Downs & Ross gallery, New York (un’intervista)
Nata nel 2017 dalla fusione di Hester e Tomorrow, Downs & Ross è oggi un punto di riferimento per l’arte emergente, grazie a Tara e Alex
Downs & Ross, a New York, è la convergenza delle esperienze dei suoi fondatori, Tara Downs e Alex Ross, che hanno operato in modo indipendente fino al 2017 per poi unire le forze in quella che oggi è un punto di riferimento per l’arte emergente internazionale. La galleria ha sede al numero 96 della Bowery, non lontano dal New Museum, in quella che nell’ultimo decennio è stata un’area straordinariamente fertile per l’arte dei nostri tempi. Abbiamo parlato con Tara e Alex poco prima dell’inaugurazione della residenza di Downs and Ross a Milano presso CFAlive, dove presentano un duo show intitolato On Grist and Sunstroke dedicato al newyorkese Justin Chance e a Kim Farkas, che invece vive a Parigi.
Qual è il vostro percorso e come avete dato vita a Downs & Ross?
Tara Downs: ho studiato storia dell’arte e ho frequentato una scuola d’arte. Ho aperto la mia prima galleria nel 2011. Si chiamava Tomorrow gallery e si trovava a Toronto, in Canada. L’ho gestita da sola fino a quando non ho conosciuto Alex, che pure aveva una galleria, ma si era formato come curatore, lavorando sulle agenzie partecipative nell’economia della conoscenza. La sua galleria si chiamava chiamava Hester. Da quel momento abbiamo lavorato in tandem per almeno tre anni. Era una sorta di interpolazione permanente. A un certo punto abbiamo pensato di unire le forze, invece che proseguire individualmente. I vantaggi di stare insieme sono presto venuti alla luce, in una comunità sincronizzata e complementare di artisti con cui volevamo lavorare.
Come descrivereste il vostro programma?
Alex Ross: Il programma di Downs & Ross è in gran parte ispirato dall’impegno a contrastare l’oblio di certe specifiche storie newyorkesi. Vogliamo fare in modo che gli esponenti della Pictures Generation che rappresentiamo, ossia Vikky Alexander e Alan Belcher, godano di ampio riconoscimento, sia all’interno della galleria che nelle istituzioni. Sul fronte degli artisti più giovani, la galleria vuole essere parte della comunità artistica globale, collaborando attivamente anche con pratiche basate in Europa e in Asia, producendo le premesse per una serie di dialoghi non sono necessariamente sovradeterminati dal nostro crescente ruolo a New York.
Come scegliete i vostri artisti?
Tara Downs: È un po’ come quando si vai a un appuntamento galante. Si tratta di capire se la loro visione del lavoro e della carriera è in linea con la nostra, e se riteniamo che ci sia del potenziale per progetti futuri. Ci dedichiamo molto ai nostri artisti e a ciò che offriamo loro. Più in generale, credo che nel nostro settore il rapporto galleria/artista sia determinato dalla personalità di ognuno.
Alex Ross: Ogni collaborazione ha uno status diverso. Una delle cose che più mi piacciono quando lavoro con artisti che non sono parte del programma della galleria è che essi portano nuovi modi di analizzare gli artisti che sono invece già nel programma. Sono elementi che non avremmo previsto se avessimo lavorato solo con i nostri artisti. Si tratta di un processo continuo di apprendimento e di mantenimento della sorpresa; sarebbe un errore sottovalutare la capacità di rifrazione che offre il coinvolgimento di nuovi artisti.
Tra tutti i modi in cui una galleria può sostenere un artista, qual è il più importante?
Tara Downs: Bisogna stare al loro fianco. È importante avere un dialogo serrato, in cui si possono dare suggerimenti, soddisfare le loro aspettative, in cui c’è una connessione quasi intima tra te e loro. Questo è un aspetto bellissimo dell’essere gallerista, vantaggioso per tutti.
Alex Ross: Sono costantemente sorpreso dai risultati inaspettati delle nostre collaborazioni con gli artisti, che lavorano attivamente sia in termini di produzione materiale che di inquadramento discorsivo delle loro pratiche. Come gallerista è bello vedere crescere una comunità intorno al tuo programma, un pubblico che può informarsi reciprocamente.
