più tempo. Nel grande ritratto della donna con le perle, il più grande che abbia fatto finora, ho messo i segnalatori da solo; ma ci ho messo un giorno e mezzo di lavoro solo per disporli correttamente. Di solito inizio con i segnalatori per le pupille, e poi per le narici. Devo controllare più volte che ci sia la giusta distanza fra di essi. A causa della cecità, mi è difficile avere la distanza tra le cose, o valutare se gli occhi sono posti allo stesso livello. Di solito non importa… anzi no, mi importa. Non voglio che il viso che sto disegnando sia asimmetrico; certo, devo accettare che non posso avere il controllo su tutto, soprattutto su un dipinto che non vedo. Lavorare con un assistente è un sollievo perché c’è un paio di occhi che può controllare se i segnalatori sono stati messi al posto giusto. In questo modo posso lavorare più velocemente. L’assistente inoltre mischia i colori secondo le mie istruzioni, e mi aiuta con i suoi feedback. Lavoro con una gamma di colori molto limitata. Di solito compro solo colori primari, e ne compro due di ciascuno… due blu, due gialli, due rossi. Ho qualche colore secondario, come il verde, il marrone ed il color carne.
Nel ritratto della donna di cui dicevi, hai voluto segnalare ogni perla?
Si, e ci sono voluti molti spilli. Ho dovuto stendere una linea di spilli e dipingere intorno al punto di contatto.
Sono tutti autoritratti i dipinti che hai presentato al New Museum?
In un certo senso lo sono, o almeno sono dipinti autoreferenziali. La donna con le perle è il ritratto di una mia prozia. Mi rivedo però in tutti i dipinti, o almeno ritrovo una traccia di me e della mia personalità.
Lavori a memoria?
Sì, lo faccio. Per esempio, quel ritratto con le perle si basa su una fotografia che ho visto solo una volta da adolescente; ho una buona memoria però.
TI capita anche di creare nuovi soggetti a partire dalle descrizioni di persone?
Per esempio, il dipinto ‘I Don’t Know Love’, che è in mostra, è qualcosa che non ho mai visto. Ho visto il film a cui fa riferimento, ‘The fifth element’, ma non ho mai visto la scena che ho dipinto. Per Halloween, nel 2016, quando ero già cieco, mi sono travestito da Leeloo, la protagonista del film. Non ho visto il costume, ne l’ambientazione dove si è svolta la festa – una località sulle montagne di Taos, nel New Messico. Ci sono andato con un caro amico, che mi ha raccontato molto bene ciò che vedeva. Mi ha descritto il cielo, e il tramonto, e le nuvole, che sono tutte caratteristiche della regione del Sudovest. Sapevo che questo dipinto doveva essere un autoritratto ed ero consapevole che sarebbe stato piuttosto difficile da eseguire. Spero sia evidente che sono io, ma che sono mascherato. Vi si dovrebbe inoltre vedere il riferimento al film, ma anche capire che non è una scena tratta dal film. Il cielo deve definire un nuovo scenario. Era importante per me dipingere le nuvole ed il cielo con i giusti colori.
E’ interessante che la memoria, per te, possa essere un ricordo di una fotografia di tua zia, o qualcosa che ti ricordi aver fatto, oppure il ricordo di un film. Cosa mi dici riguardo al dipinto ‘I’m Flying’, dove la figure è legata al letto con una cinghia?
