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Paolo Pagani, meraviglioso falsario e trasformista

Antonio Carnevale

Viaggio nella potenza onirica e visionaria di Paolo Pagani, artista barocco senza tempo, come Johann Heinrich Füssli o WIlliam Blake

Davanti alle opere di Paolo Pagani ci si domanda come mai il suo nome non sia oggi tra quelli universalmente noti al grande pubblico. Pagani è stato un pittore eccentrico, visionario, originalissimo, artefice di infinite trasformazioni e sperimentazioni. Eppure, al di fuori dalla cerchia degli studiosi di pittura barocca, è assai raro trovare chi conosca anche soltanto una sua opera. Fortunatamente, la critica sta dimostrato un rinnovato interesse per questa figura piuttosto sfuggente dell’arte italiana tra Sei e Settecento. I recenti studi di storici dell’arte come Morandotti, Frangi, Pescarmona, Geddo, Zanuso, solo per dirne alcuni, sono oggi un prezioso viatico per riportare alla luce un pittore formidabile ma che non è sempre facile distinguere tra verità e menzogne, fra travestimenti e falsificazioni, fra attribuzioni fuorvianti e strette somiglianze con altri artisti.

Paolo Pagani - Parish Church of San Martino
Paolo Pagani – Parish Church of San Martino – Frescoes on the vault, 1696-97, Castello Valsolda, Como.

Di Paolo Pagani si sa che nasce a Castello Valsolda il 22 settembre 1655 da una famiglia di artisti: pittori, scultori, scalpellini, muratori, alcuni dei quali attivi nel cantiere del Duomo di Milano. Paolo da Valsolda si sposta giovanissimo, come avevano fatto molti suoi colleghi originari delle terre che si affacciano sul lago di Como, tutti attratti dai grandi cantieri artistici di Venezia e Vicenza. Nulla si sa della fase giovanile di Paolo Pagani. La luce sulla sua produzione si accende solo dopo i suoi 25 anni, quando firma come stampatore una serie di acqueforti del pittore e incisore Giuseppe Diamantini. Ed è proprio in Diamantini, di origine marchigiana ma attivo a Venezia, maestro di artisti come Rosalba Carriera, che va forse immaginato un primo riferimento per Pagani.

Loth
Johann Carl Loth, “Jupiter and Mercury hosted by Philemon and Baucis”, oil on canvas, before 1659, Kunsthistorisches Museum, Vienna

Ma districarsi nel tema della formazione di Pagani è compito aspro. Possibili suoi modelli potrebbero essere stati Johann Carl Loth, affine anche per l’intensità delle scene, e Giovanni Battista Langhetti, il cui naturalismo si vede per esempio nel Martirio di Sant’Erasmo di Paolo Pagani, custodito oggi nella Galleria nazionale di palazzo Spinola a Genova, considerato dalla critica il più antico quadro di Paolo oggi conosciuto, solo di recente ricondotto al suo catalogo, e senz’altro tra i capolavori di tutta la sua produzione.

PAGANI TRASFORMISTA

Distinguere i maestri di Pagani non è cosa semplice anche a causa dell’imprendibile personalità stilistica del pittore. Pagani è capace di cambiare registro e modello anche in opere assai vicine nel tempo. A volte, per esempio, ha una pittura acquarellosa, come nelle Storie di Sansone e nel Compianto di Abele al Herzog-Anton-Ulrich-Museum di Braunschweig, o come nella Maddalena della Gemaldegalerie di Dresda, dipinte tra i 25 e i 35 anni. Eppure, di segno opposto a quei modi liquidi, soltanto pochi anni prima si trovava in una pittura ruvida, a strappi, senza traccia della luce calda di Braunschweig. Tra gli anni 80 e 90 si vedono poi le figure più danzanti, plasticamente ben modellate, sempre morbide, accostate dalla critica a un altro possibile modello di Pagani: Louis Dorigny, artista francese, presente in Laguna proprio in quel torno d’anni e grande innovatore della pittura veneziana.

