At the show with the artist: Jennifer Tee e i tappeti rinascimentali
Parliamo con Jennifer Tee di tappeti rinascimentali, utilizzando la storia per riflettere sull’appropriazione culturale e sulle forme di esotismo.
L’espressione “tappeti rinascimentali” nel titolo di questo scritto va intesa come metafora. Sebbene tappeti autoctoni fossero piuttosto diffusi nel Rinascimento europeo, ciò a cui ci riferiamo è l’appropriazione dei tappeti orientali da parte di pittori e decoratori dell’epoca: scriviamo dunque di tappeti orientali che diventano tappeti rinascimentali, parlandone con l’artista olandese Jennifer Tee nella speranza che le sue opere d’arte possano offrirci nuove prospettive sul tema. Scrive Domeniek Ruyters che “il tentativo di Tee [è] quello di creare un legame […] con culture lontane, da altre parti del mondo, che nella sua visione sono comunque inconfondibili”. Questo suo interesse è funzionale anche nel contesto del Rinascimento europeo.
[Qui il sito ufficiale dell’artista; e qui la sua pagina personale sul sito della Fons Welters Gallery; ndr.]
Il nocciolo della conversazione che segue non è tanto l’appropriazione culturale – e il possibile illecito a essa collegato -, quanto la rappresentazione culturale. Questo contributo alla nostra sezione “At the show with the artist” non offre risposte alle questioni etiche relative al tema delle appropriazioni culturali, o del saccheggio dell’artigianato; ma questi temi, come vedrete, emergono indirettamente. Dall’immagine autoprodotta da una nazione come l’Olanda, ai simboli esotici della Venezia del XV e XVI secolo, passando, appunto, per la pratica artistica di Jennifer Tee, proviamo a offrire una riflessione sui flussi delle culture visive che si sono succeduti attraverso il commercio, i viaggi e le mille forme di esotismo che hanno investito l’Occidente.
Esiste un brillante testo breve che Seth Siegelaub ha scritto sull’importanza dei tessuti come oggetti portatili, intrecciati tra la storia dell’ornamento e quella del commercio. Su tale base, proviamo a prendere i tappeti orientali del Rinascimento italiano come punto di partenza di questo discorso, che verte sul modo in cui i dipinti dell’epoca sono diventati, tra l’altro, testimonianza del design dei tappeti importati dall’Oriente. Per le opere della serie Tampan Tulipano hai impiegato il design indonesiano. Anche le tue opere sono dunque ‘testimoni’ di qualcosa?
Jennifer Tee: È interessante che i tappeti orientali siano stati descritti dai pitturi rinascimentali. Anche i Tampan Tulipano – che sono stati commissionati per la prima volta per la stazione centrale di Amsterdam -, rappresentano una sorta di porta d’ingresso. Spesso nel mio lavoro ho utilizzato materiali di varia provenienza – come bambù e argilla – per dare sostanza all’opera. Per i Tulipani ho voluto impiegare qualcosa di molto vicino all’identità olandese, pensando soprattutto a quello che i turisti hanno in mente quando visitano l’Olanda. Pensavo a come i campi di tulipani siano qui un simbolo della terra, anche se la pianta non è autoctona. Riguardo al motivo dei petali, mi sono resa conto che volevo fare riferimento a un luogo diverso, a un tessuto esistente da qualche altra parte. Questo processo mi ha portato a Tampan, a sud di Sumatra, una zona che si è arricchita grazie al commercio del pepe. Questi tessuti spesso raffigurano una nave. Porta le anime umane nell’aldilà, mostrando un momento di transizione. Sono chiamate “navi delle anime” e non trasportano solo anime umane, ma anche animali e piante. Allo stesso tempo, le navi rappresentano anche la comunità dei pescatori della regione di Sumatra, e persino la sua gerarchia interna, visto che a volte le navi sono rappresentate con più ponti. Mi ha affascinato anche la combinazione tra astrazione e figurazione: la nave geometrica contro le forme molto riconoscibili e dettagliate degli esseri umani, degli animali, delle piante.
Una differenza tra i tappeti orientali dipinti nel Rinascimento e i tappeti tessuti in Indonesia è che questi non si sono mai diffusi in Occidente come i primi.
Jennifer Tee: In effetti, i tappeti indonesiani non sono mai diventati popolari nei Paesi Bassi. In Indonesia venivano utilizzati come tessuti da cerimonia per riti di passaggio, sepoltura, matrimoni, iniziazione. Erano oggetti molto specifici. Inoltre, questi sono tessuti, mentre i tappeti rinascimentali sono intreciati, oltre che geometrici anziché figurativi. Questo potrebbe spiegare perché fossero più facili da usare come decorazioni, o perchè fossero messi nei dipinti, per mostrare le capacità dell’artista. Più tardi, durante il periodo coloniale olandese – essendo l’Indonesia una delle colonie – i diversi tessuti provenienti dall’Oriente divennero popolari, come il Batik per esempio. Furono prima scambiati, poi si sono diffusi, e infine sono stati copiati ed esportati dagli olandesi.