Rappresenta una delle scene finali del film ‘The craft’, del 1996. La figura in quella scena è Fairuza Balk, che finisce in un ospedale psichiatrico. Il film parla di streghe e lei è il personaggio più forte. Dato che abusa e non rispetta il suo potere, finisce per perderlo. Cosi viene rinchiusa in un ospedale psichiatrico dove continua ad urlare ripetutamente “Sto volando”; prima, grazie ai suoi poteri, era in grado di farlo. Mi ispiro alla cultura pop, ma anche alla mia vita quotidiana. Un giorno stavo ascoltando la musica e ho sentito PJ Harvey cantare la canzone ‘Ecstasy’, che inizia dicendo: “Sto volando”. Appena ho sentito il verso mi è venuta in mente la scena di ‘The craft’. Ho iniziato ad immaginare che PJ Harvey si stesse riferendo al film, anche se il film è uscito molto dopo. Ho dunque preso ispirazione dal testo di quella canzone per dipingere questo quadro, anche se avevo già ritratto Fairuza Balk in precedenza; la trovo molto misteriosa e sono attratto dai suoi personaggi. In questo caso, per esempio, c’è un parallelo tra come questa figura sia legata, ma allo stesso tempo libera nella sua mente. Mi sento spesso bloccato, specialmente quando sono a casa in Messico, dove il mio mondo, a causa della mia disabilità, diventa molto piccolo. O a causa di quello che ho passato e di come ho vissuto questo stigma. Tutte queste sono barriere psicologiche, ma spesso anche fisiche.
Anche il protagonista dell’ultimo pezzo che è in mostra al New Museum, il ragazzo appoggiato al muro, sembra molto libero.
Si tratta di Michael Jackson. Volevo fare un suo ritratto da molto tempo. E’ stato il mio primo interesse nella cultura pop.
In questo ritratto ti riferisci video di Herb Ritts, dove Jackson balla con Naomi Campbell?
Si, si, si. A cinque anni ero ossessionato da Michael Jackson. Quando ne ho compiuti sei ho voluto che la mia festa avesse come tema Michael Jackson. Mia madre mi ha fatto un piccolo costume di Michael Jackson e io e i miei amici abbiamo inscenato uno spettacolo. Ricordo che Micheal Jackson rappresentava per me il simbolo della perfezione. Guardavo e riguardavo i poster che lo raffiguravano pensando a quanto fosse perfetto, bello, potente. Credo che il suo potere derivasse dalla sua creatività e dal modo in cui l’ha coltivata. In un certo senso, era una delle persone più potenti al mondo. Deve però essere stato molto solo nel suo potere, e nelle sue capacità. A volte avere una grande creatività può essere estremamente isolante. C’è molto di me anche in questo dipinto. Può sembrare presuntuoso, ma mi sento vicino a lui.
E’ interessante che tu lo dica, perché raffigurandolo in questo modo crei una proiezioni di te stesso. Forse, dipingi come vorresti che fossero le cose. Se penso a quel video – dove lui è nel deserto, libero di muoversi nello spazio – non ricordo solo un ambiente seduttivo, ma anche molte mosse sexy tra lui e Naomi Campbell.
Si, per quanto mi riguarda, si tratta di libertà, e affermazione del proprio essere. In un certo modo, – non so come esprimerlo in inglese – è come se si trattasse di abbracciare si stessi e prendersene cura.
Ti capita di disegnare?
A volte, anche se non mi piace molto.
Dipingendo con le dita è per te più facile percepire lo spazio su cui stai lavorando?
So disegnare, ma è piuttosto diverso per me. Per esempio, mi è molto difficile avvertire lo spazio se uso un pennarello indelebile. Una volta asciutto, mi viene difficile riconoscere quale parte del foglio è disegnata e quale no. Non posso nemmeno dire di saper “sentire” la tela. Toccando una delle mie tele è molto probabile che non sappia riconoscere di quale dipinto si tratta. E’ diverso quando invece dipingo.
Riesci a vedere qualcosa quando guardi i tuoi quadri?
No. Con l’occhio sinistro vedo solo nero, mentre con quello destro vedo un nulla di color bianco.
Non è come avere la vista annebbiata, quindi.
No. Qualche volta riesco a riconoscere dei movmenti o dei cambiamenti di luce, ma la malattia sta degenerando molto rapidamente.
C’è qualcosa che può essere fatto o è troppo tardi?
No, a questo punto non si può far più nulla. Si sarebbe potuto fare qualcosa prima, ma non mi è stato mai detto.
June 22, 2021