Cosa vedere a Como? Architettura romanica meravigliosa
Che cosa vedere a Como? Medioevo tra il X e l’XII secolo, un’indagine sull’eccezionalità dell’arte e dell’architettura romanica di Como e del suo territorio.
1. Cosa vedere a Como? Architettura romanica
Introduzione, Arthur Kingsley Porter
Cosa vedere a Como? Il modo migliore di capire quanto fondamentali siano Como e il suo territorio per l’architettura romanica è probabilmente quello di evocare lo spirito di Arthur Kingsley Porter, storico dell’arte misteriosamente scomparso nel 1933 in Irlanda, sull’isola di Inishbofin, dove il milionario americano, titolare della cattedra di storia dell’arte della Harvard University, possedeva un cottage di pesca. Quando scomparve – il corpo non fu mai ritrovato – Kingsley Porter aveva solo cinquant’anni, ma aveva già dato vita a due libri fondamentali per lo studio dell’architettura romanica come Lombard architecture – edito in 4 volumi tra il 1915 e il 1919, proprio mentre l’Europa commetteva il suo primo suicidio socio politico – e Romanesque sculpture of the pilgrimage roads, pubblicato poco dopo, nel 1925, l’anno in cui Kingsley Porter aveva acquisito anche la proprietà di Glenveagh Castle, nella Contea di Donegan, nel nord dell’Irlanda, non lontano da Inishbofin.
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Arthur Kingsley Porter, in compagnia della moglie Lucy Bryant Wallace, ha girato l’Europa in lungo e in largo, percorrendo, per primo in auto e in modo sistematico, le vie dell’architettura romanica e della straordinaria espressività di quello che nel Vecchio Continente è rimasto del contesto sociale e politico da cui lo stile romanico è nato. Nel loro primo viaggio Italia, il viaggio di nozze, i coniugi Kingsley Porter visitano Chiavenna e Como, dove si innamorano della Basilica di San Fedele, come Lucy ricorderà in un diario di viaggio. A Como Kingsley Porter riserverà sempre speciale attenzione, considerandola un centro di scambio fondamentale tra l’Italia e il resto d’Europa, capace di recepire e trasmettere modelli, stili, e sapere – un sapere da intendersi soprattutto come competenza tecnica, come ha notato un altro medievalista di fama internazionale, Umberto Eco. Vista nell’ottica di uno storico dell’arte che compie in prima persona, avventurosamente, un viaggio di scoperta, questa presunta o effettiva centralità artistica ha una ragione ben precisa. A parziale eccezione della Catalogna – terreno di caccia di un altro protagonista della storia dell’arte, Josep Puig i Cadafalch, non esistono infatti altre aree in Europa in cui le persistenze romaniche siano altrettanto concentrate, ben conservate, e tutt’ora funzionalmente connesse con il territorio. Una cosa è entrare in un museo, fare la coda magari, pagare un biglietto, e sforzarsi di immaginare gli ambienti remoti da cui vengono gli oggetti esposti. Altra cosa è muoversi liberamente, entrare e uscire, scoprire oltre al monumento la sua funzione, e magari spingersi fino alla cava da cui è stata estratta la pietra con cui un edificio è stato costruito.
La piccola cappella romanica dove S. Fedele fu decapitato nel III secolo AC mentre si affrettava scappare per le montagne. Nel XVI secolo un Vescovo di Como trovò il corpo del martire, ed eresse una chiesa a Como in suo onore. Il suo corpo riposa ancora qui, nella chiesa di San Fedele. Sono le 4.30 del pomeriggio – mentre stiamo scattando senza luce una fotografia dell’affresco nell’abside. Un Cristo sta nel centro (a mezza figura). Il viso è stato rifatto. I due angeli, uno per lato, si inchinano. Ne stiamo prendendo uno alla sua sinistra. Indossano tuniche bianche, e sopra le spalle indossano vesti gialle che cadono sulla schiena in pieghe circolari, un tovagliolo rossastro… Io e Kingsley eravamo qui nel 1912 – Lucy Bryant Wallace, Appointment diary, 1923, Harvard University Archives, 1923.
2. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Mappa
3. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Sull’idea di stile romanico (lombardo)
Da un certo punto di vista il romanico potrebbe essere considerato il primo stile europeo. L’idea si forma nell’alveo della cultura romantica di primo Ottocento. Padri fondatori degli studi sul romanico lombardo sono Arthur Kingsley Porter e, prima di lui, il francese Fernand de Dartein, che a 23 anni, tra il luglio del 1860 e il gennaio dell’anno successivo compie la prima delle sue 9 missioni di studio in Italia. Da questi viaggi, tra il 1865 e il 1882, nasce il fondamentale Étude sur l’architecture lombarde et sur les origines de l’architecture romano-byzantine. Illustrano il testo gradi tavole che recano i primi rilievi delle architetture descritte. Sono disegni tecnici molto precisi per l’epoca, eseguiti sulla base di rilievi effettuati da esperti locali, attivi mentre nella nuovissima Italia l’esigenza di definire l’identità nazionale apriva il campo un po’ ovunque a campagne di restauro più o meno estese e ambiziose. A Como, per esempio, si restaura Sant’Abbondio, con la direzione di Serafino Balestra e l’attenta osservazione di Camillo Boito, che in quegli anni teorizza il ritorno storicista al romanico lombardo.
4. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Como tra il X e il XII secolo
Como è già un importante crocevia economico e militare durante l’Impero Carolingio, ma la città vive un vero e proprio boom in età comunale, dopo l’anno 1000, quando il potere culturale ed economico cittadino cresce al punto di generare un conflitto decennale con la fortissima Milano. Como viene assediata e distrutta dai milanesi nel 1127, ma basta un trentennio perché la città, grazie all’alleanza con Federico Barbarossa, risorga. Nel 1158, appena giunto in Italia per la sua seconda spedizione, l’Imperatore sconfigge Milano. Questo gli permette, tra l’altro, di assecondare l’ampliamento delle mura di Como e la costruzione della torre del Baradello – che nel 1178 Barbarossa donerà, assieme al castello annesso, alla Chiesa locale. Nel 1162, alleati dell’imperatore, i comaschi contribuiscono alla messa a ferro e fuoco di Milano. In questo secondo assedio Milano perde anche le proprie mura. Le nuove mura di Como, invece, ora hanno tre torri sul lato sud, quello opposto al lago. E nel 1192 viene ultimata anche la ricostruzione di Porta Torre, quella rivolta proprio verso Milano. Tra la seconda metà del X secolo e i primi due secoli del nuovo millennio fioriscono a Como e nel suo territorio i cantieri dell’architettura romanica, che attingono soprattutto alle cave di Moltrasio, dove si estrae l’omonima pietra (qui il link al Sentee di Sort, la suggestiva passeggiata lungo la quale si trovano le antiche cave), e da quelle di Musso, da dove invece arriva un marmo bianchissimo. Nascono prestigiosi edifici religiosi, importanti ‘strutture’ del potere economico oltre che di quello religioso (Tabacco, 2000).
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5. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Basilica di San Fedele
La Basilica di San Fedele, capolavoro d’architettura romanica, sorge sul luogo della prima cattedrale di Como, che era stata dedicata a Sant’Eufemia in relazione al ruolo svolto da Abbondio, teologo e vescovo della città, nella preparazione del Concilio di Calcedonia, aperto l’8 ottobre del 451 nella Basilica intitolata a Sant’Eufemia, martirizzata nel 303 proprio nell’antica città sulla costa orientale del Bosforo. Nel VI secolo, in memoria e in difesa di tale concilio, si era generato lo scisma dei Tre Capitoli, al quale la chiesa di Como aveva aderito. In contrapposizione al papa, la città aveva lasciato l’arcidiocesi milanese per seguire il patriarca di Aquileia. Nel 606 il patriarca inviava a Como il vescovo Agrippino, poi fondatore di un’altra chiesa dedicata a Sant’Eufemia, quella sull’Isola Comacina – dove il vescovo è stato sepolto.
Il primo documento che cita l’antica cattedrale comasca è dell’865, ma l’edificio doveva risalire almeno al V secolo, come attestano i resti di un altro edificio a essa collegato, il battistero di San Giovanni in Atrio, posto in asse con la chiesa, sul lato opposto del suo quadri-portico (poi trasformato in piazza). A sud della cattedrale c’era anche un terzo edificio, la chiesa di San Pietro in Atrio, pure parte del ricco complesso originario.
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Nel 964 le spoglie di San Fedele vengono portate a Como dal luogo del loro ritrovamento, nei pressi di Samolaco, sulla via che porta a Chiavenna. Qui il santo era stato assassinato durante le persecuzioni ordinate da Diocleziano; una chiesetta, San Fidelino, nasce in riva al lago di Mezzola in memoria dei fatti. Nel 1070 il vescovo Rainaldo istituisce, a Como, la collegiata di San Fedele, ovvero dota la basilica di un capitolo di chierici. I milanesi risparmiano l’edificio quando nel 1127 mettono a ferro e fuoco la città. Poi, nella seconda metà del XII secolo, la basilica viene rinnovata nella parte che volge a oriente, con una terminazione a pianta centrale. Il sisma del 1170 fa probabilmente crollare il campanile, ricostruito nel 1271.
Nei secoli successivi la chiesa viene più volte ritoccata, ma nel 1867 – in un clima di mutata sensibilità culturale e in concomitanza con il restauro dell’altra basilica comasca, quella di Sant’Abbondio – si cambia approccio. Si riscopre l’architettura romanica medievale. Il pavimento viene riportato all’altezza originale; si ripristinano le cappelle del coro; si asportano gli stucchi seicenteschi; si interviene sull’abside settentrionale e sulle tre finestre del coro, eseguite a strombo con marmo bianco di Musso – invece che con la pietra di Moltrasio, che sarebbe stata più coerente al materiale originario (l’intervento risale al 1878). A partire dal 1894, si ripristinano la copertura della cupola, il tiburio, e il campanile, che rischiava di crollare – dell’originale rimangono solo i primi 12 metri. All’inizio del 900 si rendono necessari altri interventi. A partire dal 1914 la facciata viene rivestita con conci regolari; vengono scolpiti gli archetti del sottotetto, prima solo dipinti. Si mantiene il rosone centrale, che era stato ricostruito nel Cinquecento. Viene rifatto anche il potale, con arco a lunetta, impiegando però il marmo serpentino verde, materiale estraneo a quelli originariamente impiegati per la costruzione. Altri interventi risalgono al 1965, quando si ricostruiscono due lesene centrali dell’abside e si aprono due monofore. Delle absidi originarie l’unica rimasta intatta è quella centrale. In anni recenti si procede al restauro del e sculture del portale posteriore.
