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Il Rinascimento è un errore di prospettiva

Antonio Carnevale

Dipinti con prospettiva sbagliata, difettosa, sbilenca: non sono stati errori dei pittori, ma modi per rappresentare pensieri e misteri

La prospettiva nel Rinascimento è un meraviglioso equivoco. Anzi, è come quel tavolo che secondo gli scienziati non può star fermo perché gli atomi al suo interno si muovono in ogni le direzione. L’etichetta che ci ha permesso di schematizzare la stagione del Rinascimento come “l’epoca della prospettiva”, infatti, rischia di “atomizzarsi” non appena si entri nel dettaglio di singole opere.

La prospettiva forse non solo non è la cifra identificativa del Rinascimento, ma non è nemmeno una “forma simbolica”, come invece recita il titolo di un fortunatissimo libro di Erwin Panofsky del 1927. Il lavoro di una serie di storici dell’arte, infatti, con Daniel Arasse in testa, ha messo in crisi la solidità di alcuni aspetti della teoria Panofskiana. E lo ha fatto a partire da una trappola linguistica nella quale lo storico tedesco era rimasto impigliato.

Città ideale Urbino
“Ideal City”, by unknown artist, tempera on wood, 1480-1490, 67.7 x 239.4 cm, National Gallery of the Marche, Urbino

Panofsky parlava di “scoperta”, non di “Invenzione” della prospettiva. Assumeva l’idea di un’equivalenza del dipinto con ciò che si vede nella realtà. Eppure il nostro modo di vedere è assai lontano dalla fissità monofocale della prospettiva geometrica, quella che per primo Filippo Brunelleschi aveva messo a punto all’inizio del ‘400 con il suo esperimento di pannelli e specchi in piazza della Signoria a Firenze. Chiunque provi a fissare un ambiente per un tempo prolungato potrà accorgersene: i nostri occhi sono incapaci di stare fermi, ricompongono l’immagine globale grazie a continui movimenti, collezionano infiniti dettagli per poi trasmettere al cervello l’idea di un’immagine unitaria. La prospettiva è dunque il modo in cui ci sembra di vedere, non il modo in cui vediamo.

Se dovessimo fare un’analogia con i movimenti artistici, il nostro sguardo somiglierebbe a un dipinto cubista, non a uno rinascimentale, e nemmeno a una fotografia. La prospettiva è stata dunque l’invenzione di un’idea, ma un’idea per nulla univoca, e anzi capace di aggiungere all’illusione della forma visibile anche ulteriori significati, fino a intenderla come opera di pensiero, come strumento politico, e infine come racconto – anche teologico – dell’invisibile.

la città ideale Urbino dettaglio
“Ideal City”, detail, by unknown artist, tempera on wood, 1480-1490, 67.7 x 239.4 cm, National Gallery of the Marche, Urbino

“La prospettiva – ha scritto Daniel Arasse – è un sistema di rappresentazione del tutto arbitrario, che è stato inventato non da un solo individuo ma da un’intera società nell’arco di un secolo (…). Dal punto di vista della cronologia storica, il successo della prospettiva a Firenze è intimamente legato a un’operazione politica di rappresentazione del potere dei Medici attraverso una forma pittorica il cui principio quasi morale è quello della sobrietas e della res pubblica”. Nella Firenze dei Medici, infatti, le decisioni si prendevano in piazza (nei discorsi dei cancellieri si diceva che la libertà viene decisa in piazza). Era la piazza il centro simbolico dell’azione politica, ed è proprio la piazza la vera protagonista della prospettiva pittorica fiorentina del ‘400, così diversa da quella delle corti dell’Italia settentrionale. Ma se per alcuni pittori la prospettiva era uno strumento utile per creare un mondo ordinato, regolare e ben proporzionato, come nelle tre celebri e misteriose tavole della Città ideale di Urbino, Baltimora e Berlino, per altri, invece, la prospettiva è andata a braccetto con i suoi errori, e da questi, come dalle sue imperfezioni e dai suoi difetti apparenti, ha tratto significato.

la città ideale Baltimora
“Ideal City”, by unknown author, mixed media on wood, 1470-1480, 80.33 x 219.8 cm, Walters Art Museum, Baltimore
la città ideale Berlino
“Ideal City”, by unknown author, mixed media on wood, c.1477, 131 x 233 cm, Gemäldegalerie, Berlin