Lousi Dorigny, Venezia
Louis Dorigny – “The triumph of the name of Jesus”, frescoes in the transept, 1732, Church of Santa Maria Assunta known as I Gesuiti in Campo dei Gesuiti, Venice.

La verità è che Pagani è impossibile da incasellare in un percorso lineare. Negli stessi anni del soggiorno veneziano, dunque prima del 1690, ci sono opere che hanno fatto pensare persino al ricordo di Luca Giordano, e ancora ai modelli di Pietro Liberi e di Diamantini. Un esempio per tutti è la Guarigione del cieco della Galleria Sabauda di Torino, dal disegno controllatissimo, dai colori limpidi e schiariti, con una superficie algida e in certi punti metallica. In altre opere di quel momento, come Samele e Giove della Moravska Galerie di Brno, si sfiora invece il virtuosismo anatomico nella resa di muscoli perfettamente torniti, di panneggi indagati in ogni minima piega. I due quadri di Torino e Brno sono una specie di contrappunto freddo alla morbidezza dei quadri di Braunschweig e Dresda, pure non lontani nel tempo. Ma gli esempi offerti dalla critica per questi cambi di tono, di registro, di gusto, sarebbero molti. Inutile dunque cercare un sentiero diritto. Bisogna accontentarsi di seguire questo pittore opera per opera. Tenendo presente il suo carattere fuori dagli schemi, pronto a tradire i suoi modelli, e anche se stesso, non appena s’affacci lo spiraglio di un nuovo spunto d’imitazione, di riflessione, di sperimentazione. O anche semplicemente per incontrare il gusto di una nuova committenza.

Paolo Pagani - “Jupiter and Samele”
Paolo Pagani – “Jupiter and Samele”, oil on canvas, Brno, Moravska Galerie, c. 1685-90.

Il travestitismo di Pagani è testimoniato anche dalla pletora di nomi cui sono stati attribuiti, nei secoli, i suoi dipinti. E lo stesso Pagani ci ha messo del suo nel far perdere le proprie tracce, così capace di mimetizzarsi di volta in volta in vesti diverse. Tanto più che per diversi anni, all’inizio della sua carriera, si nascose dalla Corporazione dell’arte dei pittori, operando in clandestinità, con il solo scopo di evadere le tasse, probabilmente realizzando diverse opere “alla maniera di”, per poi venire allo scoperto soltanto nel 1685.

PAGANI CHE APPARE E SCOMPARE

Documentato a Venezia, Pagani scompare nuovamente dai radar nel 1690. Da quella data non c’è più traccia della sua presenza nelle carte degli archivi della Serenissima. Il pittore rispunterà solo il 26 marzo 1696 a Castello Valsolda, nella sua patria d’origine, con uno dei suoi lavori più spettacolari, la decorazione della volta della chiesa di San Martino, e lo farà dopo almeno sei anni di assenza dall’Italia, periodo nel quale avrà vagabondato in vari centri dell’Europa centrale, tra Vienna, la Moravia e la Polonia.

A Kroměříž, nell’attuale Repubblica Ceca, lavorerà agli affreschi per la residenza estiva del principe vescovo Carl-Liechtenstein-Castelcorno. Ma sono diversi i documenti che attestano pagamenti all’estero in quegli anni, ingaggiato da alcune corti dell’Europa filo-imperiale e forse anche per Leopoldo I. A testimoniare l’attività di quegli anni resta oggi una serie di opere sparsa tra residenze e musei dell’Europa centrale, come i disegni custoditi nella Biblioteca statale delle scienze a Olomouc, ancorché precedenti al suo viaggio, che attestano l’importanza del disegno nell’intera sua carriera: una caratteristica costante, che si tradurrà sempre in un forte impianto delle sue pitture, sia quelle in cui il colore sembra trasferito da un acquerello sia in quelle dove la muscolatura perfetta sembra derivare invece da un’impostazione accademica strutturatissima e rigida.

Paolo Pagani drawing
Paolo Pagani – “Studies of Three Naked Men, a Right Arm and a Nude Figure Supported by Another (recto); drawing; Pen and brown ink, brush and brown wash, over black chalk (the three struggling figures) (recto); – Metropolitan Museum of Art, New York, 1700-1710 ca.

