In mostra con l’artista, che ha curato la mostra (Kasper Bosmans)
Abbiamo visitato la collettiva curata da Kasper Bosmans da Barbara Gladstone a Bruxells in compagnia dell’artista. Ecco due o tre cose che abbia imparato riguardo a curatori e aragoste.
Non giriamoci intorno, CFA ha un debole per il lavoro di Kasper Bosmans. Già nel 2015 lo abbiamo incluso tra i progetti migliori della retrospettiva che WIELS ha dedicato all’arte emergente, e nel 2016 ci ha fatto molto piacere collaborare con Kasper alla sezione che chiamiamo ‘At the Show with the Artists’. Siamo stati piacevolmente colpiti anche dal suo debutto a New York, che abbiamo visitato virtualmente grazie a Walter’s Cube. C’è qualcosa di estremamente accattivante nel suo modo di intendere la storia e gli aneddoti, trasformarli in opere d’arte. Guardare i suoi pezzi e ascoltarne la loro narrativa è come vivere una meravigliosa avventura intellettuale. Ed è proprio cosi che ci siamo sentiti quando abbiamo fatto esperienza di Kasper Bosmans curatore, ruolo che l’artista ha assunto per trasformare la Gladstone Gallery di Bruxelles nel suo “piccolo padiglione”, come lui stesso lo ha definito.
La prima avventura ‘curatoriale’ di Bosmans è dunque una collettiva di sei artisti intitolata The Hum Comes from the Stumuch. Rimane aperta ancora per qualche giorno nella tranquilla Bruxelles estiva. Noi abbiamo avuto il privilegio di visitarla in compagnia dell’artista, e il suo entusiasmo ha significativamente contribuito ad accrescere il nostro interesse.
Per esempio, siamo felici di aver scoperto la storia dell’archivio di Jack Smith, che ora è di proprietà di Gladstone Gallery. Bosmans ha potuto accedervi per scegliere alcune note a matita non datate di Smith, che sono state inserite nella mostra come dei piccoli pensieri su carta. Ce n’è uno che è allo stesso tempo enigmatico e divertente. Dice: “I critici sono le ancelle dell’ARAGOSTA”. I motto rappresenta il filo conduttore di tutti i pezzi di Smith in mostra.
Altro incontro interessante sono i lavori di Jean Katambayi Mukendi. L’opera di questo talentuoso artista congolese è un bellissimo esempio di ciò che potremmo chiamare ‘ingegneria alternativa’. Le sue macchine sono funzionanti, sebbene non possono essere considerate macchine funzionali. Il pezzo chiamato Sphère potrebbe essere una lampada, sebbene non sia proprio una lampada. E Simultium potrebbe essere un’unità di controllo elettrico, sebbene non si possa dire un’unità di controllo elettrico. A questo proposito Bosmans ci ha detto che per lui il lavoro di Katambayi riguarda il trovare un proprio modo di gestire la tecnologia e l’ingegneria, allontanandosi da ciò che sarebbe normale per includere elementi soggettivi e biografici. Per Katambayi non si tratta di personalizzare un prodotto di tecnologia di massa. Bensì di creare un proprio oggetto tecnologico partendo da zero.
Lì per lì non abbiamo fatto molto caso alla strana fotografia di Trevor Yeung appesa al muro. Ma quando abbiamo sentito la storia di questo pezzo è immediatamente diventato il nostro lavoro preferito. E’ la foto dei genitori di Yeung che sorridono mentre stanno cenando. Sul muro alle loro spalle è appeso uno dei dipinti dell’artista. Abbiamo scoperto che il quadro nella foto, sebbene sia piuttosto astratto, rappresenta una penetrazione omosessuale. Apprendere da Bosmans dell’atteggiamento distaccato dei genitori di Yeung verso l’omossesualità di loro figlio ha conferito all’immagine un tono agrodolce. Da una parte è chiara l’ironia del messaggio. Dall’altra l’immagine parla di situazioni familiari complesse. E siamo grati a Bosmans di averci svelato gli aspetti nascosi di questo e quel lavoro.
Più in generale la selezione di Bosmans sembra sgorgare da un approccio soggettivo, piuttosto che dal cercare di esprimere un messaggio particolare. Come ci ha detto, la narrativa che tiene insieme le opere è stata creata a posteriori.
Riflettendo su questo aspetto di The Hum Comes from the Stumuch, abbiamo capito che l’approccio di Bosmans è qualcosa che chi fa il curatre a tempo pieno possono raramente permettersi. Nella battaglia per legittimare il loro lavoro come tecnico, o teoretico, per il quale poi si giustifica un certo emolumento, i curatori di rado possono correre il rischio di fare delle mostre puramente intuitive, o semplicemente dedicate alla loro stessa soggettività. Invece, gli artisti sono liberi di essere se stessi, quindi il loro atto curatoriale, quando succede, può assumere quell’approccio eccentrico di cui dicevamo poc’anzi.
Parlare con Bosmans dell’esperienza di allestire tecnicamente una collettiva ci ha fatto riflettere più in generale sulla relazione che sussiste fra i curatori e gli artisti. Come ci ha detto bosmans, la collaborazione tra gli artisti in mostra, così come quella tra loro e il curatore, si è tradotta in semplice comunicazione visiva. A questo punto ci siamo chiesti se la ragione per una cooperazione cosi ben riuscita (cosa che non sempre avviene nel caso di mostre collettive dove capita che gli artisti vivano come un problema la presenza di lavori molto diversi tra loro nel medesimo spazio espositivo) sia dovuto al fatto che il curatore è lui stesso un artista, che ha quindi vissuto simili preoccupazioni. In altre parole, ci siamo domandati se il curatore debba essere un artista per capire davvero i bisogni dell’artista. Su questo punto Bosmans non si è mostrato pienamente d’accordo. Lui crede che sia meglio lavorare con curatori che non hanno nessuna formazione artistica. E comunque, dice Bosmans, ‘la ricetta per creare l’alleanza perfetta ancora non esiste’.
June 22, 2021