Da Victoria Colmegna a Victoria Colmegna
Breve storia di come Victoria Colmegna ci ricorda con leggerezza, timidezza, esoterismo e nostalgia come il viaggio più lungo sia quello dentro noi stessi.
Quando parla degli anni in cui ha studiato alla Staedelschule di Francoforte, Victoria Colmegna lo fa partendo dalla differenza tra Buenos Aires, dove è nata e cresciuta, e la capitale dell’Assia, dove, vale la pena ricordare, ha sede la Banca Centrale Europea, che in questi giorni sta decidendo il destino dell’Unione. Da una parte l’arte accademica, la nostalgia, la famiglia, l’economia ballerina – cambiare valuta a Buenos Aires è ancora un’avventura. Dall’altra il ‘muro’, le certezze, l’autorevolezza, la sicurezza. A questo proposito torna utile la frase scritta da qualcuno in inglese nei gabinetti del KW Institute for Contemporary Art durante la Biennale di Berlino del 2012: ‘In a society that has abolished any adventure, the only adventure left is to abolish that society’.
Quando arriva a Francoforte Victoria Colmegna non sa molto del sistema in cui è finita. Della scuola le interessa l’aspetto pedagogico più che quello prettamente artistico – poi capiremo perché. Per lei, che viene dal Sud America, dove all’accademia si studiano le ‘belas artes’ dei bei tempi che furono, la Germania è un luogo esotico. Presto Victoria si rende conto che lì c’è un sistema dell’arte, ma continua a far avanti e indietro dal suo paese; non vuole consegnarsi alle ‘autorità’. In questo caso la nostalgia è un sentimento di resilienza. A 25 anni, quanti ne ha quando decide di studiare all’estero, Victoria Colmegna, che fa l’artista da quando ne aveva 17, ha già nostalgia del passato di Buenos Aires, degli anni che seguono la caduta della dittatura, dei club, dell’amico artista Sergio de Loof, mattatore (the naughtiest) delle notti argentine di fine millennio, purtroppo scomparso il 23 marzo scorso.
Leggerezza
Come la mostra allo Schwarzescafe/LUMA Westbau (link) ha chiaramente dimostrato (si è di fatto trattato di una retrospettiva anticipataria) l’ingrediente principale del lavoro di Victoria Colmegna è la leggerezza; non solo nel senso che Italo Calvino ha dato a questo termine – l’artista ovviamente possiede una copia delle Lezioni Americane, che però dichiara di non aver ancora letto. C’è anche una leggerezza puramente fisica, che è quella dei tessuti, dei disegni, dei manoscritti, delle spille, delle performance, delle piscine vuote. I lightbox sembrerebbero una deroga a questo principio. Ma la leggerezza prevede anche che non esistano le verità assolute, le regole da rispettare, o le cose per sempre. Oltretutto, i light box di Victoria Colmegna sono fatti di parole, ovvero principi omeopatici, che sono leggerissimi. In questo caso la parte vale per il tutto. Le opere, e gli oggetti, rappresentano una narrativa il cui perimetro – ovviamente variabile – è in realtà piuttosto definito. Prima di essere opere d’arte i lavori di Victoria Colmegna sono oggetti di scena, che poi diventano memoria (nostalgica) della scena di cui sono stati parte. Va da sé che è grazie a questa leggerezza di fondo che poi si è in grado di rendere le complessità della vita.
Timidezza
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare scorrendo le immagini dell’account Instagram di Victoria Colmegna, o notando l’apparente disinvoltura con cui usa il proprio corpo, l’impalcatura che regge questa facciata ha a che fare con il sentimento di timidezza, che è poi quello di cui l’artista ci prova a parlare, magari coinvolgendo nelle opere le persone, i conoscenti e gli amici. Il loro compito è in realtà quello di dire quello che l’artista non riesce, o non vuole, dire di sé, ovvero quel che porterebbe oltre l’impalcatura di cui dicevamo. I tre componenti della band Triple X che ha suonato per la prima volta dal vivo in occasione della mostra di Zurigo, per esempio, sono tutti ex fidanzati dell’artista, che lei è riuscita a ‘riunire’ e che per l’occasione non hanno mancato di volare dall’Argentina alla Svizzera (a spese della produzione). Presto registreranno un disco su vinile, Victoria ora è la manager della band – “qualcosa come Phil Spector”, dice lei con la consueta ironia.
Esoterismo
Quando chiediamo a Victoria Colmegna se è religiosa la risposta è prevedibilmente lapidaria: “sì, lo sono”. Si tratta ora di capire in che senso. Victoria Colmegna studia astronomia, omeopatia, psicoanalisi, new age. Lo fa da quando era bambina. “Vado spesso dai dottori – dice senza alcuna posa – perchè mi piace ascoltare le persone che parlano di me”. Come si trattasse di una confessione al contrario. Di nuovo, le religioni, prima tra queste quella Cattolica, hanno spesso un problema di ‘coolness’. Ma il bisogno di spiritualità non diminuisce con l’invecchiare delle chiese. Anzi, dal nostro osservatorio sembrerebbe proprio il contrario. Ecco che allora il discorso sull’uomo, che sempre grazie all’enorme potere della parola accade, viene cercato dove per arrivare serve prendersi qualche rischio in più. Torna il concetto di avventura a cui accennavamo sopra, che nel lavoro di Vittoria Colmegna significa curiosità, rischio, divertimento.