Siegelaub chiama in causa la plasticità del tessile, mettendolo in relazione con l’architettura. Nel Rinascimento i tappeti orientali venivano utilizzati anche per modificare l’aspetto degli edifici, o di simboli cristiani, come gli altari delle chiese. I dipinti lo provano. Puoi spiegarci come usi la malleabilità del tessuto? Citi tende e mantelli, entrambi da te progettati, ma frutto di appropriazione, come nel caso dell’opera di Hélio Oiticica che hai utilizzato più volte.
Jennifer Tee: Sono molto interessata a Oiticica e agli altri artisti brasiliani che lavorano nell’intersezione tra vita e arte. Oiticica impiegava tessuti di uso quotidiano per realizzare opere molto scultoree; come le mantelline, che ha personalizzato per i suoi amici e per i membri del suo samba club. C’era in esse un elemento politico, effetto di una sorta di attivismo. Mi piace molto il tessuto, perché è qualcosa che può essere attivato, qualcosa che può essere piegato e poi dispiegato, come avviene, per esempio, nella struttura di una tenda. La tenda può essere legata al viaggio, o a un evento: pensate al circo, o ai nomadi, che hanno bisogno di montare una tenda per fissare la loro residenza temporanea. All’inizio del mio studio ho creato alcune tende, serigrafando storie su di esse. Per esempio, per la Biennale di San Paolo mi sono ispirata alla vita di Lao-Tze, un filosofo cinese che ha scritto sulla differenza tra il fare e il non fare. Mi ha fatto pensare alla posizione dell’artista, e all’attivazione degli oggetti nelle performance.
Hai una preferenza per le strutture effimere, e non troppo imponenti? Sarebbe l’opposto dei tappeti dei dipinti rinascimentali, che venivano utilizzati sopratutto per sottoliare elementi architettonici già esistenti, stabili, e pesanti.
Jennifer Tee: Mi interessano la presenza, e la posizione che assume l’artista. Voglio riflettere sulla scelta artistica di fare qualcosa di veramente presente, come una scultura pesante. Faccio cose che occupano spazio, eppure l’ambiente che mi interessa creare è piuttosto leggero, qualcosa che c’è e, forse, non c’è allo stesso tempo. Anche il pavimento può essere un palcoscenico per una performance, o per la lettura di un testo. Faccio anche ceramiche, che tendono a essere piuttosto pesanti. Eppure spesso le mie ceramiche hanno l’aspetto traslucido delle vetrate, e mantengono una certa leggerezza. A volte uso i tappeti con la ceramica, creando una tensione tra la ceramica lucida e liscia e la lana, che è un materiale tattile.
La storia del commercio può essere anche una storia di nefandezze, che vanno dallo sfruttamento violento all’oppressione. Siegelaub usa indirettamente la storia del materiale tessile come strumento per il proprio attivismo politico. Il tuo approccio pare piuttosto inconsueto, anche se si riferisce all’impegno politico, in particolare nel contesto della tua mostra al Kunstraum, quando parli di “superamento”, ovvero di un “atteggiamento di resistenza verso strutture che sembrano difficili o impossibili da cambiare”. Potresti sviluppare questo argomento e magari dirci se riesci a immaginare quadri rinascimentali che hanno usato i tappeti in modo simile?
Jennifer Tee: Quando ho pensato alla mostra a Kustraum tante cose stavano accadendo; Trump era appena stato eletto; c’era una crisi migratoria in corso; le cattive notizie sul cambiamento climatico si rincorrevano. Come artista cerchi di rispondere a questi problemi dal tuo studio, e dall’interno dell’opera. Naturalmente devi lavorare con il tipo di vocabolario che hai a disposizione, e con il tipo di lavoro che fai. In quella mostra, a Camden e Kunstraum, ho cercato di selezionare opere che mostrassero una forma di resistenza, sia spirituale che fisica. Le opere erano dunque elementi di resistenza. Ho anche preso in prestito alcune opere che mi interessavano da molto tempo. Per esempio, l’immagine di Frits Lemaire di Eugène Brands, che mostra una persona in difficoltà che però cerca di resistere. L’ho scelto anche per il tappeto sotto i suoi piedi, che è una sorta di palcoscenico, ma anche qualcosa che può essere asportato, tirato via.
L’idea è simile a un piccolo gesto, e a quel tipo di cose che i bambini a volte costruiscono, come una tenda fatta coi mobili di casa mettendoci sopra una coperta, che poi crea un vero e proprio spazio. E poi c’è la “resistenza alla muffa” della maschera facciale de L’Inconnue de la Seine, una donna annegata nel fiume parigino, la cui bellezza fu catturata in quel momento e divenne un trofeo per molti surrealisti che tenevano la riproduzione del volto nelle proprie case.
Gli in oggetti in mostra al Kunstraum erano, in qualche modo, elementi portatori di trasformazione. Avevano tutti un atteggiamento di resistenza; credo che un atteggiamento possa essere politico. I tappeti della pittura rinascimentale sono interessanti, perché i dipinti funzionano quasi come stampe del pattern originale. Abbiamo imparato a conoscere questi tappeti prima dai dipinti del Rinascimento, che dagli studiosi che ne hanno scritto. Sono testimoni delle rotte commerciali, spesso legate al potere e alla ricchezza, e ben riflettono un precoce interesse orientalista.
July 27, 2020