Neo Rauch: ‘un quadro dovrebbe essere più intelligente di chi l’ha dipinto’
Abbiamo incontrato Neo Rauch a New York, dove il Drawing Center sta dedicando ai suoi disegni un’ampia retrospettiva. La mentalità dell’artista non è mai stata così chiara.
Neo Rauch, uno dei grandi pittori del nostro tempo, oggi riceve anche il prezioso tributo del Drawing Center di New York, che ha organizzato la prima mostra retrospettiva negli States dei suoi disegni, raccogliendo per l’occasione 170 pezzi, con i quali ha coperto un trentennio di attività dell’artista. Neo Rauch dipinge per lo più seguendo il flusso della sua coscienza, lasciando che figure e scenari crescano nell’immaginazione e si sviluppino sulla carta. Abbiamo incontrato Rauch, per parlare del modo in cui ha creato i disegni ora in mostra.
Come usa Neo Rauch il disegno?
Non mi direi disegnatore, perché nel mio caso il disegno, semplicemente, accade. Sono un pittore, e non uso disegni per preparare i dipinti. Lascio che le idee fluiscano, attraverso le mie mani, nel mio pennello, o nella mia matita, non pensando troppo a quel che faccio. Non c’è differenza tra il modo in cui dipingo e quello in cui disegno. È quasi lo stesso.
Ha memoria del momento in cui ha iniziato a disegnare immagini?
A due anni disegnai un picchio. Dovrei provare a ritrovarlo, ed esporlo ora.
Disegna seguendo un certo soggetto mentale, oppure tutto viene quando posa la matita sul foglio?
Come ho detto, lascio che fluisca; lascio che accada. Si sviluppa da sé sulla carta. Quando inizio non ho programmi in mente.
I suoi primi disegni richiamano l’immaginario dei romanzi grafici e dei cartoni animati. Ha frequentato questi generi da ragazzo?
Certo, e sono forme che mi piacciono ancora tantissimo. È un modo importante, e sottovalutato, di raccontare il mondo e la condizione umana. Nemmeno la scena artistica guarda con sufficiente attenzione a romanzi grafici, fumetti e cartoni animati
È sempre stato un pittore figurativo?
Sì, anche se nei tardi anni Ottanta ho intrapreso qualche rischiosa avventura nel mondo dell’astrazione. Era un sentiero pericoloso, nel quale ho rischiato di perdermi – perdendo le vene creative più profonde che avevo nel mio essere, e nella mia mente. Potermi vedere mentre svanivo dai miei capisaldi è stata un’esperienza istruttiva. Mi ha salvato vedere Giotto ad Assini nel 2000. Viaggiavo in Italia, e sono stato travolto dai suoi affreschi. Erano tanto severi e ben ordinati da riportarmi alla pittura figurativa. (Giotto ha avuto influenza anche su un altro pittore contemporaneo, Nicolas Party. Qui il link alla nostra visita con Party alla mostra su Giotto a Palazzo Reale, Milano).
Abbiamo letto che lei non ama quando il suo lavoro viene etichettato come ‘realismo sociale’, ma durante i suoi studi a Leipzig, questo realismo, non l’ha influenzata?
Mi ha influenzato il realismo, non il realismo sociale; in realtà nemmeno i miei insegnanti erano può influenzati da questa corrente. Durante il periodo in cui ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Leipzig la politica non ha mai pesato più dell’estetica. Il direttore disse che non avrebbe mai permesso che il Partito Comunista influenzasse noi studenti. Avremmo dovuto sviluppare le nostre inclinazioni in un clima pacifico, che ci permettesse di concentrarci e vivere serenamente gli studi.
Nel catalogo della mostra al Drawing Center Brett Litttman, co-curatore, racconta che qualche volta lei disegna su un stronco d’albero che sta del suo studio, il che sembra un po’ surreale. Quanto conta dunque il Surrealismo sulla sua pratica artistica?
A 15 anni ero profondamente toccato dalle opere di Salvador Dalí and René Magritte. Mi toccarono al punto che finii per iscrivermi alla scuola d’arte di Leipzig. Lì c’era un docente, pure molto attratto da Dalí. Era Arno Rink. In quel momento per me non c’era altro modo di avvicinarmi a questo serbatoio di ispirazione che frequentare l’Accademia.
Esprime mai i suoi sogni quando dipinge?
No. Dipinti e disegni non riflettono i miei sogni. Mi interessa stimolare i meccanismi del sogno – come se fossi un sognatore. Devo modulare la mia mene, per esser sicuro di entrare in un certo flusso del subconscio.
Si considera uno scarabocchiatore?
Certo. Molti dei lavori che espongo al Drawing Center sono scarabocchi. Ovviamente alcuni disegni sono più effetto dello scarabocchiare di altri. La maggior parte di questi lavori non avrei mai detto che sarebbe stata esposta – e sono lavori che Brett Littman ha trovato sul pavimento del mio studio. Abbiamo un modo di dire in Germania che recita così: ‘l’aggrovigliarsi di un lavoro è quel che genera l’arte’. Se ben presentato, anche un pezzo di carta logora può sembrare un’opera d’arte.
