Milano: la Sala del Grechetto, elementi per un futuro migliore
Una mostra porta Il monumentale Ciclo di Orfeo a lungo creduto di Grechetto a Palazzo Reale. Ma un libro apre un dibattito riguardo al suo destino.
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Con qualche ritardo, su segnalazione di un amico, mi sono imbattuto in un articolo della cronaca di Milano del “Corriere della Sera” (27 gennaio 2019). Si apprendeva, grazie a un’intervista all’assessore della Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno, commentata dalla giornalista Anna Gandolfi, che il cosiddetto ciclo del Grechetto di Palazzo Sormani a Milano, un’imponente tappezzeria di tele destinate a raffigurare in un incredibile diorama botanico-zoologico specie animali e vegetali provenienti da tutto il mondo, sarebbe presto stato al centro di un’esposizione nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale a Milano. Spostato lì per intero, e non senza complicazioni (visto che si tratta di duecento metri quadri di tele, in qualche caso di oltre cinque metri di altezza), nella prospettiva di trovare dei fondi per un restauro e al contempo per valutarne il futuro destino con un pubblico dibattito aperto ai cittadini. All’assessore sembrava necessario cercare una sede più adeguata a quel ciclo ora solo parte dell’arredo di un edificio, acquisito dal Comune nel 1934, destinato a ospitare la Biblioteca Civica dal 1956.
Il ciclo di Orfeo, una mostra discutibile
Ho cominciato subito a dubitare della bontà dell’operazione. Quel ciclo è infatti l’unica testimonianza superstite dell’arredo antico del Palazzo Sormani, uno dei più nobili edifici nella storia dell’architettura milanese di età barocca. Benché concepito verso il terzo quarto del Seicento per Palazzo Visconti, poi Lunati, poi Verri, in contrada Monte Napoleone, è stato rimontato nella sede attuale con un’operazione di raccordo che per quanto falsata rispetto all’origine, è storicamente una reinterpretazione di inizio Novecento dell’assetto antico del ciclo, ed è ormai parte della consolidata storia conservativa di quel complesso di tele.
Ogni movimentazione, ogni intervento va monitorato e ponderato con grandissima cautela per evitare decisioni affrettate. Il restauro e il nuovo eventuale allestimento vanno così valutati con estrema attenzione perché l’intelligenza delle integrazioni pittoriche e dei ridimensionamenti nel momento del passaggio del ciclo da Palazzo Visconti Lunati Verri a Palazzo Sormani va capita e rispettata per non smontare le tessere di un mosaico senza sapere come ricomporlo.
Pur nella relativa consuetudine con l’assessore, gli scrivevo una mail dai toni preoccupati, dicendomi del tutto contrario allo smantellamento di quell’ambiente ormai storicizzato.
Ero molto perplesso inoltre in merito all’operazione espositiva, una vetrina per acquisire i fondi per i restauri, visto che consideravo più prudente fare la mostra nel luogo in cui il ciclo si trova: che si sarebbe prestato bene, una volta ben illuminato, a valorizzare la qualità delle tele, permettendo per altro anche l’esposizione dei due elementi del ciclo che stanno negli uffici e che non hanno trovato posto nella risistemazione di primo Novecento. Li si sarebbe potuti allestire nell’ampia stanza in testa alle scale da cui si accede alla sala principale dalla strada, con un ingresso indipendente rispetto a quello della Biblioteca Civica Sormani. Sempre in quell’anticamera sarebbe stato concepibile presentare la riproposizione virtuale dell’originario assetto del ciclo in Palazzo Visconti Lunati Verri, possibile sulla base di alcune vedute dipinte ottocentesche della sala che in origine lo accoglieva prima del trasloco in Palazzo Sormani.
Dubitavo comunque che, in seguito alle manipolazioni di inizio Novecento, il ciclo potesse essere riproposto senza lacune e incongruenze rispetto al progetto originario, visto che le dimensioni della stanza di Palazzo Sormani sono minori rispetto a quella che lo accoglieva in origine a Palazzo Visconti Lunati Verri.
Una questione aperta
Il 14 marzo, subito dopo l’apertura, visitavo la mostra di Palazzo Reale Il meraviglioso mondo della natura. Devo dire che le mie perplessità sull’idea portante della mostra, cioè riproporre l’assetto del ciclo come si presentava nella sua sede originaria, il Palazzo Visconti Lunati Verri, si sono confermate.
La storia del restauro ci insegna che era prassi comune, particolarmente dal Seicento, ingrandire o tagliare i dipinti per disegnare l’arredo delle pareti di un palazzo, di una galleria di quadri o di altri ambienti, sempre però con una regia armoniosa e il necessario rispetto degli spazi che si volevano arredare. È difficile tornare indietro una volta che nella storia conservativa delle opere si sono fatte scelte anche drastiche ma funzionali agli scopi dell’architettura decorativa di interni, ed è per questo che una volta scompaginato il ciclo in Palazzo Sormani per provare a riproporlo negli spazi più ampi dell’antica sede artificialmente ricostruiti nella sala delle Cariatidi di Palazzo Reale non si ritrova una coerenza a causa dei rimaneggiamenti e degli adeguamenti subiti dalle tele a inizio Novecento.
La sala Visconti Lunati Verri ricostruita in mostra dalla scenografa Margherita Palli con una riproposizione 1 a 1, sulla base delle misure della stanza offerte dai documenti d’archivio nonché delle testimonianze visive ottocentesche che attestano il ciclo nella sua sede di origine, non fa un bell’effetto.
Rimangono immensi vuoti da colmare, per la mancanza di elementi perduti o trasfigurati dall’intervento di inizio Novecento, e non viene rispettato l’allineamento sotto-soffitto delle tele, un effetto voluto fin dall’origine per restituire l’idea di una vera tappezzeria coprente.
Ricreare solo su base ipotetica la sala originaria, nei cui volumi le tele non possono più essere collocate perché ormai dimensionate per altri spazi, è stato un vero azzardo.
Ciò che alla fine risulta evidente è che se davvero il Comune perseguisse l’idea di dismettere la sala di Palazzo Sormani, il ciclo dovrà essere riproposto in un’altra sede tenendo conto dell’ultimo allestimento ormai storicizzato e non degli spazi dell’antico palazzo che ospitava in origine il ciclo.
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Nota: Il testo che qui pubblichiamo è stato estratto dall’autore, Alessandro Morandotti, dal suo ‘Una mostra, un trasloco. Destini della sala del Grechetto di Palazzo Sormani a Milano’, Scalpendi editore, 2019, Milano.
April 5, 2022