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La Basilica di San Fedele conserva uno dei brani scultorei più significativi dello stile romanico lombardo. Sono le lastre scolpite che incorniciano il portale posteriore dell’edificio, ri-assemblate secondo un ordinamento differente dall’originale in seguito al rinnovamento del suo corpo orientale. Il marmo di Musso, di cui sono fatte le lastre scolpite, contrasta con la pietra di Moltrasio, con cui è invece stata costruita la parete. Tra gli archetti e le cuspidi del portale, in cui sono inseriti due blocchi modanati di arenaria, si trova una lastra di reimpiego di epoca romana. Nella chiave della cuspide è stata scolpita una sirena acefala. La lastra a sinistra del portale, la più grande, reca l’immagine del profeta Abacuc che riceve da un angelo il cibo che porterà a Daniele nella fossa dei leoni. Daniele è rappresentato più sotto, entro un’edicola con arco a tutto tondo. A destra della scena antico testamentaria, vividamente scolpito proprio sull’angolo della lastra, un drago morde un altro drago che schiaccia una chimera. Come ai tempi dello Scisma, il male che porta discordia e conflitto si contrappone alle figure religiose, che invece nutrono, ricompongono, unificano, pacificano. Una maschera della terra completa la rappresentazione. Al sommo dell’angolo è poi scolpita una scimmia, con la testa china nell’atto di sollevare il saio. Una seconda scimmia, più piccola, le corrisponde sul montante opposto, dove è pure scolpita una scena di caccia a sfondo simbolico. Due draghi si contendono la testa di una preda; un cane feroce punta una lepre.
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Nel demabulatorio absidale di San Fedele si trovano due leoni stilofori, ora posti a reggere due acquasantiere. Forse un tempo le due sculture stavano alla base delle colonne del protiro, similmente ai leoni del portale di Santa Margherita (conservato presso la Pinacoteca Civica). Su uno di essi è accovacciata una figura umana senza testa. Nell’altra il tema è invertito, il leone dalla bocca spalancata schiaccia l’uomo.
Riguardo agli affreschi, sono da segnalare quelli presenti sul cosiddetto ‘muro obliquo’ (Valagussa). Il brano più antico, probabilmente risalente al XIII secolo, rappresenta la Vergine orante in mandorla sorretta da quattro angeli a sinistra della quale compare San Giovanni Battista, figura ormai quasi perduta. Sembra invece risalgano al primo Trecento la Trinità, Sant’Anna Metterza e la Madonna con bambino affiancata alla decollazione di San Fedele.
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6. Cosa vedere a como? Architettura romanica:
Basilica di Sant’Abbondio
Altro gioiello d’architettura romanica è la Basilica di Sant’Abbondio. L’edificio occupava in origine una posizione strategica, lungo la via Regina. Fino al XIX secolo è stata infatti questa l’unica strada carrozzabile del lago, ovvero quella che metteva in comunicazione i territori di Como e quelli di Milano con il nord dell’Europa. La Basilica di Sant’Abbondio nasce su una precedente chiesa cimiteriale paleocristiana, la Basilica Apostolorum, che risaliva alla seconda metà del V secolo e conteneva il sepolcro del vescovo Abbondio, oltre e quelli di alcuni suoi successori. La dedica al vescovo, diventato poi patrono di Como, è attestata da un documento dell’818.
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![Romanesque architecture como](https://www.conceptualfinearts.com/cfa/CFA-content/uploads/2019/12/DSC09562-1024x683.jpg)
In età Carolingia la Basilica di Sant’Abbondio viene dotata di preziose transenne presbiterali decorate a rilievo con motivi a intreccio complesso, smontate e reimpiegate capovolte come lastre pavimentali alla fine del XVI secolo, infine rinvenute e asportate durante il restauro ottocentesco. La maggior parte è conservata presso la Pinacoteca Civica di Palazzo Volpi. Una parte minore, ma meglio conservata, si trova invece nella cappella funeraria della Villa Lucini Passalacqua di Moltrasio, nei pressi della chiesa di Sant’Agata (purtroppo la cappella, di proprietà dei discendenti dei Lucini Passalacqua, è chiusa al pubblico).
Nel 1010 a Sant’Abbondio si insedia una comunità monastica benedettina, che in seguito riceve cospicue donazioni. La prima da parte da alcuni notabili milanesi, nel 1027. La seconda nel 1063, da Rinaldo, vescovo di Como. Queste risorse permettono di innalzare un grandioso edificio romanico a cinque navate, con un profondo coro per accogliere i monaci, affiancato da due imponenti campanili. In questo momento vede la luce anche il primo nucleo del monastero annesso alla basilica, diventato in tempi recenti sede universitaria. La nuova struttura, eretta con pietra proveniente dalle cave di Moltrasio, come la maggior parte dell’architettura romanica dell’area, viene consacrata da Papa Urbano II nel 1095. Le finestre del coro sono impreziosite da cornici scolpite in pietra scistosa, ricavata probabilmente da massi erratici provenienti dalla Val Chiavenna.
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La basilica viene profondamente rimodulata alla fine del XVI secolo, in seguito alla riscoperta e alla ricollocazione delle salme di Abbondio e dei suoi primi vescovi successori. Le operazioni si devono alla commissione del cardinale Tolomeo Gallio (al quale si deve anche la costruzione della celebre Villa d’Este a Cernobbio). Un finestrone termale arcuato compare in facciata, e si abbatte la tribuna sulla contro-facciata in corrispondenza della navata centrale, con la relativa scala di accesso. Vengono allargate le finestre del coro, e si aprono due nuove finestre all’estremità delle navate laterali. La navata centrale viene coperta con una volta a botte, mentre quelle laterali sono dotate di volte a crociera. Nuovi altari sono addossati alle pareti laterali. Nel secondo quarto del XVII secolo, quando il monastero viene affidato a una congregazione femminile, alla chiesa viene aggiunto anche un tramezzo, che la divide in due parti. Il campanile settentrionale viene ricostruito, dopo un crollo, nel 1784.
