Le comunità estetiche nel lavoro di Pol Taburet
Attraverso spazi simbolici come il cortile e la trap house, Pol Taburet fonde la consapevolezza culturale con gli obiettivi dell’intrattenimento
Nel corso della storia, in ragione delle condizioni sociali che le persone di origine africana hanno conosciuto nelle Americhe sin dall’inizio della colonizzazione, il cortile domestico (the yard), in quanto spazio privato, è stato il luogo simbolo dell’identità afro-creola. Nelle comunità povere dei Caraibi, proprio come accade anche nelle zone rurali del sud degli Stati Uniti, cose come preparare il pranzo, oppure prendere parte a un’attività sociale, magari accompagnata dalla musica, spesso si svolgono proprio nel cortile di casa. (1) Nelle regioni dal clima più caldo gli spazi aperti sono un’estensione della casa, e talvolta sono anche spazi che molte persone condividono. Ecco perchè il giardino dei balsami (balm-yard) ha un particolare significato nella psiche della società caraibica; è un posto appartato, in cui si va in cerca delle cure dell’erborista, o perché si ha bisogno del servizio di un uomo o di una donna Obeah. In Giamaica e in altre isole in cui si parla l’Inglese, l’Obeah è un sistema sincretico di conoscenza conservato da certi concetti della spiritualità dell’Africa occidentale che hanno qualche relazione con il Quimbois praticato in Guadalupa e Martinica, nelle Antille francesi. (2)

Balmyard è anche il titolo di un dipinto di Pol Taburet. Nel 2020, da Balice Hertling a Parigi, l’artista l’ha presentato in una mostra personale intitolata OPERA I. L’immagine di una piramide tronca perforata da due lance metalliche affilate appare nel buio, come fosse incandescente. L’oggetto si trova di fronte a una porta che conduce a una stanza buia. Potrebbe avere proprietà metafisiche? In contrasto con la greve consistenza del pavimento giallo brillante, l’uso dell’aerografo crea un effetto traslucido, come se due realtà si sovrapponessero. Un altro dipinto in mostra, intitolato Fromager, richiama il nome di un albero che in Guadalupa – l’isola che Pol Taburet ha scelto per ripercorre parte della propria vicenda -, si crede dia rifugio agli spiriti. Si usa lasciare offerte intorno alle sue spesse radici e usarne le foglie come medicinali. Noto anche come l’albero del cotone di seta o Ceiba, il fromager appartiene a una specie conosciuta in tutti i Caraibi e in alcune parti dell’Africa occidentale, del Sud America e del Sud Est Asiatico. (3)
Mitologie legate a quest’albero sono state scoperte in molte culture indigene, dall’Amazzonia ai Caraibi. Da quando gli africani sono stati deportati in queste regioni esse continuano a essere trasmesse. (4) La conoscenza della natura e di ciò che non è visibile hanno contribuito alla ricca combinazione di credenze che attestano la presenza senza tempo di quest’albero. È risaputo che per permettere ai proprietari di schiavi di contrastare le ribellioni, si alimentavano divisioni e conflitti, che avevano anche l’effetto di sopprimere espressioni culturali che, più di un secolo dopo l’abolizione della schiavitù, ancora si conservano nella maggior parte dei paesi caraibici. (5) Taburet porta alla mente tali questioni, mostrando l’albero come un asse di congiunzione tra terra e cielo, luce e buio. I rami stessi sono figure simili a quelle umane, che si estendono verso l’alto e mettono a nudo uno strano frutto a forma di testa.

Nel dipinto intitolato Diable, che è parte della stessa serie, Pol Taburet rappresenta la causa del disordine e dell’ingiustizia come una figura dagli occhi aguzzi e dal corpo mostruoso, trasmettendo un senso di dolore. Un cappio le tira il collo. Il clima di sospetto e i traumi dell’era coloniale hanno generato miti e superstizioni popolari che indulgono nell’idea del soprannaturale proprio mentre si manifestano tutte le paure e le incomprensioni che le conversioni forzate al cristianesimo hanno creato. (6) Gli incontri con il male, i luoghi infestati dagli spiriti, o la malasorte che arriva per mano degli stregoni, sono temi comuni nel folklore, temi che hanno forgiato una percezione negativa degli insegnamenti spirituali afro-creoli. Questi orribili riferimenti tentano di tradurre un complesso retroterra storico in codici visivi che a loro volta spingono l’immaginazione a cercare indizi.

