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La luce del Mediterraneo nei cieli di Madrid: finalmente una prospettiva europea

Cristiana Aspesi Curti

La Fondazione MAPFRE di Madrid fa il punto sull’arte figurativa europea del secolo breve. E si scopre che l’insieme vale più delle singole parti.

Raramente si ha modo di osservare con la particolare lente della comparazione colta la genesi delle culture visive europee. Soprattutto quando si tratta di Novecento e di avanguardie. Ora, per il viaggiatore collezionista e appassionato, c’è un’occasione da non perdere a Madrid, sino al 13 gennaio dell’anno prossimo.

La magnifica mostra Redescubriendo el Mediterráneo ospitata nelle ariose sale della Fundaciòn MAPFRE in Paseo de Recoletos, concepita da Pablo Jiménez Burrillo (direttore dell’Area Cultura della Fondazione) e Marie-Paule Vial (ex direttrice del Musée de l’Orangerie di Parigi) con il validissimo contributo degli studiosi della fondazione madrilena Leyre Bozal Chamorro, Josep Casamartina i Parassols, Francisco Javier Pérez Rojas, José Luis Alcaide Delgado in collaborazione con la “nostra” ottima Daniela Ferrari, esperta del nostro Novecento e curatrice responsabile della rutilante collezione Feierabend (VAF) al MART di Rovereto, è la riprova di come si può – anche in tempi grami come questi – operare congiuntamente e concretamente per la rivitalizzazione delle nostre comuni radici culturali.

Perché è questo il dono e il sapore che trasmette la visita di questa rassegna, nata all’interno di un ciclo biennale di manifestazioni europee a tema “Picasso Mediterraneo” (ideato dalla Fondazione MAPFRE e dal Museo Nazionale Picasso di Parigi), punteggiata da capolavori assoluti e distinta da una selezione così attenta che lascia ammirati. Mostra dai contenuti apparentemente semplici, dalla didattica penetrante e diretta, ma di complessa esecuzione.

Tre Paesi d’Europa sentono, al volgere del secolo, la necessità di rinnovare, sulla scorta e nel senso del superamento della rivoluzionaria ondata impressionista, così come delle maglie dell’Accademia, la propria cultura visiva attraverso una ricerca ispirata dalla luce del Mediterraneo, padre di Genti, i cui litorali vengono percepiti come il tópos d’eccellenza dei miti fondanti la nostra Civiltà. La suggestione epica, la felicità della Natura, i luoghi della luce diafana e dell’aria vibrante, la cultura della “costa”, semplice e forte, il simbolo del “ritorno” a una Patria collettiva, nel ciclo dei nóstoi omerici, primo fra tutti quello emblematico di Ulisse… questi i passaggi concettuali salienti di un percorso che coinvolge le nostre civiltà nel passato e nella modernità.

Il Mediterraneo come Cultura, Paesaggio e Idea: tre direttrici teoriche che investono il percorso poetico dei pittori spagnoli, francesi e italiani di fine Ottocento e inizio Novecento, sino a dopo la prima Guerra Mondiale. Dopo il secondo conflitto una tale identità unitaria, benché rimarcata dalle buone intenzioni dell’Unione Europea, non avrà più la medesima potenza espressiva di questo periodo ancora felice. Oggi, vivaddio, in un’Europa incapace di generare veri movimenti artistici e assorbita dal soverchiante potere del mercato dell’arte che annacqua – e talvolta divide – gli slanci culturali, parlare di ritorno a radici identitarie comuni sembra bestemmia.
La mostra è ripartita in tre ambiti di ricerca fluidamente interconnessi.

La Spagna intende il Mediterraneo come cultura viva e carnale, immanente e identitaria, spiccatamente catalana e valenciana ma anche isolana, laddove la Donna e la Natura sono simboli arcaici di una società palpitante e coraggiosa, dai forti contrasti e dalle priorità nitide. Per i pittori spagnoli come Joaquim Sunyer, Josep de Togores, lo straordinario Salvador Dalì o la scoperta (per noi) di Julio González, Joaquim Mir, l’immaginifico Hermen Anglada Camarasa, il “denittisiano” Ignacio Pinazo e il più famoso (sempre per noi) Joaquim Sorolla, tale espressione “primitiva” incarna la felicità dell’esistenza, la magia del sogno e l’ispirazione formale e poetica dell’arte. Le sponde mediterranee rappresentano una civiltà che si veste di orgoglio locale e senso di rigenerazione culturale con la nascita del primo movimento artistico davvero catalano, il noucentisme. Suggestioni post-impressionistiche mantengono viva comunque la passione per la pittura di paesaggio, con una tale unità stilemica nei confronti dei colleghi di Francia da far pensare a un medesimo coacervo formale.