Un’impegnativa e pionieristica campagna di restauro interessa la Basilica di Sant’Abbondio tra il 1863 e il 1874. Il processo di costruzione della nuova identità nazionale impone che si proceda ripristinando lo stile romanico originale. Si abbattono le volte cinquecentesche, si ricostruisce la tribuna della contro-facciata. Si chiude il finestrone lunettato aperto nella facciata nel XVI secolo sostituendolo con due monofore e una finestra posta sopra al portale. Si eliminano le tracce degli archi del portico originario, di cui tuttavia si decide di conservate le colonne in corrispondenza dei contrafforti. L’architettura romanica risorge. Sulla chiesa si interviene ancora tra il 1928 e il 1936. Riemergono gli affreschi della prima campata del coro e si restaurano i dipinti dell’abside. La muratura esterna è stata ripulita in anni recenti.
L’abaco del semi capitello di destra del portico reca l’incisione MA […] OLINUS. Potrebbe trattarsi della firma dell’autore di una parte o dell’intero ciclo decorativo, ovvero di Magister Olinus, oppure Magistro Olinus. Le sculture che decorano la chiesa rappresentano piante e animali, mischiando realtà e fantasia, ma anche motivi squisitamente geometrici. Ci sono cervi, lupi, leoni, colombe, aquile, draghi, e due ‘maschere della terra’. Sono visi antropomorfi dalla cui bocca spuntano nastri vegetali che compaiono nel semi-capitello del lato meridionale del coro. Le maschere di terra ritornano nel portale orientale della Basilica di San Fedele, e in quello della Chiesa di Santa Margherita, conservato nella Pinacoteca Civica di Palazzo Volpi.
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Oltre alle già citate transenne del presbiterio carolingio, nella Pinacoteca Civica di Palazzo Volpi sono confluiti anche un capitello, un frontale d’ambone (in marmo di Musso) e la cornice decorata di una delle finestre del coro. Il capitello, detto capitello dei Magi, rappresenta l’Annuncio dell’angelo a Giuseppe, la Fuga in Egitto e, appunto, l’Adorazione dei Magi, che occupa due dei quattro lati. Sul fronte d’ambone è scolpito un vescovo, i cui grandi piedi schiacciano due esseri mostruosi con espressivi occhi a mandorla e denti squadrati. Potrebbe trattarsi proprio di Abbondio, qui rappresentato nelle vesti di San Michele, impegnato a combattere con il male – torna la memoria dello Scisma. I caratteri stilistici dell’opera sono infatti affini a quelli delle sculture che affiancano il portale orientale della Basilica di San Fedele.
Nel XIV secolo viene portata a termine l’importante campagna decorativa ad affresco dell’interno, riemersa, come si diceva, solo nel XIX secolo. È particolarmente rilevante l’abside maggiore, dove nella parte della semi cupola si trova Cristo benedicente affiancato da San Pietro e San Paolo. Sotto scorrono gli episodi della vita di Cristo, tra i quali il battesimo è forse il brano visivamente più espressivo. I dipinti sono di mano di un maestro che in seguito all’impresa sarà chiamato Maestro di Sant’Abbondio.
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7. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Isola Comacina e Chiesa di Sant’Eufemia (Tremezzina)
L’Isola Comacina è stata una specie di banca. Qui, protetti dalle acque del lago, che funge da fossato naturale, si conservano le ricchezze. Stando a quanto scrive Paolo Diacono, l’isola offre riparo a Gaidolfo, duca di Bergamo, e a re Cunicpert prima della battaglia di Coronate; e ad Ansprango, che fugge da Ariperto (Belloni, 1966). Nel 1031 Litigerio, Vescovo di Como, fonda sull’Isola Comacina la canonica dedicata a Sant’Eufemia – e la memoria corre di nuovamente allo Scisma. Nel 1127 gli isolani sono alleati di Milano. Dopo la sconfitta impartita alla città da Federico Barbarossa, al quale Como è alleata, l’isola, nel 1169, viene saccheggiata e distrutta dai comaschi stessi. Il capitolo di Sant’Eufemia si trasferisce a Balbiano. Passano i secoli. All’indomani della prima guerra mondiale l’Isola Comacina, finita in mani private, viene donata al re del Belgio, Alberto I, che a sua volta la cede allo Stato Italiano. Così l’isola è affidata alla tutela congiunta dell’Accademia di Brera di Milano e dell’Académie Royale des Beaux-Arts di Bruxelles.
Altri longobardi assediarono poi nell’isola Comacina il generale Francione, che ancora combatteva dalla parte di Narsete, resistendo da vent’anni. Dopo sei mesi di assedio Francione consegnò l’isola ai Longobardi; come aveva chiesto, fu lasciato libero dal re [Autari] e con la moglie e i beni si recò a Ravenna. Sull’isola vennero rinvenute molte ricchezze, che lì erano custodite per conte di molte città – Paolo Diacono, Historia Langobardorum III, 26.
