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Tiepolo, ovvero come sfuggire ai musei

Antonio Carnevale

La pittura di Giambattista Tiepolo vive fuori da musei, inseparabile dai luoghi per i quali è stata creata. Eccone la mappa.

Lo sviluppo dell’arte di Giambattista Tiepolo si può seguire senza quasi mettere piede in un museo. La sua predilezione per l’affresco mette a disposizione superbe opere in diversi luoghi pubblici. Singoli dipinti e grandi cicli decorativi sono almeno in una decina tra chiese e palazzi italiani, cui si aggiungono le decorazioni delle ville palladiane nel vicentino, la parentesi tedesca, e la vicenda spagnola ispirata al gusto storico, allegorico e mitologico a dominare l’ultima parte della sua vita.

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Gaimbattista Tiepolo, “The Sacrifice of Iphigenia”, detail, fresco, Villa Valmarana, Vicenza, 1757

Così, a mettere in fila luoghi più o meno “aperti” al pubblico, si dispiega quella vena creativa che prende le mosse dai violenti chiaroscuri del barocco negli anni ’10 del Settecento, per poi dirigersi verso i ben più noti toni liquidi e trasparenti, con le misteriose figure dei pulcinella, con le forme sciolte, con le gradi composizioni sceniche messe in atto grazie anche all’aiuto dei migliori quadraturisti dell’epoca e – più in generale – a un’arte che si è costantemente nutrita di un modello fecondo e inesauribile come quello di un altro grandissimo pittore veneto: Paolo Veronese.

Non c’è ancora nei primi decenni del 700 il richiamo a Veronese. Tra gli anni ’10 e ’20 a dominare sono ancora i contrasti di luce e buio, è la cifra barocca, è la macchia forte e risoluta di Giovanni Battista Piazzetta, anche se le pennellate si faranno ben presto larghe e gli incarnati luminosi. Per rendersene conto bisogna cercare proprio tra la luce il buio, nella chiesa di Santa Maria dei Derelitti, detta la chiesa dell’Ospedaletto, a Venezia. Qui, l’opera di Tiepolo non s’impone allo spettatore come fanno i grandi cicli della maturità. S’annida invece in tre tele, lunghe e strette, incastrate quasi in penombra tra la trabeazione e tre altari. Sono Il sacrificio d’Isacco nel quarto arcone di destra; Sant’Andrea e San Giacomo Maggiore nel terzo arcone di sinistra, e San Giovanni e San Tommaso nel primo arcone; così più intense e concentrate rispetto a quelle vicine del poco più anziano Giovanni Battista Pittoni.

Siamo nel 1715, e queste tele sono tra le prime opere note di Tiepolo. Il modello del Piazzetta resiste ancora per qualche anno. Lo si vede nel Martirio di San Bartolomeo del 1721 nella chiesa di San Stae (o chiesa di Sant’Eustachio e Compagni martiri) a Venezia. Nella stessa chiesa ci sono opere di Piazzetta, Pittoni, Ricci, e il gusto di Tiepolo non si distacca molto da quello dei suoi colleghi vicini. Eppure qualcosa sta cambiando. I bagliori di luce vogliono essere luce piena, non solo strumenti di contrapposizione al buio. La maniera alla Piazzetta sta per essere abbandonata. E già nel 1724-25, il violento chiaroscuro è dimenticato in favore di uno tzunami di luce nel Trionfo dell’Eloquenza affrescato sul soffitto di Palazzo Sandi a Venezia.

Gaimbattista Tiepolo, “Martyrdom of San Bartolomeo"
Gaimbattista Tiepolo, “Martyrdom of San Bartolomeo”, 1721, oil on canvas, Church of San Stae, Venice

Entra in gioco la decorazione illusionistica dei grandi spazi. Il riferimento di Tiepolo, adesso, non è più Piazzetta, è semmai Sebastiano Ricci. Ora la luminosità più diffusa domina le scene, come fa nei cicli pittorici con Storie bibliche nella Galleria e nello scalone del palazzo arcivescovile di Udine. Siamo tra il ’26 e il ’28. Le forme sono sempre più sciolte, gli spigoli del giovanile Sacrificio d’Isacco sono spariti; via i contrasti, s’avanzano le mezzetinte, i liquidi toni pastello. Ed è sopratutto l’atmosfera generale che cambia. C’è un senso di sospensione che non ha più nulla di drammatico.

