Julien Carreyn: un piacere malizioso, che si guarda da lontano
A proposito di Julien Carreyn, che con dipinti e fotografie di piccole dimensioni seduce per vicinanza, da prospettive distanti
Disposti su piccoli scaffali, combinati in una vetrina, o allineati sul muro come fossero una serie, le foto, i disegni e i dipinti di Julien Carreyn costruiscono un universo intimo di desiderio e memoria. La messa in scena delle sue opere, spesso di piccolissimo formato, potrebbe essere la sinossi di un film, o ancora di più, la mappa di un libro. Nell’industria editoriale, per la quale Carreyn si è inizialmente formato, il flatplan è la rappresentazione d’insieme, sullo stesso piano, delle pagine di un libro. Combinate in questo modo, le immagini di modelli umani, interni, angoli di strada, o entità astratte, attivano una narrazione la cui storia non è realmente rivelata. Il sentimento di Sehnsucht circoscrive un perimetro romanzesco. Né in francese né in inglese la parola ha un equivalente. La sua radice – Sehn (vedere) e Sucht (desiderio) – potrebbe descrivere il desiderio di vedere qualcosa da lontano, con occhio distante, che poi è una delle proprietà importanti della macchina fotografica. Come un voyeur che sublima da lontano ciò che guarda, suggerendo occasionalmente un erotismo di fondo, il Sehnsucht di Carreyn intreccia letture multiple, modellandole attraverso le tecniche, le dimensioni e i soggetti delle opere. Da quale distanza – sia nel tempo che nello spazio – nasce il desiderio? È da questa domanda che l’universo artistico di Carreyn sembra dispiegarsi.
Piccoli, a volte persino in miniatura, i dipinti e le fotografie di Carreyn chiedono di essere visti da vicino, molto vicino. Le sue opere non superano quasi mai i 20 cm di altezza (o di larghezza)… gli 8,8 x 10,7 cm standard delle Polaroid… i 7,5 x 5 cm dei suoi quadri più piccoli, quelli della recente serie Les pharmacies du Sacré-Cœur XXX (2022). Solo una stretta vicinanza fisica permette una visione adeguata dei lavori; ci costringono ad andare verso di loro per rivelarsi, e penetrare così l’intimità di ciò che rappresentano.
Non è un caso che il nudo sia uno dei soggetti preferiti di Carreyn. Un ambiente privato, un salotto, una camera da letto, o un luogo più incongruo come un’esposizione di mobili – Muirta, (2019) -, o ai margini di una foresta – Untitled (2020) -, i suoi modelli trasmettono una certa sensazione di quotidianità. La semplicità del protocollo fotografico dell’artista – la mancanza di zoom della polaroid, che rende tangibile la distanza tra fotografo e modella – porta con sé un’atmosfera intima e familiare. La nudità naturale e la spogliazione degli effetti tecnici esprimono la vicinanza e il delicato erotismo che si trovano anche nei film di Eric Rohmer o nelle fotografie di Francesca Woodman. In effetti, la nudità non ha alcuna relazione con la sensualità dell’opera di Carreyn.
Presentata da Galerie Crèvecoeur a CFAlive (Milano), l’ultima serie di stampe in bianco e nero di Carreyn – Pontoise (2022) e Les Pavillons-sous-Bois (2022) – ne sono testimonianza. Raffigurano interni di biblioteche comunali immerse in una luce morbida, quasi sommessa e omogenea. Le fotografie rivelano spazi e desiderio. I corridoi vuoti sembrano contenere un momento fluttuante che ricorda il modo in cui Luigi Ghirri trascriveva aria, spazio, colori e materiali dei suoi soggetti architettonici. In quest’atmosfera tranquilla è proprio l’assenza di qualsiasi figura umana che apre una breccia alla proiezione del desiderio, come se fosse possibile scivolare non visti tra le file di questi luoghi tranquilli.
Eppure, anche con la vicinanza fisica e nonostante la loro semplicità, le immagini sembrano contenere una distanza immutabile. Che si tratti di Polaroid, Intax (altro tipo di Polaroid), stampe termiche oppure al laser, le opere di Julien Carreyn hanno tono specifico e grana smorzata. A differenza delle macchine fotografiche e delle pellicole di alta qualità, che rendono i colori in tutta la loro intensità, il mezzo scelto dall’artista rende un timbro ordinario, caratteristico dell’uso quotidiano. La pellicola di Carreyn genera toni pastello e sbiaditi, come se un velo coprisse la sua superficie. La tavolozza porta le opere in un tempo diverso, che si risolve e si confonde come i ricordi: ciò che ci viene dato da vedere si allontana di nuovo da noi.
Lo stesso si potrebbe dire dei dipinti appartenenti alla serie Les Pharmacies du Sacré-Cœur XXX. Installati su un piccolo scaffale bianco a tre livelli, mescolano astrazione e figurazione. A volte bastano un paio pennellate per coprire la superficie. Altre volte disegnano un paesaggio, oppure un interno. Tutti riprendono i toni rosa e blu dei quadri di Matisse, di cui l’artista si è consapevolmente appropriato, in una sorta di omaggio. Questi piccoli quadri, che difficilmente si oserebbe tenere in mano tanto la loro dimensione li fa preziosi e fragili, testimoniano il fascino della pittura come mezzo per suggerire irraggiungibilità ed espropriazione. In definitiva, questi scaffali rappresentano la fantasia di una collezione che è per sempre inaccessibile.
Impregnata di calma, immersa in una luce morbida o persino coperta da un velo, l’arte di Carreyn stabilisce invariabilmente una distanza tra l’occhio dello spettatore e il soggetto. Questa distanza è fisica e temporale allo stesso tempo – le piccole dimensioni dell’opera coesistono con soggetti che sembrano emergere da un ricordo. Ma l’immagine non è né fredda né respingente. Al contrario, si impernia sul desiderio, poiché ci avvicina, ma anche, attraverso la sua consistenza, traduce la fragilità di un momento. La sua evanescenza fa venire voglia di essere catturati, fisicamente. Proprio quando il tempo e lo spazio sfuggono a qualsiasi forma di possesso, l’opera stessa diventa il mezzo per possedere ciò che si vede. Così, attraverso il desiderio di vedere qualcosa di lontano – la Sehnsucht -, ossia la possibilità di toccare l’irraggiungibile con gli occhi, diventa oggetto di piacere.
April 19, 2022