A Kroměříž si possono ancora vedere suoi affreschi nella sede del palazzo Arcivescovile. Tracce di suoi dipinti a fresco sono nella chiesa dell’abbazia cistercense di Velehard, in Moravia. E opere di Pagani sono visibili nella chiesa di Sant’Anna a Cracovia, dove c’è l’intensissimo San Sebastiano, inserito nella Gloria di angeli della maestosa cornice a stucco di Baldassarre Fontana, stuccatore con il quale Pagani collaborò spessissimo e con le cui realizzazioni seppe far dialogare sempre le prospettive delle sue composizioni.

Degli anni in Europa centrale vanno ricordate almeno altre due opere significative: Ercole e il figlio Illo preparano il rogo (92-94), già in palazzo Leoni Montanari a Vicenza e oggi in collezione privata, e il Sant’Onofrio della pinacoteca del convento dei Cappuccini di Voltaggio, in Piemonte (1694). Sia Ercole sia il santo raffigurati in queste opere hanno una postura scomodissima, precaria, instabile, seduti su rocce spigolose e dunque forse fastidiose per i loro ospiti, tanto da trasferire all’opera una qualità vibrante, una tensione che rimanda lo spettatore a una sensazione di verità e finzione allo stesso tempo, con le pose innaturali dei due personaggi che sembrano fatte apposta perché questi paiano in procinto di alzarsi da un momento all’altro; o, come nel caso di Sant’Onofrio, sembrino inserite in un set dal sapore cinematografico o teatrale, con le pietre che paiono di cartapesta, con gli oggetti disposti sapientemente nello spazio, e con la figura protagonista illuminata come da un faro a occhio di bue. Sembra di trovarsi in uno studio di posa. Ci si immagina Ercole e Onofrio che si alzino per rivestirsi non appena terminato lo shooting, mentre lo staff libera la scena dagli elementi della finzione. Forse è un azzardo dettato da una sensibilità contemporanea, ma la tentazione di attribuire alle figure di Pagani la stessa instabilità e inquietudine della sua vita è forte. Soprattutto se si mette il naso nelle pieghe travagliate della sua biografia.

PAGANI FALSARIO

Pagani, proveniente da una famiglia di artisti e artigiani, sposato con la figlia di uno straccivendolo, coltivava la strenua ambizione di vestire il proprio nome con il blasone della nobiltà, anche se nobile, ovviamente, non lo era mai stato. Così, per esempio, del tutto fortuitamente, durante la ristrutturazione della sua casa di Castello Valsolda, dopo il suo ritorno in patria, spuntano privilegi nobiliari e attestazioni della “antichissima fede cristiana della sua famiglia”. Secondo le “riscoperte” carte, un’avventurosa genealogia faceva discendere la sua famiglia da una stirpe senza credo (non a caso “pagani”), una discendenza che comincia nientemeno da Ismaele, protagonista negativo dell’Antico Testamento, figlio illegittimo di Abramo, per continuare con sanguinari condottieri (e addirittura un re d’Africa) convertitasi però al Cristianesimo nel XIII secolo. “I Pagani, illuminati da Dio, bramosi d’abbandonare l’Idolatria, ed abbracciare la vera legge di Nostro Signore Gesù Cristo, professarono la Fede Cattolica, ed ebbero l’onore di essere tenuti al Sacro Fonte dal Serenissimo Conte di virtù e di Milano Galeazzo Visconti Vicario Generale dell’Imperatore Federico II…”: così si leggeva.