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8. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo (Spurano di Ossuccio)
La Chiesa dei Santi Giacomo e Filippo dipendeva dall’Isola Comacina, e dunque al Capitolo di Sant’Eufemia. È anch’essa un notevole esempio di architettura romanica. La scansione dell’abside, con archi a doppia ghiera, e l’apparecchiatura muraria del fianco a nord, fanno pensare che una prima aula sia stata eretta nell’XI secolo (Piva/Cassanelli, 2011), per poi essere ampliata nel secolo successivo. L’esile campanile a vela, asimmetrico ed essenziale, è successivo all’ampliamento. La chiesa è stata dotata di un ricco corredo pittorico, parzialmente conservato. Il motivo della cornice superiore degli affreschi sulla parete ovest ricompare a San Pietro al Monte, a Civate, e a San Giorgio in Borgovico, a Como. Nel registro superiore sono raffigurati episodi della Passione di Cristo. Sotto di questi rimangono il Peccato originale, una coppia seduta, e tre figure, in relazione alle quali è stata avanzata l’ipotesi che si tratti dell’Incontro tra Salomone e la regina di Saba, oppure del banchetto offerto da Ester ad Assuero. Sulla parete opposta, quella verso il lago, campeggia un intenso San Cristoforo, con i piedi aperti che poggiano su un finto stipite. Il ciclo di dipinti di San Giacomo è stato probabilmente commissionato dai canonici di Sant’Eufemia, quando lasciarono l’Isola dopo la distruzione del 1169.
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9. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Chiesa di Santa Maria Maddalena (Ossuccio)
Anche questa struttura è citata per la prima volta nel 1169, presente nei pressi del vicino ospedale. La data della sua edificazione oscilla tra l’XI e il XII secolo. L’aspetto attuale si deve al restauro del 1939. Il tufo di cui sono fatti gli archetti proviene dalle vicine cave della Val Perlana. Sono di fattura pregiata, ricavati da un unico blocco. La cella campanaria risale al XIV secolo (Piva). Reca interessanti decorazioni gotico orientaleggianti. Attenzione al fregio marmoreo murato nel portico antistante la chiesa. È possibile che in origine decorasse una finestra. Come molte delle sculture applicate alle architetture romaniche, anch’essa rappresenta animali feroci che si scagliano contro una preda. Un leprotto cerca di rifugiarsi sotto le lunghe e stilizzate foglie di un cespuglio, mentre un drago e due lupi dalle fauci spalancate lo bloccano da entrambi i lati. Siamo nella seconda metà dell’XI secolo. Purtroppo la decorazione interna è andata quasi interamente perduta. Rimane un capitello, conservato presso l’Antiquarium, piccolo museo antistante la chiesa.
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10. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Chiesa di Santa Maria del Tiglio e Chiesa di San Vincenzo (Gravedona)
La chiesa di Santa Maria del Tiglio sorge su un’area già interessata da insediamenti di carattere sacro in età romana. Lo attesta la sopravvivenza di tre are romane, due delle quali ancora presenti nella chiesa – la prima a destra dell’ingresso, la seconda inglobata nella muratura della zona absidale, mentre la terza è attualmente conservata nel Museo Archeologico di Cremona (Cassanelli/ Piva, 2011). È invece di epoca paleocristiana – VI secolo – la lastra tombale di marmo di Musso murata nel presbiterio della vicina chiesa di San Vincenzo. Gli storici concordano nel collocare la costruzione di Santa Maria del Tiglio nella prima parte del XII secolo, anche in relazione alla apparecchiatura muraria, eretta con blocchi perfettamente squadrati di marmo di Musso e pietra nera d’Olcio disposti a strati alterni. La fabbrica insiste sul luogo del battistero paleocristiano dedicato a San Giovanni Battista dell’antico complesso plebano, attestato archeologicamente e citato in un documento dell’823 in relazione a un avvenimento miracoloso: l’Adorazione dei Magi dipinta a fresco nell’edificio avrebbe emesso luce propria per due giorni consecutivi. L’evento straordinario ritorna nella storia locale, e una lapide posta sopra la porta meridionale della chiesa ancora lo ricorda. Si ipotizza che sia il miracolo a far decidere di trasformare in chiesa quello che prima era invece un battistero.
Una pergamena del 1154 attesta che a quel tempo Santa Maria del Tiglio già esisteva. I rapporti delle visite pastorali cinquecentesche sollecitano la risistemazione della vasca battesimale, mentre nell’Ottocento lo storico Cesare Cantù sottolinea l’esigenza di restaurare un edificio che allora doveva trovarsi in condizioni davvero precarie. I lavori iniziano nel 1875. Per prima cosa si ripristina il livello del terreno intorno all’edificio, al centro di una lieve depressione, che è facile pensare potesse creare problemi quando il lago si alzava di livello. Tre anni dopo si interviene sul tetto dell’abside, e su parte della muratura. Nel 1895 si asportano gli stucchi barocchi dalle absidi. Infine, nel 1953, si asportano gli altari aggiunti in epoca barocca riportando l’architettura romanica al suo stato originale. In quest’occasione si recuperano anche gli affreschi medievali. Il rinnovamento in forme romaniche della chiesa di San Vincenzo è invece anteriore, lo dichiarano la tecnica muraria e la notizia della consacrazione, avvenuta, come abbiamo detto, nel 1072. Anch’essa modificata in età barocca. La chiesa conserva i perimetrali esterni, la parte inferiore della facciata, la parte inferiore delle tre absidi, e la bellissima cripta.