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Gaimbattista Tiepolo, “The Sacrifice of Isaac”, fresco, Palazzo Arcivescovile, Udine, 1726-28

Comincia da qui il cammino di Tiepolo verso le grandi costruzioni della maturità. Ed è in questo processo che il nome di Paolo Veronese s’impone nella mente di Tiepolo come un tarlo, come un rebus, come un enigma da cui estrarre soluzioni che mescolino leggerezza e magniloquenza, intimità e trionfo, sacralità e magia. Sarà l’ispirazione al Veronese a guidare Tiepolo nella realizzazione di capolavori degli anni ’30 e ’40, come gli affreschi di palazzo Dugnani a Milano (1731), la cappella Colleoni di Bergamo (32-33), gli affreschi di villa Loschi Zileri a Monteviale, Vicenza (del ’34), fino alle imprese nelle chiese veneziane, come quella dei Gesuati (37-39) e di Sant’Alvise (39-40), e ancora al Carro del Sole affrescato sul soffitto di Palazzo Clerici a Milano nel 1740. Con Tiepolo il Cinquecento rivive dopo il Barocco.

Gesuati Tiepolo
Gaimbattista Tiepolo, “The institution of the Holy Rosary”, detail, fresco, Church of the Gesuati, Santa, Maria del Rosario (Venice), 1737-1739
Villa Valmarana
Gaimbattista Tiepolo, “The Sacrifice of Iphigenia”, fresco, Villa Valmarana, Vicenza, 1757

In palazzo Dugnani, a Milano, bisogna mettersi col naso in su nella Sala da ballo per scoprire le storie dipinte da Tiepolo con la collaborazione di altri pittori come come Giovanni Antonio Cucchi e Mattia Bortoloni. Sono le storie di Scipione e Massinissa, affreschi strappati in via cautelativa durante la seconda guerra mondiale e tuttavia – fortunatamente – ricollocati nella posizione originaria. Nella Cappella Colleoni, celebre architettura addossata alla basilica di Santa Maria Maggiore, a Bergamo, si vedono ancora, perfettamente conservati, gli interventi ad affresco di Tiepolo con scene del Martirio di Giovanni Battista alla base della cupola, le figure allegoriche nelle vele e le lunette dell’altare.

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Gaimbattista Tiepolo, “The Beheading of John the Baptist”, detail, fresco, 1732-33, Cappella Colleoni, Bergamo

Ma è nella decorazione dello scalone e della sala al piano nobile di Villa Loschi Zileri a Monteviale che Tiepolo dimostra la sua piena maturità in modo spettacolare, con dodici affreschi popolati di figure mitologiche, invasi di luce e realizzati senza aiuti in brevissimo tempo. Gli anni ’30 e ’50 sono proficui, alle commissioni per i grandi cicli di affreschi Tiepolo alterna la produzione di tele e pale d’altare. Tuttavia è negli affreschi che meglio si esprime l’interpretazione che Tiepolo fa dell’opera di Veronese, e che si dipana in tutta la sua produzione matura, come per esempio nelle storie di Antonio e Cleopatra dipinte in Palazzo Labia, senz’altro uno dei suoi massimi capolavori, realizzato con la collaborazione del quadraturista Gerolamo Mengozzi Colonna.

Palazzo Labia Tiepolo
Gaimbattista Tiepolo, “The Banquet of Cleopatra”, fresco, 1747-50, Palazzo Labia, Venezia

Certo, nella Venezia del 700, Giambattista Tiepolo non era stato il primo a eleggere Veronese a suo modello, e nemmeno sarebbe stato l’ultimo, non soltanto in Laguna. I soffitti di Veronese in Palazzo Ducale, per esempio, erano stati presi come modello sia da Pietro da Cortona, negli anni ’30 del 600, quando affrescava la volta del salone del Palazzo Barberini a Roma, sia da Rubens quando dipingeva le tele per il soffitto della Banqueting House a Londra. Anche dopo il 700 diversi grandi artisti avrebbero dichiarato il loro debito per Veronese, come Delacroix e Cézanne. “Seguace” del Veronese era stato inoltre Sebastiano Ricci, a sua volta tra i primi riferimenti di Tiepolo. Ma in Tiepolo il debito nei confronti di Veronese è qualcosa di più e di diverso. È come se Tiepolo avesse metabolizzato Veronese per poi riesprimere quei valori artistici in un modo nuovo, originale, inedito anche per il suo tempo.

Lo ha puntualizzato lo storico William L. Barcham con un esempio preciso. “Nel 1744 Tiepolo affrescò due scene tratte dalla storia antica nel salone di Villa Cordellina a Montecchio Maggiore, basandosi sia per La famiglia di Dario davanti ad Alessandro sia per la Magnanimità di Scipione su opere del suo predecessore. In particolare, il dipinto con Alessandro sembra imitare, nel senso moderno e peggiorativo della parola, la tela di Paolo del medesimo soggetto (oggi a Londra, alla Natonal Gallery), dipinta intorno al 1565 e all’epoca visibile nel Palazzo Pisani Moretta, quando Tiepolo vi eseguì alcuni affreschi nel 1743, poco prima di iniziare i lavori a Montecchio Maggiore. Ma il confronto ravvicinato tra le due storie di Alessandro rivela come Tiepolo, nell’emulare il maestro rinascimentale, abbia cambiato quasi tutto, trasformando – per usare una metafora musicale – la strumentazione, i ritmi, la chiave compositiva e la melodia, vale a dire le caratteristiche tonali veronesiane”.