Per i pittori francesi, più debitori ancora nei confronti delle appena precedenti prove di Cézanne, così come dell’amatissimo Gauguin e in generale della pittura d’Impressione, è la passione per la luce che fa da filo conduttore e cardine stilistico di questa stagione. La mostra annovera opere di Aristide Maillol, Pierre Bonnard, Maurice Denis, Georges Braque, André Derain, Raoul Dufy, Maximilien Luce, Paul Signac, Othon Friesz, Théo van Rysselberghe e molti altri, completati dal “francese” Pablo Picasso a far da contrappeso – in un finale di partita che lascia letteralmente senza fiato – a Henri Matisse, quasi che Spagna e Francia trovino soluzione nel grandissimo malagueño. Si parte dalla luce per finire nella luce, abbacinata, delle coste del Midi e delle spiagge di Saint-Tropez. Il Divisionismo e il Pointillisme ancora informano le prove di Valtat e, naturalmente, Signac, ma già con Manguin, ad esempio, il tratto diventa più compendiario, mentre il colore esplode nella sua vivezza più assoluta. Straordinari sono i paesaggi di Braque del 1906 e 1907, prima della definitiva svolta cubista del magnifico Route à l’Estaque del 1908, cui fanno eco le strepitose prove di Dufy. La luce dell’Estaque (il golfo di Marsiglia) condiziona buona parte della sezione francese della mostra, ma è la costa di Cannes, Nizza e Vence che attrae la verve artistica di Matisse (di cui è presente, fra l’altro, l’ipnotica Vague del 1952) e di Picasso che duettano in tale perfezione come neppure Corelli e Bastianini dei tempi d’oro.

Apparentemente in contrasto formale, e intelligentemente inserito fra la sezione francese e l’epilogo picasso-matissiano, è il brillante settore italiano della mostra. I nostri artisti sentono il Mediterraneo come un concetto che riveste la pelle e le ossa della nostra cultura, l’archetipo della nostra Civiltà, il mare davvero nostrum della Poesia e della Storia. Più che condizionamento formale, per noi si tratta di un riferimento critico cui nessun artista può sottrarsi. E, di più, nella stagione di Novecento, qui per nulla in contrasto con le classicità oniriche del “francese” de Chirico e del fratello Savinio, la poderosa icasticità di Campigli e Carrà, che riecheggiano l’arcaismo dei nostri Primitivi (e i colori, per Carrà, delle più belle acque dei vedutisti veneziani) con la forza espressiva di chi conosce molto bene la terra che calpesta e la cultura di cui si nutre, si connette quasi senza soluzione di continuità alla picassiana testa “mediterranea” di donna del 1921, mentre la Donna al sole di Martini evoca, con volumi più liberi, la Méditerranée di Maillol (qui non presente purtroppo). Il Ritorno all’Ordine, per noi, assume contenuti ontologici.

Si rimane folgorati dalla selezione, come già è stato scritto, che – anche se più contenuta numericamente – nella parte italiana della mostra è davvero esemplare del portato della nostra arte nell’Europa d’inizio Novecento. Lo sbalordimento che ha connotato le reazioni degli invitati della vernice alla vista delle nostre opere, provenienti dal MART e da un piccolo ma eccellente nucleo di collezioni private, colpisce soprattutto perché dimostra quanto si debba ancora fare per valorizzare correttamente la cultura italiana in ambito europeo.

Redescubriendo el Mediterráneo mostra qualità non scontate e documenta come la ricerca ben condotta e una selezione rigorosissima portino a risultati a cui dovremmo tornare anche per la comprensione della nostra contemporaneità. Conoscere l’arte europea del XXI secolo passa inesorabilmente dall’analisi di questo periodo fecondo di modernità, foriero di ogni rivoluzione visiva, culla dell’arte informale e persino di quella concettuale, forte pilastro della nostra cultura. Una mostra che meriterebbe senza dubbio replica entro un circuito italo-francese, per poi andare a “convertire” gli algidi fratelli del Nord Europa. Giusto per dirci, se mai vi fosse gara: “vinciamo noi”.

June 22, 2021