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Jean Katambayi Mukendi, fino a oggi

Piero Bisello

Abbiamo incontrato Jean Katambayi Mukendi, per scoprire che la critica al pensiero lineare parte da battaglie quotidiane (a Lubumbashi)

Il nostro primo incontro con l’arte di Jean Katambayi Mukendi avviene a Bruxelles nel 2016, in una torrida giornata estiva. Dopo essere stato in residenza a WIELS, invitato da Sammy Baloji – che come Katambayi è nato a Lubumbashi -, l’artista congolese è parte di una collettiva da Gladstone Gallery. È stato un altro artista rappresentato da dalla galleria a invitarlo, Kasper Bosmans, alla quale è stato chiesto di curare una mostra estiva nella sede Bruxelles. La mostra si intitola The Hum Comes from the Stumuch.

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Jean Katambayi Mukendi, Marsphairslines, 2016. Courtesy: the artist, Trampoline Gallery and Gladstone Gallery.

[Qui il link alla nostra recensione di The Hum Comes from the Stumuch. Ndr]

Uno dei lavori esposti accende il nostro interesse. Alcune tavole di MDF sono state tagliate, dipinte e assemblate a guisa di timone aereonautico. Da qualche parte c’è anche il logo della compagnia aerea, proprio come se si trattasse di un timone reale. La tonalità grigia conferisce all’oggetto una sorta di dignità tecnologica propria, in contrasto con il logo, che invece è evidentemente stato disegnato a mano libera. Dopo questo primo incontro il timone continua a tornarci in mente, con tutte le sue domande e i suoi possibili significati, finché, qualche giorno fa, una videochiamata in francese tra Bruxelles e Lubumbashi – dove Katambayi oggi vive e lavora – svela un po’ del suo mistero.

Jean Katambayi Mukendi
The studio of Jean Katambayi Mukendi. Photo: the artist.

Jean Katambayi Mukendi parla dal suo studio, che continua a chiamare un “museo di materiali, dove la roba si accumula per decenni”. Dice che l’invenzione della linea aerea Marsphairslines, per l’opera in questione, è avvenuta nell’ambito della propria critica al pensiero lineare. E allora: “una fuga potrebbe essere dritta; ma la vera fuga nella vita non lo è mai. Per raggiungere alcuni obiettivi non possiamo sperare di cavarcela con un semplice approccio diretto. Ci piace pianificare, ma poi arrivano le turbolenze. Quando creo un aereo, o una compagnia aerea che vola su Marte, quello che sto facendo, in realtà, è indicare l’importanza della turbolenza contro il pensiero lineare, ed è forse anche una personale riflessione sulle diverse situazioni politiche africane”.

Jean Katambayi Mukendi
The studio of Jean Katambayi Mukendi. Photo: the artist.

Con tono deciso Jean Katambayi Mukendi ci parla dei molti modi di essere ironici. Dice: “quando lavoravo come insegnante di matematica al liceo, la gente spesso mi chiedeva perché mi attardassi a scherzare con gli studenti. La matematica doveva essere una cosa seria. Invece io l’ho presa in modo diverso, ed è servito. Le mie opere d’arte sono simili. Possono essere ironiche, ma affrontano argomenti seri. Come la politica in Congo e le responsabilità dei paesi stranieri in questa nazione”.

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Jean Katambayi Mukendi, Covid 11 Afrolampe XI Accord Avril 2020 23H00, 2020. Courtesy: the artist and Ramiken Crucible. Photo: Dario Lasagni

Sammi Baloji una volta ha detto che Lubumbashi è la città dove prima viene l’industria mineraria, poi la gente. Il suo amico Jean Katambayi Mukendi – che con Baloji collabora all’associazione culturale Picha – affronta questo tema con una banale lampadina. L’irrilevante si carica di significato. Le sue lampadine, ispirate ai disegni tecnici delle corporazioni che sfruttano la regione, sono più che bizzarri manierismi. Sono veri e propri pamphlet politici, ovvero dichiarazioni coscienti di un artista consapevole delle possibilità cognitive di immagini esteticamente convincenti e dal preciso carattere estetico.