Nella sua seconda mostra personale, OPERA II, da Clearing, lo scorso anno, il lavoro di Pol Taburet conferma un cambiamento nei suoi interessi e si immerge ancor più a fondo nei temi affrontati in precedenza. Pastelli a olio, pigmenti e colori acrilici denotano un impiego distintivo del colore volto ad accentuare il contrasto della luce per creare profondità a ogni nuovo strato. In dipinti come XXX.hot.Love.Ily.doyou? e Buried on A Sunday le figure in ombra sono raffigurate con caratteristiche somatiche minime per rendere le loro identità indistinguibili tra loro. Quando scrive dei Three studies for a Crucifixion di Francis Bacon e del corpo rappresentato come carne, Deleuze parla di una perdita di personalità rispetto al corpo fisico: “Il volto ha perso la sua forma venendo sottoposto alle tecniche di sfregamento e spazzolatura che lo disorganizzano e fanno emergere una testa al suo posto. E i segni o tratti di animalità non sono forme animali, ma piuttosto gli spiriti che infestano le parti cancellate, che tirano la testa, individualizzando e qualificando la testa senza volto”. (7) Scene storiche cariche di violenza e angoscia come quelle dipinte in El Tres de Mayo da Goya sono per Taburet un’altra notevole fonte di ammirazione. Come giovane artista egli si riferisce a contesti contemporanei e comunica il caos di un mondo globalizzato attraverso un’attrazione per i media che ricorda quella provata anche da Jonathan Meese.
In questa sorta di Zeitgeist Pol Taburet trae spesso ispirazione dalla semiotica della musica trap, mettendo in scena molti dei suoi dipinti all’interno di ambienti che trasmettono una sensazione di claustrofobia. Questo ambiente stilizzato allude a un discorso più ampio sull’alterità, mettendo ancora una volta a fuoco l’esperienza dei gruppi emarginati in Occidente, ma sotto forma di un’altra estetica culturale, un’estetica nata nel Sud degli Stati Uniti e definita dalla crisi economica scoppiata nei quartieri sottosviluppati di Atlanta. Proprio come il cortile è stato descritto come uno spazio in cui una popolazione oppressa conserva e reinventa la propria identità culturale, così la trap house, di solito una casa abbandonata dove gli spacciatori gestiscono le loro attività, ha paradossalmente offerto un simile punto di fuga psicologico. (8)

Anche se i riferimenti alla “trap” erano già presenti alla fine degli anni ’90 in canzoni come “Spottieottiedopaliscious” dei leggendari Outkast, di Atlanta, i beat della trap si sono sentiti per la prima volta nei primi anni 2000, un’epoca che ha segnato l’inizio della popolarità mainstream del cosiddetto Southern Rap, con la musica crunk e snap. Più che un suono, il genere stesso è diventato una dichiarazione sui fallimenti del capitalismo, evidente per coloro che si trovano a vivere nella “trappola” sistemica della povertà. In una società ancora segregata dalla disuguaglianza, le realtà infernali dello spaccio di droga, della violenza della polizia e dell’incarcerazione di massa, sono raccontate come elementi di uno stile di vita da personaggi come Gucci Mane, Jeezy e T.I., ossia gli artefici di una formula ormai riconosciuta a livello globale. (9) Un numero crescente di rapper, tra cui 2 Chainz, Future, Migos e 21 Savage, ha continuato a espandere la scena musicale, riferendosi al proprio vissuto, che in genere è quello di un personaggio di strada il cui motto è “fare soldi, spendere soldi”. La fuga si trova in una realtà parallela, una realtà di lusso, iper-materialista, fatta di notti passate a ostentare la propria fortuna allo strip club.
Questa “fuga” riflette lo stato d’animo di una generazione che vive nelle pressioni sociali ed economiche del nostro tempo, uno stato in cui i desideri sono compulsivamente soddisfatti, ma l’identità personale svanisce, mentre il corpo trasmette cicli viziosi in una società disfunzionale. Nell’opera intitolata Strippers, Joint and Percocet Pol Taburet esemplifica questa tendenza, mostrando una figura femminile vista dalla vita in giù mentre danza coi tacchi alti intorno a un palo, per uno spettatore che fa smorfie, da solo, contro uno sfondo rosso. I muscoli anatomicamente definiti delle sue gambe sembrano essere percorsi da un riflettore che ispeziona la forma fisica umana con indifferenza nei confronti delle sue forze e lotte interiori. Nella presentazione di questa gamma di contenuti traspare un senso di ambiguità morale, che diverge dall’idea del realismo sociale per fondere la consapevolezza culturale con gli scopi dell’intrattenimento. Quello che Taburet sembra esporre sono le contraddizioni del consumo di massa delle espressioni culturali nere nella società occidentale.
1 Velma Pollard, “Blurring Cultural Boundaries: The Balm Yard in Olive Senior’s Discerner of Hearts and Erna Brodber’s Myal”, Caribbean Quarterly, Vol. 43, No.4, December 1997, (p.37-46), https://www.jstor.org/stable/40654007
2 Lizabeth Paravisini-Gebert, Margarite Fernandez-Olmos, “Obeah, Myal, Quimbois”, Creole Religions of the Caribbean, NYU Press, 2011,(p.150-153)
3 Marc-Alexandre Tareau, Alexander Greene, Guillaume Odonne, and Damien Davy, “Ceiba pentandra (Malvaceae) and associated species: Spiritual Keystone Species of the Neotropics”, Canadian Science Publishing, Botany, Vol. 100, No. 2, February 2022, (p.120-137)
4 Ibid no.3
5 Diana Paton, “The emergence of Caribbean spiritual politics”, The Cultural Politics of Obeah, Cambridge University Press, August 2015, (p.17-42)
6 Anny Dominque Curtius, “Quimbois”, The Encyclopedia of African Caribbean Religions, Edited by Patrick Taylor, Frederick I. Case, University of Illinois, 2013, (p.738-739)
7 Gilles Deleuze, “Body, Meat and Spirit, Becoming-Animal”, Francis Bacon: The Logic of Sensation, Continuum, 2013, (p. 21)
8 Rhana A. Gittens, “Atlanta’s Pink Trap House: Reimagining the Black Public Sphere as an Aesthetic Community”, Theory & Event, John Hopkins Univerisity Press, Project MUSE, Volume 24, No. 2, April 2021, (p.434) https://muse.jhu.edu/article/788240
9 Dennis Büscher-Ulbrich, “Surplus Trap: Crisis, Gangsta Rap and Trap Music Videos” African Americans: Free at last? Equal at last? Edited by Jutta Zimmerman, Special issue of LWU, L.3/4, 2017, (p.211)
March 2, 2022