Antichi maestri online, le migliori realtà in essere
Gli antichi maestri sono sempre più vitali online, ma c’è ancora molto da imparare. Abbiamo parlato con due pionieri del settore, il Rijksmuseum e il Van Gogh Museum di Amsterdam
È passato quasi un anno da quando la civiltà occidentale ha dovuto fare i conti con la parola “isolamento”. Da qualcosa che in molti pesavano potesse migliorare le condizione di vita delle persone, il lavoro da casa si è trasformato nell’incubo della reclusione. Così tutti si sono uniti alla generazione Netflix e ai musei non resta che stare al passo. Ora gli antichi maestri sono diventanti una realtà anche nel mondo digitale. Dopotutto, se certe opere d’arte piacevano a milioni di visitatori reali ogni anno, perché non avrebbero dovuto continuare a piacere online?
[Qui il link alla lettera che, all’inizio della pandemia, abbiamo scritto a musei italiani riguardo al loro futuro digitale. Ndr.]
Questo articolo non intende offrire un quadro esaustivo di ciò che dei grandi maetri è attualmente disponibile online. Google Arts & Culture e la presenza digitale di una grande istituzione come il Met già offrono uno spaccato sufficientemente chiaro. Proviamo invece a focalizzare la nostra attenzione su Amsterdam, una delle principali destinazioni turistiche dell’Europa pre-pandemica, anche grazie a eccezionali musei d’arte che prima di altri hanno raccolto la sfida di trasformare la realtà fisica in entità digitale. Proviamo perciò a dare uno sguardo dietro le quinte, raccontando il lavoro dei loro digital teams. E a questo sguardo aggiungiamo le testimonianze delle aziende che forniscono le infrastrutture tecnologiche necessarie, ovvero i muratori che costruiscono l’edificio del museo digitale.
Il Rijksmuseum di Amsterdam è senza dubbio il tempio della pittura dell’età dell’oro olandese, periodo segnato da autori bolckbuster come Rembrandt, Bosch e Vermeer. Prima della pandemia il museo attraeva 2,7 milioni di visitatori all’anno, un po’ più della sua controparte rinascimentale italiana, ovvero gli Uffizi di Firenze, altro peso massimo dei musei d’arte antica (2,3 milioni). Abbiamo parlato della veste online degli antichi maestri del Rijksmuseum con Nanet Beumer, capo del digital team dell’istituzione. Il suo piano comunicativo è particolarmente ambizioso e parte dalla convinzione che l’informazione dovrebbe essere accessibile a tutti – prima di approdare al Rijksmuseum Beumer si occupava di sviluppare strumenti digitali per la condivisione con il pubblico delle informazioni finanziarie.
Beumer conferma che quando è entrata al Rijksmuseum, nel 2019, il team digitale doveva ancora essere formato. Questo non significa che non ci fossero già contenuti online. Il programma chiamato Rijksstudio, che ha portato in rete tutta la collezione del museo, era stato avviato molti anni prima, ma era stato condotto da competenze sparse nei vari uffici dell’istituzione. La prima vera sfida affrontata da Beumer è stata perciò la cosidetta Operation Nightwatch, vale a dire la copertura online del restauro del quadro più famoso di Rembrandt. Al momento il team digitale gestito da Nanet Beumer comprende sei persone, ovvero due produttori di contenuti e un social media manager. “Il primo obiettivo – ci spiega – è stato quello di rendere l’arte disponibile a tutti, con immagini ad alta risoluzione. Poi l’attenzione si è spostata sull’interazione, per portare l’utente online a conoscere meglio la collezione. Ora stiamo puntando sull’engagement, cioè sulla condivisione dei nostri video, o sui commenti ai nostri post. La direzione dovrebbe essere quella che porta l’utente dalla consapevolezza all’impegno diretto”.
Dall’inizio della pandemia, come per tutti gli altri grandi musei del mondo, il numero di visitatori online del Rijksmuseum è considerevolmente aumentato. Eppure Beumer sottolinea che la forzata chiusura è solo una delle ragioni per cui i musei esistono online: “Non tutti possono andare in un museo. Le persone potrebbero non essere in grado di permetterselo perché, per esempio, vivono troppo lontano, o perché sono diversamente abili”. Per quanto riguarda il Covid, Beumer dice che dal time-on-page sorprendentemente esteso riscontrato nel primo lockdown, le cose sono lentamente tornate a un tempo di attenzione molto più breve, tipico dei navigatori online. Per questo motivo il museo ha recentemente lanciato il programma Rijksmuseum in 60 Seconds, ovvero pillole video su singoli argomenti o opere d’arte.
Per i musei, crediamo vada tenuta presente anche la questione di contenuti troppo sintetici e della loro possibile incompatibilità con il rigore scientifico che queste istituzioni dovrebbero tenere. Online la quantità spesso prevale sulla qualità. Perciò, se l’universo digitale è famoso per i suoi abitanti distratti – da qui il dogma “più facile è, meglio è” -, possono i musei essere ancora baluardi della cultura? Beumer è ottimista: “I contenuti che abbiamo già prodotto in collaborazione con gli accademici ci mostrano che il grande pubblico è interessato anche agli aspetti scientifici dell’arte, o agli oggetti meno famosi della collezione. Ciò che conta è la storia alle loro spalle”. E cita il National Geographic come uno dei suoi modelli per lo storytelling online.