Proprio come i vaccini anti-Covid, la cui distribuzione riflette su scala globale le più ingiuste disuguaglianze, così funziona la distribuzione dell’elettricità a Lubumbashi: “Le ricche società minerarie – dice l’artista – qui hanno sempre elettricità stabile nelle loro fabbriche. Mentre non è così per le famiglie, anche quelle dei lavoratori impiegati da quelle stesse società. La popolazione ha preso in mano la situazione e ora sta riaggiustando i cavi elettrici, facendo tutto il possibile per superare lo squilibrio in corso”.

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Jean Katambayi Mukendi, Onderhandeling, Etablissement d’En Face, Brussels, 2019.

Jean Katambayi Mukendi ha anche un diploma da elettricista. Ha studiato in una scuola tecnica che è stata fondata durante l’occupazione belga per assicurarsi che le aziende europee non fossero mai a corto di manodopera a basso costo. Far risalire la sua pratica artistica alla sua istruzione sarebbe però semplicistico. Nonostante la patina presudo tecnica e astratta delle sue sculture e dei suoi disegni, l’arte di Katambayi Mukendi è assai più concreta e coi piedi piantati a terra. L’artista muove infatti dalla sua vita quotidiana e dalle sue piccole, e grandi battaglie. Per lui la tecnologia è una questione di forma piuttosto che di funzione. C’è più Lubumbashi che Marte nelle sue opere sul volo nello spazio. C’è dunque politica più che sfoggio di conoscenze tecniche. La sue opere comunicano pragmatismo reale e politico.

Riguardo al passaggio che lo ha portato dalla scuola tecnica all’arte contemporanea Mukendi dice:

Mia madre era una specie di visionaria. Credeva che ci fosse qualcosa di più nella vita che finire in un posto scelto per noi da qualcun altro. Così mi ha insegnato che dovevo studiare per capire la vita, piuttosto che per capire l’elettricità.

Molti degli schizzi preparatori di Jean Katambayi Mukendi sono infatti pieni di indicazioni, che però non sono istruzioni tecniche, o per risolvere un esercizio matematico. Sono annotazioni alla vita reale.

Jean Katambayi Mukendi, Covid 53 Afrolampe XXXIV Synchrone Juillet 2020 17h, 2020, Pen on paper. Courtesy: the artist and Ramiken Crucible. Photo: Dario Lasagni
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Drawing by Jean Katambai Mukendi from on ne sait pas où on va… mais on sait comment on va… (2016) published by trampoline gallery Antwerp. Courtesy: the artist and Simon Delobel

La curatrice Caroline Dumalin scrive che Katambayi inventa l’immagine di un mondo che ha perso la sua struttura. Dumalin commenta una serie di disegni annotati prodotti durante la residenza dell’artista a Bruxelles, poi raccolti da Simon Delobel in una pubblicazione. Il processo di pensiero esposto da questi disegni conferma ancora una volta come nel lavoro di Katambayi l’astratto possa incontrare il reale. Le formule sono lì per alludere alle condizioni politiche della società in cui vive, invece che alla mera masturbazione numerica.

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The studio of Jean Katambayi Mukendi. Photo: the artist.

Jean Katambayi Mukendi ha da poco avuto la sua prima mostra personale negli Stati Uniti. La galleria newyorkese Ramiken Crucible gli ha dato l’opportunità di produrre opere in situ, e quando la pandemia lo ha reso impossibile, ha esposto una serie dei suoi Afrolamps, che Katambayi ha inviato da Lubumbashi. Questa prima esperienza statunitense solleva la questione di come il suo lavoro sarà percepito. Le questione razziale negli Stati Uniti è chiaramente diversa da quella dell’Europa postcoloniale. Per esempio, il Middelheim Museum di Anversa sta allestendo una mostra chiamata Congoville, che includerà una versione 3D dell’afrolamp di Katambayi e che si suppone faccia parte di un’operazione di autoriflessione sul passato coloniale del Belgio. Ma quando in un certo contesto sociale questo discorso venisse a mancare, per ragioni storiche oppure politiche, allora ci si potrebbe chiedere come il lavoro di Katambayi vada inquadrato. Il tempo dirà fino dove il pensiero non lineare di Katambayi si saprà spingere.

March 24, 2021