In realtà, gli studi recenti hanno dimostrato che quei documenti erano stati falsificati grazie all’abilità calligrafica e araldica di Paolo Pagani. E che il solo scopo di quel falso era agevolare l’adozione del figlio dell’artista, Angelo, da parte del marchese Cesare Pagani, privo di eredi diretti. Non si tratta di una nota di colore o di pura vanità nella biografia di Pagani, ché anzi quella vicenda divenne terreno di diverse battaglie giudiziarie e occupò la mente dell’artista a lungo, distraendolo forse anche dal suo lavoro. Quelle millanterie, incastonate in una cornice storica del tutto plausibile ma sortita dalla pura invenzione dell’artista, avranno il loro contrappunto figurativo proprio in uno dei migliori lavori a fresco del Pagani: la decorazione della volta della chiesa di Castello Valsolda, dove campeggia persino lo stemma araldico (falso pure quello) della presunta casata. Inoltre, uno dei protagonisti di questa vicenda, il marchese Cesare Pagani, di certo in combutta con il pittore nella gestazione dei falsi documenti, ebbe un ruolo assai significativo nella carriera di Paolo Pagani: omonimo ma non legato da alcun legame di parentela, il marchese era un diplomatico legato alla corte del Palatinato con incarichi alle corti di Vienna, Madrid e Parma. E per il nostro artista fu mecenate, committente e impresario, favorendolo, con ogni probabilità, in diverse commissioni, soprattutto nelle corti filo-imperiali.

PAGANI DEI CAPOLAVORI

Se si volesse seguire Pagani nello sviluppo della sua carriera, bisognerebbe iniziare un percorso che conta ad oggi circa 80 opere tra decorazioni a fresco e dipinti su tela, alcune documentate e altre con attribuzioni più o meno recenti. In questo corpus ce ne sono alcune che testimoniano i picchi della sua produzione all’interno delle sue diverse svolte stilistiche. Sorvolando sulla reale cronologia dei dipinti, vale la pena citare i lavori più sorprendenti, quelli che – se davvero valorizzati – potrebbero finalmente far entrare questo pittore nel novero dei maggiori artisti della nostra stagione barocca, anche agli occhi del grande pubblico.

Tra i capi d’opera bisognerà elencare allora la già citata Guarigione del cieco della galleria Sabauda di Torino; le già citate Storie di Snasone a Braunschweig; La caduta dei giganti nel castello Lauzarche d’Azay in Francia, cui va collegato il disegno per uno studio di nudi alla Natiolan Gallery of Ireland a Dublino; e ancora: la spettacolare Discesa al limbo di Villa Gallia a Como; il Sant’Antonio nella chiesa dei Cappuccini a Chiusa d’Isarco, dove gli effetti di fluorescenze fanno risaltare bagliori in tutta l’opera, tanto che si può immaginare che se nella chiesetta andasse via la corrente, di notte, quella grande pala resterebbe lì a rischiarare tutto l’ambiente, accesa e vibrante.

Paolo Pagani - “Sacrifice of Isaac”
Paolo Pagani – “Sacrifice of Isaac” – oil on canvas – Venice, Palazzo Salvioni Capello – c. 1685-90.

Anche il cosiddetto Martirio di Sant’Erasmo, oggi custodito nella galleria nazionale di palazzo Spinola a Genova, va annoverato tra le migliori prove di questo artista. L’opera era stata acquistata dalla Soprintendenza della città dalla galleria Zabert di Torino nel 1982 con la vecchia attribuzione a Giovanni Battista Langhetti. Ancora oggi restano dubbi sull’interpretazione del soggetto, e ciò dipende dalla tendenza di Pagani a interpretare le varie iconografie sottraendo dettagli tradizionali e aggiungendone di nuovi. Lo stile però non lascia dubbi ai critici sulla mano di Pagani, con la concitazione teatrale della scena, con suoi tipici contrasti di luce e buio, con i caratteristici occhi infossati di alcuni personaggi, e con il ritmo esecutivo esasperato e tipico dei suoi anni giovanili.

Una fortissima tensione disegnativa, il ritmo danzante, la spasmodica ricerca di un’eleganza formale sono pure in un altro riuscitissimo lavoro: il Sacrificio di Isacco (1685-90 ca.), custodito a Venezia nel palazzo Salvioni Capello, opera che tradisce forse l’influenza di Louis Dorigny, e che era stata esposta già a rappresentare Pagani nella grande mostra sulla pittura veneziana che si era tenuta a Venezia nel 1959.