Soggetto privilegiato per indagare la prospettiva è stato senz’altro quello dell’Annunciazione, che nella sua ambientazione fra i colonnati e l’hortus conclusus ha permesso meglio di ogni altro soggetto di concentrare l’attenzione della composizione sui tre elementi fondamentali della prospettiva: inquadratura, punto di fuga e punto di distanza. Un esempio è una piccola tavoletta nella quale Domenico Veneziano ha inquadrato la Vergine in una prospettiva perfetta, salvo concedersi un unico errore. È l’Annunciazione del Fitzwilliam Museum di Cambridge, databile al 1442-48. Al fondo della prospettiva, l’artista ha dipinto una porta volutamente sproporzionata. Sarebbe dovuta essere la porta di una città, invece ha le dimensioni di una porta d’armadio. L’errore si scopre osservando le misure del chiavistello: troppo piccolo per essere quello di una porta monumentale. La porta – ha spiegato Arasse – è il simbolo di Cristo: per questo non rispetta la prospettiva, perché è la figura dell’Incarnazione, e dunque non è commensurabile, letteralmente: non ammette una misura comune tra il mondo degli uomini e quello divino.

The Annunciation, Domenico Veneziano
“The Annunciation”, Domenico Veneziano (Domenico di Bartolomeo da Venezia) (Italian, 1400-1461). Tempera on panel, height 27.3 cm, width 54.0 cm, circa 1442-1448. Florentine School. Notes: this and no.1107 come from the predella of a signed altarpiece. Museum accession number: 1106. © The Fitzwilliam Museum, Cambridge. Courtesy: The Fitzwilliam Museum, Cambridge.

Sono diverse, nel Rinascimento, le prospettive “difettose”, fatte apposta per rendere visibile ciò che visibile non è. Piero della Francesca, per esempio, che era un matematico abilissimo, e che mai avrebbe commesso errori grossolani nel concepire una prospettiva, ha tuttavia dipinto un’Annunciazione in cui c’è una lastra di marmo che pur trovandosi al fondo del quadro sembra vicinissima. Il dipinto è la cimasa del celebre Polittico di Sant’Antonio, del 1460-1470, eseguito a tecnica mista su tavola, e oggi conservato nella Galleria nazionale dell’Umbria, a Perugia. Secondo alcuni storici quel marmo fuori misura rappresenterebbe “Il divino che era già presente e invisibile nel luogo dell’Annunciazione”, come riporta la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Ma c’è di più. Piero della Francesca dispone tra la Vergine e l’angelo un blocco di colonne. Tracciando la direttrice tra gli occhi dei due protagonisti si scopre però una strana anomalia: se l’angelo alzasse lo sguardo non vedrebbe la Vergine che è davanti a lui, bensì le colonne. Thomas Parton, che per primo si è accorto di questo ostacolo sull’asse visivo dei due personaggi, ha parlato di “trompe-l’intelligence”, come a dire che l’artista si sarebbe divertito a ingannare lo spettatore per gioco. Secondo Daniel Arasse, invece, si tratterebbe di un preciso messaggio teologico: Piero della Francesca, attraverso la prospettiva “sbagliata”, come già Domenico Veneziano, ha raffigurato l’Incarnazione: “il suo mistero con la lastra di marmo che si trova sul fondo, e il suo segreto con il blocco di colonne nascosto nella stessa cosa che viene mostrata, nascosta in ciò che si vede”.

piero della francesca Polittico di Sant'Antonio
“Annunciation”, Polyptych of Sant’Antonio, detail, Piero della Francesca, c. 1460-1470, Oil color, tempera painting on wood, National Gallery of Umbria, Perugia

La prospettiva dunque non è una finestra sul mondo, ma una finestra attraverso la quale inquadrare una storia. È inoltre uno strumento per raccontare la storia. E se questa storia prevede la presenza dell’invisibile, la prospettiva si adegua, si fa eccezionale, s’interrompe, introduce un elemento di disordine. Come si sa, la storia dell’arte è fatta più di eccezioni che non di regole. “Gli uomini del Rinascimento con la prospettiva hanno costruito una rappresentazione del mondo aperto alle loro azioni e ai loro interessi”, ha detto Pierre Francastel. Potremmo allora imbatterci in decine di altre opere dalla prospettiva anomala. Lorenzo Ghiberti, nei suoi rilievi, adottava spesso un sistema in cui non c’era un solo punto di fuga ma due, corrispondenti a ognuno dei due occhi. Paolo Uccello sviluppava anche un punto di vista bifocale laterale, con due punti di fuga esterni, perché gli occhi guardano in entrambe le direzioni, a destra e a sinistra. Significative sono sue opere come San Giorgio e la principessa e la Battaglia di San Romano, entrambe custodite ala National Gallery di Londra.