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La torre campanaria, che ingloba il portale di ingresso alla chiesa, è alta 35 metri. Sporge in corrispondenza della mezzeria dalla facciata, dando alla struttura con un effetto quasi aerodinamico, secondo modelli presenti in Borgogna e Alsazia. La torre ha base quadrata, che poi diventa ottagonale quando la struttura si stacca dal tetto. Culmina in una cupola coperta con beole di Moltrasio. Sulle fasi di costruzione del campanile non c’è certezza, ma studi recenti hanno avanzato l’ipotesi che in origine avesse pianta a croce. Certo è, invece, che la forma attuale ha origini cinquecentesche.
![The bell tower, which incorporates the entrance door to the church at its centre, is 35m high. It sticks out by the midpoint of the facade, thus giving the structure an almost-aerodynamic shape, addressing those models found in Burgundy and Alsace. The tower has a square base, which becomes octagonal when the structure detaches from the roof. It ends with a dome, covered with gneiss from Moltrasio. There is no certainty with regards to the construction phases of the tower, despite recent studies have suggested that originally the campanile must have had a cruciform shape. Though it is sure that the current shape dates back to the 1500.](https://www.conceptualfinearts.com/cfa/CFA-content/uploads/2019/12/DSC09717-1.1.jpg)
![The bell tower, which incorporates the entrance door to the church at its centre, is 35m high. It sticks out by the midpoint of the facade, thus giving the structure an almost-aerodynamic shape, addressing those models found in Burgundy and Alsace. The tower has a square base, which becomes octagonal when the structure detaches from the roof. It ends with a dome, covered with gneiss from Moltrasio. There is no certainty with regards to the construction phases of the tower, despite recent studies have suggested that originally the campanile must have had a cruciform shape. Though it is sure that the current shape dates back to the 1500.](https://www.conceptualfinearts.com/cfa/CFA-content/uploads/2019/12/DSC_3743-1.1.jpg)
![The bell tower, which incorporates the entrance door to the church at its centre, is 35m high. It sticks out by the midpoint of the facade, thus giving the structure an almost-aerodynamic shape, addressing those models found in Burgundy and Alsace. The tower has a square base, which becomes octagonal when the structure detaches from the roof. It ends with a dome, covered with gneiss from Moltrasio. There is no certainty with regards to the construction phases of the tower, despite recent studies have suggested that originally the campanile must have had a cruciform shape. Though it is sure that the current shape dates back to the 1500.](https://www.conceptualfinearts.com/cfa/CFA-content/uploads/2019/12/DSC09746-1.1.jpg)
Cosa vedere a Como. L’impianto quadrilatero dell’interno di Santa Maria del Tiglio è amplificato dalle concavità di numerose absidi, le maggiori delle quali si aprono su ciascuno dei tre lati e sporgono dai muri perimetrali. Le pareti nord e sud sono scandite da due colonne che sorreggono tre archi. Quelli laterali sono ciechi, mentre quello maggiore, centrale, incornicia la rispettiva abside. Nella parete orientale si aprono invece tre absidi. Quella maggiore, in posizione centrale, è scandita a sua volta da tre nicchie. Di queste, le due laterali sono ricavate nello spessore del muro. L’articolazione dello spazio risulta dinamica e ricca di contrasti tra luce e ombra. È possibile che la mensa d’altare sia quella del battistero originario. I capitelli con le aquile sono associabili a quelli presenti a Sant’Abbondio a Como. Rimangono porzioni di pittura a fresco sulla contro-facciata e nelle absidi. Il Giudizio Universale è probabilmente stato eseguito nel XIV secolo. Nell’abside a nord si trovano rappresentate Sant’Anna Metterza, Santa Susanna, un episodio della vita di San Giuliano. In quella centrale c’è una crocefissione, mentre in quella orientale c’è l’Adorazione dei Magi. Il bellissimo crocifisso ligneo viene invece da San Vincenzo, ed è stato collocato in Santa Maria del Tiglio durante l’ultima compagna di restauro (1997/2000). I cinque blocchi che lo compongono sono di pioppo e ontano. È associabile a un crocifisso di bronzo della dell’abbazia di Werden, o a quello si Santa Maria maggiore a Sondalo. Dovrebbe risalire alla metà del XII secolo. All’interno, sopra la cornice, lo spessore murario si riduce e dà origine a un camminamento, che è accompagnato da due gallerie, scandite da archetti su colonnine che corrono lungo le pareti settentrionale e meridionale.
11. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Battistero di San Giovanni Battista e Cripta della Chiesa di Santo Stefano (Lenno)
Il Battistero e la cripta della chiesa di Santo Stefano a Lenno rimangono ad attestare l’antico complesso plebano medievale, posto a metà del tracciato della via Regina, che comprendeva, all’interno di una cinta muraria, anche due cappelle collocate ai lati del presbiterio della parrocchiale, come nei casi dell’architettura romanica di Santa Maria del Tiglio e San Vincenzo a Gravedona, o del complesso di San Fedele a Como. Alla cripta si accede attraverso due scale il cui ingresso si trova a metà della navata centrale. La pianta trapezoidale, desunta da quella della cripta della Basilica di Sant’Eufemia sull’Isola Comacina, è suddivisa in cinque campatelle da una fitta serie di colonne, e culmina in tre absidiole illuminate da finestrelle schermate da lastre litiche forate. La datazione dei capitelli è ancora controversa – in particolare quella del tipo corinzio con volute marcate, che si riscontra anche a Como nelle chiese di Sant’Abbondio, San Fedele e nella cripta di Sant’Eufemia sull’Isola Comacina. Il battistero, a pianta ottagonale, ha elementi strutturali molto marcati, e un inusuale portale a tre arcate.