L’altra peso massimo di Amsterdam è senz’altro il Van Gogh Museum, che pure ha molto investito nella propria presenza digitale. Anche se non è così popolare in termini di visitatori reali come il suo vicino, il museo dedicato al celebre pittore olandese può vantare una quantità impressionante di follower Instagram (1,8 milioni) e di iscritti a Youtube (31mila). Se si vuole un termine di paragone si pensi che il museo più visitato al mondo, il Louvre, ha sulle due piattaforme solamente il doppio dei followers del Van Gogh Museum. Questo prova il grande sforzo profuso dall’istituzione olandese nella sua presenza online. Abbiamo contattato il capo del suo digital team, Martijn Pronk, un avvocato con esperienza nell’editoria legale, già in forze al Rijksmuseum. Il suo team conta otto professionisti.
Pronk ci ha detto che il suo obiettivo è quello di integrare il sito web del museo e i suoi social media in un unico grande mondo digitale dedicato a Van Gogh. Sembra orgoglioso del nuovo sito del museo, che è stato lanciato l’anno scorso: “Ora offre più occasioni di ispirare le persone attraverso la vita e il lavoro di Van Gogh. Tutti i dipinti, i disegni e le lettere della collezione sono online. L’utente può ingigantire l’immagine fino a mostrare le più piccole pennellate date dall’artista. Un nuovo sistema di filtri rende più facile la ricerca di dipinti, disegni e lettere, riguardo ai quali ora sono disponibili più informazioni. Per esempio, i visitatori possono ora vedere quali dipinti della collezione sono attualmente esposti al museo. La nuova funzionalità che abbiamo chiamato Vincent for scale mostra le dimensioni di un dipinto rispetto alla statura di Vincent van Gogh, che era alto 164 centimetri. Il nuovo sito web presenta anche una serie di storie brevi, che rimandano alle storie pubblicate sui nostri profili Instagram e Facebook”.
Proprio come il Rijksmuseum anche il Van Gogh Museum lavora in stretta collaborazione con Google Arts & Culture, che porta all’istituzione alcune sovvenzioni. “Le persone – continua Pronk – possono trovarci su Google Arts & Culture, che offre un tour virtuale del museo. Oppure possono rivolgersi al nostro canale Youtube, dove i tour virtuali sono accompagnati dalla musica di Nozem, composta appositamente per loro. Per Youtube abbiamo anche creato un tour in realtà virtuale della mostra ora in cartellone, si intitola In the picture. Sul nostro sito i visitatori trovano anche una pagina chiamata Bring the museum to your home, dove possono leggere le lettere di Van Gogh, trovare pagine da colorare delle sue opere più famose, e saperne di più sulle nostre app”. Riguardo alla questione del rigore scientifico dei contenuti brevi Pronk dice: “I nostri contenuti snack sono scientificamente corretti. L’importante è stare attenti a non porre in un unico luogo contenuti rivolti a gruppi diversi. Meglio offrire il giusto contenuto, nel contesto più appropriato, alle persone più interessate”.
Veniamo infine alle infrastrutture necessarie alla vita online degli antichi maestri. Due società olandesi, Q42 e Micrio, forniscono la tecnologia necessaria per costruire esperienze digitali convincenti. Per esempio, Q42 ha sviluppato entrambi i siti web del Rijksmuseum e del Van Gogh Museum. Erwin Verbruggen, il project manager responsabile dello sviluppo del nuovo sito del Rijksmuseum, ci ha detto che il compito era quello di combinare modi diversi di raccontare una storia sulla collezione, ma anche di combinare questi in una serie coerente. Le persone dovrebbero scorrerle come fanno su Instagram. Come conferma anche Beumer, se la prima decisione coraggiosa dell’istituzione olandese è stata quella di condividere l’intera collezione con Rijksstudio (era il 2012), la questione è ora come portare avanti quella scelta.
A questo proposito, l’accessibilità è un fattore fondamentale ed è proprio qui che Micrio entra in gioco. Micrio è una piattaforma che permette una navigazione facile e informata di immagini in iper risoluzione [qui il link a Global Cow, il progetto con cui abbiamo testato questa tecnologia nel mondo dell’arte contemporanea. Ndr]. Abbiamo parlato con il suo fondatore, Marcel Duin, per chiedergli quali sono le prossime sfide che la presenza online degli antichi maestri dovrà affrontare. Da un punto di vista tecnico, Duin pensa che quando si tratta di fotografie ad altissima risoluzione di opere d’arte, i due problemi principali si chiamano archiviazione e condivisione. Da un lato, immagazzinare non significa solo la possibilità fisica di immagazzinare grandi quantità di byte, ma anche assolvere ai compiti che la correttezza fotografica impone, come la correzione del colore o quella della luce. Dall’altro lato, condividere queste immagini è più facile a dirsi che a farsi. Il mondo online è particolarmente fluido. Browser e hardware diventano presto obsoleti, senza contare che non tutti hanno il privilegio di avere connessioni internet ad alta velocità. A questo proposito, Micrio è stato creato appositamente con l’intento di fare in modo che le immagini in iper risoluzione siano accessibili a tutti. Ora è una tecnologia utilizzata dal Riijksmuseum anche in relazione ai contenuti inediti, inseriti come annotazioni da parte di accademici su immagini spettacolari, che il grande pubblico già gradisce. Gli antichi maestri mostrano ancora una volta come la comunicazione in rete e il rigore accademico non si escludono a vicenda.
February 17, 2021