Quanto l’ambiente che abita trova spazio nelle sua pittura?
I paesaggi, e certi forme dei tetti, o i campanili delle chiese, spesso compaiono nei miei lavori. Sono certamente influenzato dall’ambite e dall’architettura del luogo in cui vivo.
Ci sono scenari ricorrenti nelle sue opere?
Ci sono elementi ricorrenti – come le finestre e gli alberi. Serpenti e dragoni ritornano in molti dei lavori ora in mostra a New York – specialmente nella parte dedicata ai dipinti su carta. Sembra che qualcosa di pericoloso e inspiegabile accada oltre il terrapieno.
I suoi personaggi sono presi dalla storia, oppure rappresentano la vita di oggi?
Direi entrambi. Quel che faccio riguarda l’assenza di tempo. Cerco di evitare d’essere collocato in una certa decade. Penso a una distanza di tempo più lunga.
La sua pittura è metafisica?
Spero di sì. Il modo in cui appare mi porta a chiedermi se lo sia. Mi dico: da dove arrivano queste cose? Chi mi ha detto di fare così e non altrimenti? Direi di essere un medium. Sì, mi spingerei così in là da dire che sono un medium, piuttosto che un artista guidato dal proprio cervello. Sono un pittore, non un’artista.
Cosa rappresenta per lei l’indescrivibile?
Direi che è responsabilità della pittura rappresentare cose indescrivibili e inaspettate – cose che le parole non possono rappresentare. Questo è il luogo dove la pittura entra in gioco.
Che ruolo hanno i titoli per lei?
Preferirei lasciare le opere senza titolo, ma sarebbe un problema per gallerie e collezionisti – e lo sarebbe anche per me, tutto ha bisogno di un nome. Non è sempre facile dare un titolo, ma qualche volta il titolo viene prima; certe parole sono in grado di far apparire il dipinto.
Nel suo scritto in catalogo Littman parla dei suoi disegni come di qualcosa che lei mette nel suo miscelatore mentale per ulteriori usi. È questo il motivo per cui l’azione, e la relazione tra oggetti e personaggi può sembrare confusa?
Una lunga domanda, e una risposta breve: sì. Le cose possono accadere per caso. A volte un dipinto può svilupparsi troppo rigidamente, allora devo intervenire lanciando una bomba, in modo da disturbare le cose, e creare nuovi livelli di corrispondenza tra gli elementi.
Da professore, cosa diceva ai suoi studenti sul disegno?
Penso di non far differenza tra pittura e disegno. Dico sempre loro di non preoccuparsi del mondo dell’arte, di mantenersi introspettivi. Caspar David Friedrich ha detto: ‘L’artista non dovrebbe dipingere quello che ha davanti a sé, ma anche quello che vede dentro di sé. Se, tuttavia, non vede nulla dentro di sé, allora dovrebbe anche rinunciare a dipingere ciò che ha di fronte’. Per il mondo che sta fuori molti studenti usano immagini fotografiche; ma li incoraggio a non farlo, a non usare questo strumento, perché esso li porta lontano dalla loro immaginazione. È meglio scegliere l’intera avventura, anche se è scomoda, ed esplorare le caverne nella propria mente, invece che quelle nella mente di uno sconosciuto.
Disegnando le capita di mischiare differenti media – come matita, penna e pittura. Si tratta di un gioco inconscio, oppure è un modo di lasciare intenzionalmente dei segni, come aggiungere un certo colore al quale magari sta pensando il relazione a dipinto?
Sono entrambe le cose. Uso anche il caffè e il tea – quel che c’è a portata di mano.
Oltre al fatto di essere su carta, in cosa differiscono i suoi disegni dai dipinti?
In realtà sono forme molto vicine tra loro. Alcuni disegni sono in effetti dipinti, tranne che per il fatto di essere su carta. Uso la carta per creare cambiamento, per avere una superficie diversa. Il pennello scorre più elegantemente sulla carta, non trova resistenza. È rilassante come prendersi una vacanza. Funziona anche nella direzione opposta. Quando lavoro su grandi fogli di carta poi comincio ha desiderare la tela. Va a ondate. I lavori su carta sono più leggeri perché mi avvalgo della possibilità di lasciare parti della superficie non dipinta. Il che produce immagini più leggere. Anche con la tela si può fare, ma non amo l’effetto delle parti di tela non dipinte.
In un’intervista del 2006 ha detto: ‘A mio modo,inalo il mondo che mi sta intorno. Fluisce nel pennello, e poi riappare, trasformato’. Il mondo che respira oggi ha un sapore così dolce ed è così ricco di potenziale come quello che respirava allora?
È agrodolce, come la vita intera. C’è un certo sapore nei limiti delle nostre vite che mi fa un poco arrabbiare, e mi rende triste. Ma spero di essere in grado di trasformare queste emozioni in un bel cromatismo. Un dipinto dovrebbe essere più intelligente della persona che l’ha eseguito.
November 12, 2019