Tiepolo Apollo
Gaimbattista Tiepolo, “Apollo and the Continents” (“Europe”, overall_view), detail, fresco, Würzburg Residence, Würzburg, Germany, 1752-53

Diverse, nei due pittori, sono infatti non soltanto la tecnica e le dimensioni. I colori di Veronese, a olio, erano fortemente saturi di rosso rubino, mentre Tiepolo diluisce ogni tinta nel chiarore di una luce diffusa e naturale. Veronese ambientava la famiglia di Dario in una scena cortese, mentre Tiepolo trasporta la scena in un accampamento regale fuori città. Ma anche al di là della contabilità di somiglianze e differenze tra le opere di Tiepolo e Veronese, si può forse dire che Tiepolo, soprattutto, fa proprio il senso generale della composizione del suo predecessore. Dalle opere mature in poi, come faceva Veronese, Tiepolo dispone i personaggi come fossero su un palcoscenico, individua i protagonisti e spinge ai margini i comprimari, ripartisce i personaggi in piccoli gruppi con cesure che sono sempre logiche, anche quando certe comparse misteriose fanno capolino senza un apparente motivo.

È quanto succede per esempio in Germania, nella decorazione della Residenza di Würzburg, dove Tiepolo è chiamato dal principe vescovo Karl Philipp von Greiffenklau, nel 1750, insieme con i suoi figli, per un vasto programma decorativo. A Würzburg Tiepolo lascia composizioni arditissime, dove le figure, in parte, si sovrappongono illusionisticamente alle cornici di stucco colorato. Figure umane, animali e allegoriche sono montate in una composizione sfrenata come forse non si riscontra in nessuna delle altre opere di Tiepolo, nemmeno nei successivi capolavori, come la decorazione di villa Valmarana, nei pressi di Vicenza e nelle altre opere tarde (tra queste, villa Contarini a Mira, nel Brenta; villa Pisani a Stra; i soffitti di Ca’ Rezzonico a Venezia, solo per dirne alcune).

Tiepolo Africa
Gaimbattista Tiepolo, “Apollo and the Continents” (“Africa”, overall_view), fresco, Würzburg Residence, Würzburg, Germany, 1752-53

Nel 1762, Tiepolo lasciava l’Italia per non ritornarvi più. Carlo III re di Spagna lo chiamava per affrescare il palazzo Reale di Madrid. Qui vi dipingeva le tre scene con Enea condotto al tempio di Venere, Apoteosi della Spagna, e Trionfo della monarchia spagnola, quest’ultima, per la critica, è forse la più riuscita delle tre. Il pittore, ormai superati i 70 anni, vedeva affievolirsi la vitalità creativa, e anche i tempi erano cambiati. Il gusto neoclassico si stava impadronendo della corte spagnola, mentre in Italia nuovi nomi (come quello di Andrea Appiani) avrebbero interpretato il nuovo corso della pittura sull’onda della rivoluzione neoclassica. Tiepolo, dopo aver fatto rivivere lo spirito di Paolo Veronese nel 700, e dopo essere stato celebrato e ammirato in tutta l’Europa, moriva, nel 1770, insieme con la stagione della quale aveva meravigliosamente interpretato lo spirito.

La fortuna di Tiepolo però non è stata immediata dopo quella stagione. La sua figura è stata messa da parte per più di un secolo dopo la sua morte. Roberto Calasso, che a Tiepolo ha dedicato un affascinante saggio, spiega così i motivi di tale dimenticanza: “Fra la mollezza di Greuze e la rigidezza di Mengs, che corrispondono puntualmente al corso ottuso e fatale della Storia, Tiepolo è un intralcio e una lieve aberrazione (come si dice del corso di un pianeta). Non serve né a illuminare il passato né a proiettarsi nel futuro. Non è un moderno prima dei moderni, secondo la formula che sarà applicata – banalmente – a Goya. E non è un arcaizzante (come potrebbe, se promana tanta insolenza e sprezzatura?). Tiepolo è un esempio estremo di scioltezza taoista nell’arte. Qualità inconcepibile prima di lui, mai più raggiunta dopo. Se per un secolo fu accantonato, se certe sue tele giacquero arrotolate nei magazzini, fu soltanto perché la Storia giustamente lo percepì come un intruso, mentre si operava tenacemente per rendere la sensibilità più spessa, più grezza”.

[Qui un nostro testo che individua alcune similitudini tra l’arte di Gaimbattista Tiepolo e quella di David Hockney, ndr]

Tiepolo Santa, Maria del Rosario
Gaimbattista Tiepolo, “The institution of the Holy Rosary”, fresco, Nave ceiling, 1737-1739, Church of the Gesuati, Santa, Maria del Rosario (Venice), – Photo: Architas

October 9, 2020