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12. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Chiesa di Sant’Agata (Moltrasio)
I primi documenti che attestano la presenza di quest’architettura romanica risalgono al 1215, ma il nucleo originario è anteriore. L’attuale chiesa, composta da due aule, è stata costruita in due fasi. All’XI secolo risalgono la navata sinistra e il campanile – il periodo di costruzione si deduce dalla tecnica con cui sono stati costruiti i muri, sormontati dai tipici archetti ciechi che ne decorano la sommità. A questa prima aula ne viene aggiunta una seconda, due secoli dopo, sul lato verso il lago. Nel XVI secolo Sant’Agata perde parte dei suoi affreschi, già in precario stato di conservazione; il pavimento cresce di quota; la facciata viene coperta d’intonaco e dipinta di rosso – come le tracce di colore rimaste ancora testimoniano. Nei secoli successivi la chiesa diventa ricovero per gli appestati. Poi viene abbandonata. Seguono, nel secolo scorso, diversi interventi di restauro. Si cerca di ristabilire le caratteristiche dell’architettura romanica originaria. L’ultimo intervento risale al 2006. Riemerge in quest’occasione parte degli affreschi medievali, trovati sulla volta a crociera della navata principale (un angelo e alcuni motivi geometrici). Nell’abside è ricomparso invece un affresco cinquecentesco raffigurante Cristo in mandorla tra San Rocco e Sant’Antonio abate, attribuito a Giovanni Andrea de Magistris (Frigerio). Rimangono invece i rari affreschi esterni. Il primo rappresenta San Cristoforo, e risale al XIII secolo. Alla sinistra di questo, sormontato da tre archetti ciechi, c’è il Martirio di Sant’Agata, alla quale la Chiesa è intitolata.
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13. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Chiesa di San Calocero (Civate)
La chiesa di San Calocero era, insieme con il complesso di San Pietro al Monte, parte di un unico monastero. San Calocero era la chiesa monastica vera e propria. Risale all’XI secolo, ma un documento del 845 (Piper) attesta che già nel IX secolo la sua comunità era formata da 35 monaci. Tra questi ci sono 11 presbiteri, 6 diaconi, e 2 suddiaconi. A guidarli si avvicendano due personalità illustri come l’abate Leudegarius (in Italiano Leodegario o Leutgario), e il monaco benedettino Hildemarus (Ildemaro), entrambi di origine franca. Alla loro presenza si deve la spiccata internazionalità dei cicli decorativi.
Ildemaro era stato incaricato dall’arcivescovo di Milano Angilberto II (824-860) di riformare la vita monastica del nord Italia. A Civate Ildemaro scrive, anzi ‘detta’ il suo commento alla Regola benedettina. Ad Angilberto si deve anche il trasferimento a Civate del corpo del martire Calocero da Albenga – fatto in seguito al quale si cambia la precedente dedica a San Pietro. A San Calogero si conserva un importante ciclo di affreschi che interessa la navata centrale e la contro-facciata. Sulla parete nord, disposti su due registri, dalla contro-facciata verso est, ci sono episodi tratti dal libro dell’Esodo; ovvero le piaghe, e le vicende di Mosé e Aronne nel deserto. A sud, pure su due registri, ma in direzione opposta, ci sono episodi dai libri di Giosuè e dei Giudici: il passaggio del Giordano, la presa di Gerico, la vittoria sui re Amorrei, la vittoria di Gedeone sui re Madianiti, le storie di Sansone (presenti anche in contro-facciata), il giudizio di Salomone, le storie di Elia, oltre a due sene di incerta datazione (Cavallaro, 2006). Qui il link a Luce Nascosta, associazione che organizza visite guidate alla Chiesa di San Calocero e al ciclo di affreschi basso medievali della Casa del Pellegrino, recentemente restaurata e aperta al pubblico.
14. Cosa vedere a Como? Architettura romanica:
Abbazia di San Pietro al Monte (Civate)
Il complesso di San Pietro era un santuario, dedicato alle reliquie di San Pietro e San Paolo, e costruito in più fasi tra la seconda metà dell’XI e il primo decennio dell’XII secolo sulle rimanenze di una struttura precedente, di cui gli scavi condotti nel 2014 hanno rivelato parte dei muri perimetrali e un altare – da qualche tempo accessibili al pubblico (qui il link al sito degli Amici di San Pietro, associazione che contribuisce alla conservazione del complesso monumentale e provvede all’accoglienza dei visitatori). L’architettura romanica trova nell’Abbazia di San Pietro al Monte un esempio straordinario, anche per la qualità del suo ciclo decorativo. Il ciclo figurativo ‘al piano’ (in San Calocero) era infatti in qualche modo collegato con quello ‘al monte’; entrambi denotano unicità iconografica e notevole profondità dottrinale (gli studi più avanzati sono stai quelli condotti da Yves Christe a più riprese tra il 1984 e il 1996 seguendo i tituli degli affreschi, e da lì ricostruendo la coerenza delle scene del ciclo decorativo.