PAGANI E LA VOLTA SPETTACOLARE DI CASTELLO VALSOLDA

Al ritorno in patria dopo il soggiorno nell’Europa centrale, Pagani volle offrire un dono alla sua terra, assumendosi i costi per il completamento della chiesa di San Martino (già in rifacimento dal 1578) e realizzando di propria mano gli affreschi della volta. Pagani “Fece per sua divotione involtare la nostra chiesa parrocchiale di san Martino di Castello a sue spese e di sua propria mano la dipinse et nel termine di un anno e mezzo il tutto si riduasse a perfettione come oggi si vede”: così si legge nelle carte della Confraternita della Beata Vergine del Rosario, che attestano i lavori conclusi il 1 gennaio 1697. Siamo dunque tra 96 e 97, e la volta di questa chiesa, affrescata dall’artista senza soluzione di continuità, rappresenta il suo lavoro più ambizioso e spericolato. Pagani dipinge da un lato La predicazione di San Giovanni e, sul lato opposto, La condanna a morte delle sante Apollonia, Caterina e Lucia, raccordando così le sue invenzioni ai soggetti delle opere giò presenti nelle cappelle laterali della chiesa.

Paolo Pagani Valsolda
Paolo Pagani – Parish Church of San Martino – Frescoes on the vault, 1696-97, detail with “The preaching of San Giovanni”; Castello Valsolda, Como.

Pagani offre in modo narrativo e la lotta tra il bene e il male, tema ricorrentissimo nelle sue opere. Da una parte dunque il bene con il Battista che indica il valore salvifico del Messia attraverso la sua predicazione a un gruppo di figure incredule. Dall’altra parte, invece, il male, con un giudice romano ritratto mentre condanna le tre sante per punirle del loro ostinato rifiuto di tradire la nuova fede in Gesù Cristo. I colori chiari sui volti delle sante sono il contrappeso cromatico ai quelli cupi dei soldati che le martirizzano, mentre un gioco di penombre e chiaroscuri è aiutato dalla luce naturale che filtra dall’unica finestra della facciata. Nella zona centrale della volta ci sono le anime elette: angeli che accompagnano in volo le sante, la cui ascensione ha come meta il punto focale della volta, e cioè la Vergine assunta in cielo e circondata da schiere di arcangeli, mentre ad affollare la volta, come comprimari delle diverse scene, s’inseguono e frappongono figure di apostoli, soldati romani, filosofi del mondo antico e sacerdoti.

Paolo Pagani martirio
Paolo Pagani – Parish Church of San Martino – Frescoes on the vault, 1696-97, detail with “The death sentence of the saints Apollonia, Caterina and Lucia”; Castello Valsolda, Como.

Pagani esegue le sue composizioni a grappolo, in totale spregio delle leggi gravitazionali e di quelle dell’ottica; lo fa senza pensare al punto di vista dello spettatore; procede moltiplicando i punti di fuga, introduce nel complesso decorativo un equilibrio autonomo e caotico, affidato sempre a una prospettiva intuitiva che ha un suo contraltare anche dal punto di vista tecnico con le pennellate veloci, sovrapposte, abbozzate. Tutto è realizzato direttamente sull’intonaco, senza traccia di alcun disegno preparatorio. E ad accentuare il ricco effetto cromatico c’è il contrasto tra le architetture quasi monocrome e le vesti cangianti, coloratissime dei personaggi, con una gamma di colori talmente varia ed estesa che si fatica a non pensare alla fortissima preoccupazione del pittore per l’aspetto coloristico, al pari dell’attenzione per gli aspetti disegnativi, chiaroscurali, compositivi e iconografici.

