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Un sentito addio a Franz Staehler

Stefano Pirovano

Franz Staehler è scomparso sabato scorso, in un ospedale di Francoforte. Alla fine la malattia con cui ha sempre vissuto ha sconfitto il suo corpo, ma non il suo spirito.

Il corpo di Franz Staehler è morto. ma certo l’uomo continuerà a vivere nelle sue opere, che invece rimangono, e resistono, perché, come l’intelletto che le ha generate, sono solide, lucide, flessibili, testardamente proiettate verso il cielo.

Eppure Staehler non era il tipo di artista che vedi alle fiere, alle Biennali, o nelle gallerie che pompano denaro nelle une e nelle altre. Non che il mercato sia un male, ma come ci ricordò Wade Guyton poco prima che scoppiasse nel mondo dell’arte l’ultima bolla speculativa, ‘succede che l’arte e il mercato dell’arte siano due cose distinte tra loro’. E, forse aggiungerebbe quell’artista straordinario che di fianco al fratello sta sepolto nel piccolo cimitero di Auvers, ‘non necessariamente vanno di pari passo’. Evidentemente Staehler si preoccupava della prima, l’arte, e non rincorreva il secondo. Non troverete quindi nomi dei mercanti in questa storia, ed è questo un primo importante messaggio lasciato dall’artista a tutti coloro che nel mare dell’arte si immergono e poi provano a nuotare senza salvagente. L’espressività artistica non ha padroni e non ne vuole. Alla fine il nostro compito non è possederla, ma riconoscerla e proteggerla perché l’energia che ne deriva possa generare altra energia.

Nato 1956 a Niederzeuzheim, a un paio d’ore d’auto da città fondamentali per l’arte contemporanea tedesca come Düsseldorf e Kassel, Staehler dalla metà degli anni settanta ha lavorato sopratutto in Italia, senza per questo mai venir meno a quel bisogno viscerale di dar forma a passioni umane che da Albrecht Dürer a Joseph Beuys caratterizza gli artisti che da questa parte del mondo provengono (almeno sul piano visivo). Solo che l’espressionismo tedesco – categoria moderna diventata metastorica col passar delle stagioni – in Italia ha acquisito quella leggerezza che Italo Calvino tanto bene ha spiegato nelle sue lezioni americane. A questa leggerezza Staehler ha ancorato anfore che svettano nel cielo, eleganti come giraffe africane, oppure vertiginosi tulipani, che pericolosamente oscillano al vento senza spezzarsi mai. O ancora, con questa leggerezza ha plasmato i mattoni smussandone gli spigoli, per renderli fluidi e flessuosi come rami di giunco, da usare per disegnare lo spazio, o lasciare misteriose traccie, che per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo sono state le traccie di un maestro che agli insegnamenti ha sempre preferito gli esempi, e che dall’umiltà ha saputo trarre una forza sovrumana.

Quelli come Staehler, da Giuliano Mauri a Valeriano Trubbiani giusto per citarne un paio, li trovi solo se li sai vedere, ma quando li vedi scopri che erano lì a portata di mano, accessibili come le loro opere. I luoghi di Staehler sono la Collezione Rossini di Briosco, che probabilmente conserva il più ampio corpus di opere accessibili al pubblico, ma anche la Fattoria la Loggia di San Casciano Val di Pesa, o Palazzo Taffini a Savigliano, in provincia di Torino, dove Staehler ha installato alcune delle sue ultimi sculture. Altre opere sono sparse in Germania, ma anche in Francia, Svizzera, Stati Uniti. La mappa precisa del percorso di Staehler è ancora tutta da scrivere e da navigare. Sarà lavoro di domani, come ormai avrete capito questo è un artista che si è preoccupato più dell’opera che della sua narrativa, e quindi si è preso il rischio che fossero gli storici a decidere se e quanto parlare di lui – un atto anche questo di profondo significato in un mondo dell’arte, e non solo, ammalato di auto-celebrazione, pronto a scrivere oggi, a suo modo, la storia di domani. Eppure l’arroganza è così debole di fronte al tempo che passa… Ma oggi è il momento di ricordare l’uomo e il suo profondo significato.

June 22, 2021