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Paris Internationale 2018: una non-fiera-d’arte

Stefano Pirovano

Poteva essere un disastro, e invece è migliorata anno dopo anno. La quarta edizione di Paris Internationale segna un importante passo avanti nell’evoluzione di quella che si fa sempre più fatica a chiamare semplicemente ‘fiera d’arte’.

 

A Paris Internationale a fare la differenza nel 2018 è, dietro le quinte, la presenza ancora più marcato del suo sponsor ufficiale dallo scorso anno, Gucci (del colosso Kering, e quindi, per il mondo dell’arte, di Monsieur Pinault), che tra l’altro ha permesso di ridurre il costo degli spazi al punto da rendere la ‘cura’ di questa non-fiera più simile a quella che si potrebbe tenere in un museo, pur rispettando rigorosamente lo scopo commerciale dell’iniziativa, e garantendo alle gallerie invitate una location anche migliore di quella avuta dall‘edizione 2016, ovvero l’ex dimora del collezionista Calouste Gulbenkian. Più che di sponsor, quindi, sarebbe forse sarebbe meglio parlare di partnership, come avranno certo pensato i lettori del New York Times, trovando le copie arrivate a Parigi avvolte in una grande pagina azzurra dedicata alla fiera. Merci Monsieur.

L’edizione 2018 si tiene nell’edificio ottocentesco sito al numero 16 di rue Alfred de Vigny, non lontano dal FIAC e da un monumento al collezionismo francese come il Musée Jacquemart-André. Gli spazi sono dunque quelli di un bel palazzo borghese, che verrà interamente restaurato nei prossimi anni, e che dunque non teme di essere rispettosamente invaso dalle gallerie. Quest’anno sono 42, alle quali si aggiungono 8 spazi nonprofit, selezionati tra oltre 150 candidati. Le gallerie, invece, sono state tutte ‘invitate’ dal board, inclusa Isabella Bortolozzi, la prima ‘top gallery’ a partecipare a Paris International. Già, perché sin dalla prima edizione Paris Internationale è l’espressione diretta del lavoro dei galleristi stessi, che hanno saputo mettersi d’accordo scegliendo di non rispondere a un’istituzione che stesse sopra le loro teste, come invece avviene normalmente per le fiere d’arte, a partire da FIAC, e passando per Art Basel e TEFAF. E questo, a pensarci, cambia di molto le cose. Più che una fiera Paris Internationale è infatti una comunità di gallerie, che lavorano senza alcun compenso per la manifestazione stessa, e quindi per sé, cercando di volta in volta di offrire al pubblico una punto di vista sulla creatività contemporanea certo orientato, ma al riparo dal marketing.

Ed è così che quest’anno per far spazio alle 11 nuove gallerie invitate si è dovuto rinunciare a qualche nome, generando qualche malcontento. D’altro canto, la missione di Paris Internationale è chiaramente espressa, ed è quella di ‘de-costruire’ i codici delle tradizionali fiere d’arte, ‘ancorando’ (termine derivato dalla psicologia?) a un contesto collocato nel centro di Parigi (così sul documento ufficiale: to deconstruct the traditional codes of art fairs by anchoring the project in an outstanding context within Paris’ city center). Normale quindi che ci sia turn over, e che si mischino le carte, cosa che invece non avviene (o avviene solo marginalmente) nelle grandi fiere, dove i punti di snodo sono presidiati dalle grandi potenze e dove le gallerie economicamente, o politicamente, più deboli vengo incasellate a margini via via sempre più lontani dal ‘centro’. E a questo punto si può provare a fare una considerazione. Se è vero in una fiera tradizionale le gallerie minori di fatto beneficiano della luce emessa dalle gallerie principali è anche vero che negli scorsi anni poco o nulla è cambiato nella struttura di questi eventi, dove i grandi rimangono grandi e i piccoli non crescono mai. E così gli artisti altro non possono fare che lasciare la piccola, o media galleria non appena se presenta l’occasione. ‘Così gira il mondo’ qualcuno certo dirà, ma evidentemente così non è, altrimenti l’arte antica varrebbe più di quella moderna e contemporanea, mentre a parità di qualità e quantità è quasi sempre vero il contrario. Quindi, l’arte invecchia con il proprio pubblico, e sono le generazioni future a scegliere cosa portare con sé e cosa, invece, si può lasciare al passato.

Riguardo agli artisti visti a Paris Internationale edizione 2018 vi rimandiamo alla galleria di immagini che abbiamo pubblicato ieri ‘a caldo’ sul nostro account Instagram – ma vi invitiamo a non fermarvi qui. Non dovremmo aver bisogno di ricordare che i social network sono un eccezionale strumento di ricerca, e siamo quindi certi che i vostri occhi vedranno anche meglio dei nostri. Qui ci basta aggiungere solo un paio di note. La prima è che se la pittura è regina, la galleria è il suo regno. Certe opere avvertono più di altre il contesto culturale in cui vengono presentate, e creare quello adatto non è solo questione di istinto, o di talento. Torniamo al problema psicologico di cui si diceva all’inizio, quello dell’anchoring – oppure accontentiamoci di chiamarla ‘moda’, per l’ennesima volta. La seconda nota che ci preme segnalare riguarda invece i materiali, ed è diretta agli artisti. Non c’è solo il problema della stabilità dei materiale, ma anche quello dell’invecchiamento. E invecchiare bene è, per tutti noi, una questione di vitale importanza.

June 22, 2021