Tra gli artisti che probabilmente influenzarono Paolo Pagani al suo ritorno in Italia andranno citati almeno Sebastiano Ricci e Domenico Piola. Dopo il 1696, il suo stile si fa infatti sempre più intenso e spericolato, soprattutto nell’eccessiva libertà interpretativa, lo si vede nella Fucina di Vulcano della Clovis Whitfield Gallery a Londra, dove c’è un personaggio in primo piano che fa per voltarci le spalle ed esibire le sue natiche vestite di un improbabile paio di mutande “animalier”. Forse è per questo tipo di bizzarrie e per la sua insofferenza ai rigidi canoni iconografici se – come è stato osservato – le sue opere raggiunsero luoghi sacri soltanto per la sollecitudine del suo mecenate o per suoi doni personali. Ad ogni modo, la volta della chiesa di San Martino a Castello Valsolda non è soltanto un capolavoro di Paolo Pagani, ma di tutta la pittura barocca italiana. E – come è stato notato – se egli avesse lasciato quei suoi affreschi in un luogo meno appartato, certamente avrebbe fatto scuola.

Paolo Pagani - Parish Church of San Martino
Paolo Pagani – Parish Church of San Martino – Frescoes on the vault, 1696-97, Castello Valsolda, Como.

PAGANI E IL MAL DI RENI

Un altro capolavoro di Paolo Pagani è nella chiesa di San Marco a Milano, nella cappella accanto al presbiterio. Si tratta di un dipinto del 1712, realizzato come ex voto a san Liborio per uno scampato pericolo. Il santo, che è piuttosto raro come soggetto in pittura, era considerato il protettore dei malati di reni e delle vie urinarie, sfortunata schiera cui apparteneva anche il nostro pittore.

Pagani dà un’invenzione del soggetto in chiave narrativa e visionaria come è nel suo stile. Ad affollare la parte bassa e centrale della composizione c’è un gruppo di malati che invoca il protettore. Uno dei doloranti si tiene i fianchi in preda a un attacco, proprio ad accentuare l’effetto narrativo, che va seguito dal basso verso l’alto della composizione, e che prepotentemente esplode nella parte alta del quadro, dove miracolosamente il santo appare agli infermi, come emergendo dalla statua stessa, quasi ne fosse l’anima invisibile e ora inaspettatamente manifesta. Pagani ripete ancora una volta il suo soggetto prediletto, ovvero se stesso: mette in scena la propria biografia, le proprie ambizioni, le proprie speranze e persino le proprie coliche renali.

Paolo Pagani Milano
Paolo Pagani, “Miraculous apparition of Saint Liborius healing a sick person (ex voto)”, oil on canvas, 1712, church of San Marco, Milan.

Dentro quest’opera, che fu donata alla chiesa dallo stesso Pagani, c’è tutta la sintesi di questo originale artista anche dal punto stilistico: ci sono i suoi modelli giovanili, c’è il ricordo della pittura lombarda alla Procaccini, e c’è la delicatissima ricerca cromatica memore dell’esperienza veneziana. Il ringraziamento di Pagani al santo che lo aveva liberato dal male ai reni è dunque il più “Pagani “ dei Pagani, realizzato solo pochi anni prima della sua morte. Il pittore si spegneva infatti quattro anni dopo aver realizzato il San Liborio: nel 1716, proprio a causa di una colica renale (“ex infiammattione colica”). Moriva così un artista barocco e sui generis, una figura imprendibile, che non a caso è stata accostata a pittori “a venire” come Johann Heinrich Füssli e William Blake: artisti dalla sensibilità onirica e visionaria, senza tempo.

Bibliografia

  • D. Pescarmona, “La pittura del Seicento a Como” in Mina Gregori (a cura di) “Pittura a Como e nel Canton Ticino dal Mille al Settecento”, Cinisello Balsamo, 1994
  • G. Geddo, “Ritrovamenti sul marchese Cesare Pagani committente del pittore Paolo Pagani”, in Paragone, XLVI, 1995
  • M. Karpowicz, “Artisti Valsoldesi in Polonia nel ‘600 e ‘700”, Menaggio, 1996
  • M. Togner, “Paolo Pagani kresby/drawings”, Olomouc, 1997
  • F. Frangi, “Da Casetllo Valsolda a Milano: gli anni lombardi di Paolo Pagani” in “Paolo Pagani (1655-1716)”, catalogo della mostra (Rancate – Campione, 20 settembre-29 novembre 1998) a cura di F. Bianchi
  • A. Morandotti, “Paolo Pagani e i Pagani di Castello Valsolda”, Lugano, 2000

July 19, 2021