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‘Mantegna & Bellini’ alla National Gallery; il dibattito si accende in Italia

Stefano Pirovano

L’ennesima mostra da sogno alla National Gallery riapre in Italia il dibattito sulle mostre blockbuster, che confondono la cultura con l’intrattenimento. Ma ha poi senso paragonare Roma a Londra?

L’attesa sta per finire. La mostra da sogno che mette a confronto Bellini e Mantegna organizzata dalla National Gallery aprirà al pubblico il primo di Ottobre, e ci saranno 16 settimane di tempo per visitarla prima che venga trasferita, a marzo, alla Gemaeldegalerie di Berlino, dove rimarrà per altre 16 settimane. Poi le opere, circa un centinaio tra dipinti e disegni, ritorneranno alle loro collezioni di appartenenza e non si può dire quando usciranno di nuovo tutte insieme la prossima volta. ‘Probabilmente mai’ dice Gabriele Finaldi, diventato direttore della NG nell’estate del 2015, quando il museo inglese stava già lavorando al progetto da tre anni. Come dire, ora o mai più.

Al di là del talento dei due maestri, l’eccezionalità del loro rapporto nasce dalla parentela che li ha legati e che ha segnato le rispettive carriere, sopratutto nella fase iniziale. Un rapporto dunque che è umano, prima che artistico, e che oggi fornisce un quadro narrativo perfetto perché la loro vicenda diventi un paradigma a disposizione di tutti. Andrea Mantegna, figlio di un umile falegname, ma evidentemente dotato di grande talento visto che ancora minorenne è tra gli esecutori della cappella della famiglia Ovetari presso la Chiesa degli Eremitani di Padova, nel 1453 sposa l’unica figlia di Jacopo Bellini, Nicolosia, a suggello della stima che il grande pittore veneziano probabilmente nutriva per il giovane artista – che a quel tempo aveva solo 22 anni. Di lì l’ascesa, le grandi commissioni, e l’intensificarsi rapporto con Giovanni Bellini, figlio di Jacopo, anch’egli artista straordinario ma più interessato al paesaggio, all’essenzialità della composizione, e forse meno sperimentale del cognato. La mostra di Londra intende appunto raccontare questo rapporto, e lo fa cercando parallelismi, rimandi, tangenze, differenze, sperimentazioni, interessi comuni, come per quello per l’arte antica per esempio, o lo studio della prospettiva.

I prestiti sono ovviamente straordinari, e vengono dai musei di tutto il mondo, a cominciare dal British Museum, che concede alla mostra ben 18 opere, incluso l’album di disegni di Jacopo Bellini sul quale probabilmente Giovanni e Andrea si sono formati, un album che negli ultimi cento anni è stato prestato in una sola altra occasione. C’è ‘La morte della Vergine’ ora al Prado (Mantegna); ci sono la Presentazione al tempio dipinta da Mantegna intorno al 1455 (della Gemaeldegalerie di Berlino) e quella eseguita vent’anni dopo da Bellini (della Fondazione Querini Stampalia di Venezia), prendendo quella di Mantegna come modello. C’è l’Adorazione dei Pastori del Met (Mantegna), e c’è la bellissima Trasfigurazione di Cristo del Correr di Venezia (Bellini). E ci sono tre dei ‘Trionfi di Cesare’ (Mantegna), che provengono direttamente dalla collezione Sua Maestà Elisabetta II, messi a confronto, tra l’altro, con un grande monocromo scultoreo come quello raffigurante un episodio della vita di Publio Cornelio Scipione (Bellini), che nel 1949 venne venduto dalla collezione Contini-Bonacossi alla Kress Foundation, e che ora sta alla National Gallery of Art di Washington.

Dovrebbe essere un gran giorno per la cultura, eppure in Italia qualcuno si lamenta. Invidia, gelosia, o altro? Forse solo una cattiva abitudine. Venerdì scorso, dalle pagine del news magazine del quotidiano La Repubblica, lo storico dell’arte Tomaso Montanari ha colto l’occasione per puntare il dito contro classe dirigente italiana, e quindi sul governo, che non investe abbastanza, che non assume archeologi e storici dell’arte, che non conserva come dovrebbe, che non ama la cultura, e che non è quindi in grado di generare mostre della portata di quella di Londra, e si lascia invece abbindolare da mille sotto-mostre fatte principalmente per staccare biglietti e dare visibilità ai politici locali. Sulla stessa rivista gli fa eco, qualche pagina più in là, Giovanni Agosti, altro storico dell’arte blasonato, noto al pubblico internazionale per aver co-curato nel 2008 la grande mostra dedicata a Mantegna dal Louvre di Parigi e curatore quest’anno di una mostra dedicata a Gaudenzio Ferrari per certi versi discutibile. Il fenomeno delle mostre ‘blockbuster‘ in Italia è un problema, e l’attuale Ministro dei beni culturali non brilla, anzi. Però il problema non si può ridurre alla dicotomia tra industria culturale e ricerca, tra mostre commerciali che potrebbero stare ovunque (come dice Agosti), e mostre di ricerca, che invece sono pensate per avere uno stretto dialogo con il territorio e che non fanno pasticci con il mercato. Probabilmente la verità sta altrove, ed è molto più complessa. Magari le mostre blockbuster sono solo la conseguenza di dogmatismi ideologici e Università imbalsamate. Dopotutto, non esiste la differenza tra musica commerciale e musica colta: c’è solo buona musica e musica che non lo è. L’Inghilterra è un paese di forte tradizione aristocratica, la cui struttura sociale è verticale quanto la scheggia di Renzo Piano conficcata nel quartiere di Southwark. E questa struttura produce una mercato dell’arte che è il 20% di quello globale, secondo solo a quello di Stati Uniti (42%) e Cina (21%). In Italia, che di questo mercato detiene un misero 1%, il Re non c’è da un pezzo, e i grattacieli non sono mai così alti. È vero, oggi passa l’idea che a Londra i musei funzionano meglio che a Roma (diverso, forse, sarebbe per Milano), ma poi bisognerebbe valutare da caso a caso, secondo precisi criteri, e allora forse quella convinzione iniziale finirebbe per riempirsi di crepe, a prescindere che le mostre siano buone o cattive. Anche perché, si sa, c’è un piacere inspiegabile nell’entrare in un’osteria e mangiare meglio che in un ristorante stellato – e questo in Italia è più facile che altrove (è una metafora). Si tratta di modelli diversi, con pregi e difetti diversi. Piuttosto, è un fatto è che i problemi ci sono ovunque, ma in nessun posto si risolvono piangendosi addosso. Nemmeno a Roma o a Milano.

June 22, 2021