Interludio
Dalla barca: Champagne, prosciutto crudo, Diet Coke, gruviera! Pane nero o bianco? Nero. Ok!Pinot Nero! Etc… Qualche minuto dopo compare magicamente nel mio letto un vassoio d’argento, con tutti i miei capricci, e un menù che li elenca scritto a mano con matita nera morbida. C’è anche un regalo extra: una camicia da notte in seta piuttosto sospetta. Mamma, chiudi la porta! Questo è l’ultimo ordine che do al mio schiavo, almeno per il momento. Obbedisce abbassando gli occhi blu scuro, con la sommessa felicità di rivivere il suo ruolo nella simbiosi che l’ha unita a mio padre fino alla sua morte. Sono sdraiata (nella camera da letto in cui mio padre si chiudeva a chiave durante le sue crisi, una camera completamene arredata per questo scopo; le pareti sono imbottite e rivestite di morbida pelle scamosciata di rinoceronte) a guardare un VHS di famiglia del 1989 su un gigantesco televisore Samsung: mio padre mi ha dato più volte dei piccoli beccucci sulla bocca, come un gioco, quando avevo due anni…
Sicuramente dopo aver preso della cocaina nascosta in bagno mi ha baciato sulla bocca…
Comunque non ne ho memoria, probabilmente perché quella parte del mio cervello è occupata dalla vita e dalle avventure di mio padre… Non ho paura di ingrassare, la mia Joie de Vivre guida il mio istinto. Sapevi che Paul Verhoeven ha avuto l’idea di togliere le mutandine in quella scena con Sharon Stone, anche se non era scritto nella sceneggiatura…? Ho il naso più interessante, la bocca più bella, gli occhi di Cleopatra, ho uno dei migliori culi al mondo, che mi protegge da tutto, sono perfetta, sono, perfetta, mi chiamo Victoria Colmegna, sono la migliore artista del mondo.
Estratto da: “Espá, un’autobiografia” di Victoria Colmegna, in uscita per Editorial Mansalva. Questo scritto fa parte anche di Abandono Europa, un libro da colorare presentato su Soft Eyes, piattaforma online della galleria Schiefe Zaehne. Qui il link al progetto.
Controllo
“Per me l’astrologia è un sistema, come la psicologia. Sono modi di guardare alle cose e alle persone. Ho sempre cercato i rapporti di relazione tra questi, credo per rispondere al mio bisogno di classificare quello che mi sta attorno. Per questo motivo dell’omeopatia mi interessa la capacità di descrivere fin nei minimi dettagli la personalità di un individuo, in relazione al suo corpo”. Per ora, e per fortuna, questa inclinazione classificatoria non ha avuto un preciso riflesso formale nelle opere di Victoria Colmegna. Però esiste la logica del ‘raccoglitore’. E’ un raccoglitore, per esempio, la piscina che ha fatto da scenografia al progetto Mega Porno (2016). Si tratta della piscina della Spa della famiglia Colmegna, fondata nel 1890, un pezzo di storia di Buenos Aires, da cui sono passati tra gli altri Borges e Duchamp. La struttura è stata venduta lo scorso anno. Ma Victoria ha ordito un piano per riacquistarla, che è stato presentato da Park View a Liste nel 2019 (qui i dettagli dell’operazione).
Nostalgia
Sono di fatto contenitori anche le cornici dentro alle quali Victoria Colmegna ha presentato i disegni commissionati a James L. Mathewuse, illustratore dei romanzi della collana Sweet Valley, per celebrare il suo diploma alla Staedelschule – le opere, del 2015, sono poi state esposte da Park View, a Los Angeles, nel 2017 (Broken Ego). Possono essere visti come contenitori i pullover per bambini ispirati ai dipinti di Francis Picabia, così com le vetrine esposte allo Schwarzescafe/LUMA Westbau, che contenevano memorabilia di varia natura e che tanto ricordavano il Museo dell’Innocenza di Orhan Pamuk. “Credo ci sia un aspetto compulsivo nel mio lavoro, che poi è un riflesso della mia personalità. Si tratta di un aspetto che in genere dipende dal non essere disposti a perdere nulla”. E invece capita che certe cose si perdano, e allora la compulsione si trasforma in nostalgia. Un proverbio cinese dice: lascia andare il vecchio se vuoi che il nuovo arrivi. Infatti di scuole Zen a Buenos Aires se ne vedono pochissime.
July 10, 2023