Paolo_Uccello San Giorgio
“Saint George and the Dragon”, Paolo Uccello, oil on canvas, c.1460, 57 x 73 cm, National Gallery, London

Lionello Venturi diceva che in questo artista “le contraddizioni prospettiche, anziché errori di prospettiva scientifica, sono un modo frammentario di vedere la prospettiva”. Sul tema dei frammenti insisteva anche Francastel, che guardando la Battaglia di San Romano nella versione di Londra diceva che “l’artista impiega simultaneamente diverse prospettive: prospettiva sfuggente in primo piano, prospettiva a scomparti, medievale, nel fondo. La composizione è per frammenti inseriti gli uni accanto agli altri”. E Philippe Soupault parlava addirittura della “somiglianza delle preoccupazioni di Paolo Uccello con quelle di certi pittori cubisti”.

[Qui il nostro testo sul modo in cui Paolo Uccello intendeva la costruzione degli oggetti nello spazio, ndr]

battaglia di san romano
“Battle of San Romano, Niccolò da Tolentino at the head of the Florentines”, Paolo Uccello, mixed technique on wood, 1438, 180 × 316 cm, National Gallery, London,

Jean Foquet, al pari di diversi artisti poi attivi del Cinquecento, invece, metteva a punto una prospettiva circolare, cioè convessa, con le forme che dal fondo andavano verso lo spettatore e poi ritornavano indietro. Beato Angelico ha sperimentato persino un punto di fuga sul bordo del quadro per creare una relazione con l’architettura che ospitava una sua opera (L’Annunciazione a tempera su tavola, del 1430 circa, custodita nel museo di Cortona). E Francesco del Cossa, nella sua celebre Annunciazione con una lumaca come comparsa (la cosiddetta Pala dell’Osservanza, dipinta a tempera su tavola ne 1470 circa, oggi alle Gemäldegalerie di Dresda), dimostra che la prospettiva cessa la sua finzione non appena si guardi fuori dalla cornice della storia. La lumaca in questione, infatti, troppo grande per essere credibile, non fa parte della storia: fa solo parte del quadro.

Annunciazione Francesco del Cossa
“Annunciation” (Altarpiece of Observation), detail, Francesco del Cossa, 137 x 113 cm, 1470 ca., Gemäldegallerie Alte Meister, Dresden

Nel Rinascimento dunque non c’era una sola prospettiva, inoltre moltissimi artisti non si curavano affatto di utilizzarla, e diversi altri, come si è visto, contravvenivano di proposito alle sue regole. È un fatto che la prospettiva monofocale abbia vinto poi su tutte le altre forme nel corso della storia, fino almeno all’Impressionismo. In generale, come ha ben detto il sociologo dell’arte Alessandro Dal Lago: “la verità della prospettiva in pittura è allo stesso tempo la riduzione dello spettatore a un punto astratto e la sparizione del quadro come artefatto”. Dunque, tralasciando le suggestioni di Roberto Longhi sulla “congiunzione misteriosa di matematica e pittura” in Piero della Francesca, e sulla “metafisica che sorgeva dal nuovo entusiasmo per la certezza spaziale”, più interessanti risultano oggi quegli artisti che quelle “certezze” avevano invece messo in crisi con le loro opere – a partire proprio da Piero della Francesca – per fede, per intelligenza narrativa o per semplice divertimento.

Bibliografia

  • André Chastel, “Vedute urbane dipinte” e teatro, in Teatro e culture della rappresentazione. Lo spettacolo in Italia nel Quattrocento, a cura di R. Guarino, Bologna, il Mulino, 1988
  • André Chastel, Arte e umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico. Studi sul Rinascimento e sull’umanesimo platonico, Einaudi, Torino, 1964
  • Philippe Soupault, Paolo Uccello, Editions Rieder, Paris, 1929/ Abscondita, Milano, 2009
  • Lionello Venturi, Paolo Uccelli, in l’Arte, 1930
  • Pierre Francastel, Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo, Torino, Einaudi, 1957
  • Daniel Arasse, Histories de peintures, Éditions Denoël , Paris, 2004/Storie di pitture, Torino, Einaudi, 2014
  • Erwin Panofsky, Die Perspektive als “Symbolische Form”, Lipsia, Berlino, 1927/La prospettiva come “forma simbolica”, Abscondita, Milano, 2007

September 14, 2020