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I due punti di riferimento dottrinali per l’Abbazia di San Pietro al Monte sono il libro dell’Apocalisse e la tradizione esegetica, con particolare riferimento a Sant’Ambrogio. Quest’architettura romanica conserva, nel tempo, varie reliquie: le chiavi della prigione di San Pietro, un braccio del santo, la sua mano destra, il sangue coagulato di San Paolo, la lingua di papa Marcello. Si ritiene ci fosse un preciso itinerario penitenziale, che parte dall’entrata a est e percorre la navata verso le reliquie – il che sarebbe coerente anche con il ripido sentiero che si deve compiere, necessariamente a piedi, per raggiungere il complesso. I cancelli proteggono l’accesso all’altare e al coro. Gli stucchi che decorano l’altare della cripta rappresentano la Dormitio Virginis e la crocefissione di Cristo. Qui le colonne, probabilmente pure ricoperte di stucco, hanno capitelli decorati con grappoli d’uva. Sui muri perimetrali, all’altezza delle finestre, sono dipinte figure di vergini martiri. Uscendo da qui, attraverso la scala a nord, i pellegrini trovavano il portale della chiesa alla propria destra. La chiesa ha quindi due orientamenti e il ciclo decorativo riflette le funzioni attribuite all’architettura.
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Entrando dal portone principale, sulle pareti laterali, ci sono due pontefici romani, Marcello e Gregorio, che accolgono i catecumeni. Li incorniciano motivi decorativi che culminano nel pesce, simbolo di vita. La chiesa ‘edificio’ corrisponde alla chiesa ‘istituzione’. In corrispondenza del portone, all’esterno, il visitatore è accolto dal Cristo/Porta (il portale costituirebbe il corpo), con la traditio legis et clavium. Sulla volta della prima crociera c’è Cristo nella Gerusalemme Celeste, città dalle 12 porte custodita dagli angeli e aperta ai giusti. Dai piedi di Cristo sgorga la fonte di vita, suddivisa in quattro rivoli, che nella volta successiva formano i quattro fiumi del paradiso. I fiumi sono riconducibili all’esegesi di Ambrogio e Gregorio Magno, che è infatti raffigurato sulla parete, di fronte a Marcello (Christe). Come dicevamo, a lato di questa sono rappresentati, su pareti opposte, i papi Marcello e Gregorio, che accolgono penitenti e catecumeni. Essendo questo un vestibolo, la promessa implicita per i penitenti è quella dell’accesso alla Gerusalemme celeste.
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La chimera e il grifone, scolpite a basso rilievo nelle transenne tra le colonne tortili, sarebbero i custodi del tempio, oppure il peccato che il penitente è chiamato ad allontanare. La Crocefissione, a stucco rosa su sfondo azzurro sui timpani del ciborio, rappresenta il sacrificio necessario alla salvezza dell’uomo. A stucco, pure sul ciborio d’altare, ci sono anche la Resurrezione di Cristo, il Mandato alla Chiesa, e l’Ascensione. All’interno, nelle velette del ciborio, si trovano i quattro angeli dell’Apocalisse che trattengono i quattro venti della terra, simboleggiata da una testolina alata nell’atto di soffiare. Nella volta è dipinto l’agnello trionfante, circondato da una schiera di 18 figure con aureola, di cui 10 uomini e otto donne.
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Non sappiamo cosa ci fosse nell’abside. Il significato del percorso iconografico si inverte assumendo il punto di vista del clero. Il fulcro qui è la lunetta orientale, quella che si incontra uscendo. Sulla destra, la donna partorisce il figlio, minacciato dal drago e poi portato al trono di Dio; Michele e i suoi angeli combattono i male, ‘infilzandolo’. La donna è anche simbolo della Chiesa. Cristo è rappresentato al centro, vittorioso sulla morte e sul male. C’è infine corrispondenza tra il timpano del ciborio, con Cristo crocifisso, e il lunettone, dove invece Cristo trionfa sulla morte. Fondamentale, per l’intero ciclo, è il numero 3. Tre sono gli archi del vestibolo interno. Delle sue quattro colonne tortili, tre ruotano in un senso, una nel senso opposto. Tre sono i personaggi che Abramo, dipinto sulla contro-facciata appena sopra il portale, tiene tra le braccia. Trenta sono gli scalini (ottenuti da pietra di recupero) che portano al portale (24+3+3). L’intera architettura romanica è lunga 27 metri e larga 9.
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Si ritiene che il piccolo edificio a croce greca antistante il grande scalone della chiesa sia una cappella dedicata a San Benedetto, come tradizionalmente avviene nei monasteri benedettini francesi (Gatti, 2011). Di nuovo, si tratta di un’architettura romanica. L’edificio, rimasto per molti anni senza copertura e a lungo adibito a fienile, si conserva tuttavia nelle sue forme originarie. Della decorazione rimane solo il piccolo altare, affrescato su tre lati, con una rappresentazione della Deesis al centro, San Benedetto sul lato destro, e Sant’Andrea su quello sinistro.
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Bibliografia
- Fernand de Dartein, Étude sur l’architecture lombarde et sur les origines de l’architecture romano-byzantine, 1865/1882.
- Arthur Kingsley Porter, Lombard architecture, 1915/1919.
- Arthur Kingsley Porter, Romanesque sculpture of the pilgrimage roads, 1925.
- Maria Clotilde Magni, Architettura romanica comasca, 1960.
- Umberto Eco, Arte e bellezza nell’estetica medievale, 1986.
- Jacques Le Goff, L’Homme médiéval, 1987.
- Giovanni Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano, 2000.
- La Sezione Medievale dei Musei Civici di Como, a cura di Maria Letizia Casati, 2005.
- Roberto Cassanelli/ Domenico Piva, Lombardia romanica, 2011.
- Maria Letizia Casati, Scultura medievale per l’arredo liturgico a Como, contributi di H.R. Sennhauser e K. Roth-Rubi, 2014.
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May 1, 2023