loading...

International Galleries Alliance: l’unione fa la forza (di Art-lantide)

Stefano Pirovano

La neonata International Galleries Alliance potrebbe cambiare il futuro dell’arte contemporanea. Ecco perché

Oltre che per la Biennale di Venezia più femminile di sempre, o per la spudorata convergenza tra il Centre Pompidou e la Collezione Pinault nel nome di Charles Ray (la doppia personale ha aperto qualche giorno fa), il 2022 potrebbe passare alla storia come l’anno in cui è nata l’International Galleries Alliance (IGA), ossia la prima “alleanza” internazionale di gallerie d’arte contemporanea.

L’associazione si forma spontaneamente a Londra, durante l’ultima edizione di Frieze. Qualcuno crea una chat, dove inizialmente le gallerie condividono informazioni di servizio. Poi le parole innescano le idee, la panna monta, e lo scorso 15 febbraio le prime 253 gallerie che fanno parte della nuova International Galleries Alliance lanciano insieme una campagna  su Instagram che annuncia il nuovo sito dell’alleanza e una newsletter (a partire dal prossimo 15 marzo). Alea iacta est.

International Gallery Alliance
Do Ho Suh, Net-Work, 2010. Gold and chrome plating with polyurethane coating on ABS plastic and nylon fishing net. Dimensions variable. Courtesy the artist and Lehmann Maupin, New York and Hong Kong.

La prima cosa da notare è che al momento l’International Galleries Alliance raccoglie quasi tutte le migliori gallerie al mondo specializzate in artisti viventi, e quindi traccia un perimetro simile a quello che fino a oggi tracciavano solo poche fiere d’arte. Il fatto è importante soprattutto per le gallerie più giovani, vera linfa vitale del sistema, perché l’esser parte di questo perimetro offre una sorta di abilitazione professionale che fino a oggi si poteva ottenere solo sul campo, ovvero passando attraverso le fiere. Le quali, dal canto loro, potrebbero presto trovarsi di fronte a un interlocutore con molto più potere contrattuale. Se questa fosse la strada si passerebbe dal paradigma del divide et impera a quello del viribus unitis. A patto di non sterilizzare l’International Galleries Alliance cadendo nella trappola del conflitto di interessi. Si staglia infatti all’orizzonte il tema della compatibilità delle cariche. È corretto che chi fa parte del board di una fiera possa essere anche membro del board dell’associazione che potrebbe trovarsi nella posizione di dover difendere gli interessi delle gallerie stesse? Come dicevamo, magari questo non accadrà mai, perché l’IGA sceglierà che non è il suo ruolo. Ma al momento è senz’altro lecito porsi la domanda, anche perchè l’IGA si propone di essere una struttura orizzontale, “non gerarchica” e “non centrica”, come recita la ponderata dichiarazione pubblicata sulla home page del sito – e per questo motivo qui preferiamo non citare direttamente nessun gallerista o galleria.

Il sito (qui) annuncia anche la nascita di una nuova piattaforma commerciale, ideata “da e per” i membri dell’alleanza. In questo modo, oltre a vendite senza commissione e costi aggiuntivi, la fondamentale risorsa rappresentata dai dati generati dalla piattaforma rimarranno all’interno e al servizio dell’alleanza stessa, invece che andare ad arricchire terze parti come sistematicamente è avvenuto finora. Vale a dire che tanto i contenuti prodotti dalle gallerie quanto i dati generati dagli utenti della piattaforma rimarranno a disposizione esclusiva delle gallerie stesse, ovvero di quel complesso e costoso sistema di relazioni, funzioni e competenze sul quale l’arte contemporanea di fatto si regge.         

Si capisce che le azioni che si potrebbero intraprendere per migliorare il sistema vanno dunque ben oltre lo scambio di qualche informazione di servizio. Mercato, artisti, collezionisti e istituzioni sono interlocutori con i quali le gallerie devono anche saper parlare con un’unica voce. Si tratta di dare risposta alle straordinarie sfide che il presente sta ponendo, perché, si sa, in natura ciò che non evolve muore. Un’associazione internazionale efficiente e coesa, per esempio, potrebbe in futuro partorire un registro unico e uniforme delle opere d’arte, a garanzia della loro autenticità e del loro valore, magari in forma digitale e basato su blockchain. Oppure l’IGA potrebbe provare a redigere una carta etica, per indirizzare verso comportamenti più virtuosi e dunque più sostenibili i vari player – a partire da collezionisti e case d’asta.

Oggi sono ancora in molti a credere che il mercato dell’arte in realtà si nutra della mancanza di una regolamentazione sufficientemente sofisticata. Ma è pur vero che senza regole, senza un codice etico condiviso, senza chiari parametri di riferimento, è molto difficile guardare al futuro con l’ottimismo che serve. Un economista italiano ha scritto che il sistema dell’arte si basa su quanto del proprio stipendio sono disposti a rinunciare i suoi operatori, il che significa che questo è un sistema basato sul sacrificio. Quello che è lecito aspettarsi dell’IGA è che almeno contribuisca a fare in modo che continui a valerne la pena.

February 21, 2022