Può parlarci del vostro approccio alle fiere? Come si è evoluto nel corso degli anni? Quali sono quelle più importanti per voi e perché?
Tara Downs: Il mondo dell’arte sta attraversando molte oscillazioni. Ciò che era importante cinque anni fa potrebbe non essere più rilevante oggi, e questo vale anche per le fiere d’arte. È parte del nostro lavoro prestare attenzione a queste oscillazioni. Le fiere possono essere necessarie se il luogo in cui si opera non è agevole da raggiungere per il collezionista. Per esempio, in passato ho diretto una galleria a Berlino, una città dove i collezionisti non sono molti; in quel caso le fiere sono state fondamentali per la crescita degli artisti e della galleria stessa.
Alex Ross: Le fiere possono anche essere scelte specificamente, magari in base all’evoluzione degli artisti in un certo contesto globale. Si potrebbe avere una strategia più sperimentale, per esempio, per una fiera come June, e invece un rapporto più orientato all’establishment con piattaforme del mercato globale come Fiac o Frieze. Le fiere hanno ancora una ragione di esistere nella misura in cui sono sinergiche. Va da sé che sarebbe difficile per noi dire categoricamente di no a queste piattaforme che, dal canto loro, ci danno la possibilità di esporre gli artisti che serviamo.
Cosa ci può dire dei vostri collezionisti? Qual è il loro profilo?
Alex Ross: Non so se questa è una domanda a cui è corretto rispondere. L’ultima cosa che voglio è ridurre, consolidare o standardizzare l’identità di chi si appassiona all’arte contemporanea. Ci troviamo di fronte al problema di allocare responsabilmente, tenendo d’occhio collezionisti appartenenti a diversi registri. In alcuni casi si tratta di persone che hanno un interesse di lunga data per l’arte, tuttavia non escludiamo chi invece vi si è avvicinato più recente, o si trova lontano dai grandi centri urbani. Idealmente una galleria come la nostra può fornire piattaforme per alleanze ed entusiasmi reciproci. Per i collezionisti più giovani può trattarsi di ottenere una visione degli sviluppi più recenti delle culture visive. Altri collezionisti, invece, sono dotati di una certa alfabetizzazione e già conoscono i confini delle proprie abitudini visive. I migliori collezionisti, secondo la nostra esperienza, tendono a essere consapevoli della continuità dell’arte e quindi riesco valutare meglio le sue deviazioni relative e latenti. Questo è anche un potere tipico delle mostre collettive, dove affiancare un artista consolidato a uno ancora all’inizio della propria carriera può offrire nuovi punti di vista sul primo, con un reciproco beneficio.
Cosa è cambiato per la vostra galleria dopo la pandemia?
Tara Downs: Sono felice che New York stia tornando alla vita com’era prima della pandemia. Credo che sia stato un momento molto complicato per tutti. Osservavamo una situazione in continuo cambiamento, ma che non sembrava trovare una fine. Finalmente, almeno a New York, è tornato l’interesse a vedere le cose dal vivo. C’è stato un periodo in cui tutto accadeva online, con le viewing rooms e il resto. Ma non credo che questa modalità sia destinata a durare nel tempo.
Alex Ross: Una delle cose che mi è mancata di più durante la pandemia, quando tutto era atomizzato, è stata la possibilità di invitare gli artisti a lavorare con l’architettura della mostra. C’è vera gioia nella reciproca formattazione delle mostre, una forza potente, da attivare. Non c’è niente che mi renda più felice di un artista che incontra quel momento irruente in cui assiste alla sua mostra per la prima volta. In questo senso la pandemia ci ha fatto crescere.
La guerra in Ucraina sta influenzando il mondo dell’arte?
Tara Downs: Credo sia ancora presto per dirlo. È come se, nell’aprile del 2020, si fosse cercato di vedere gli effetti della pandemia.
AR: Quel che sta succedendo in Ucraina rafforza il nostro impegno a riflettere sul significato di cittadinanza globale, in particolare quando ci troviamo di fronte a serie di nazionalismi erranti. Gli artisti con cui lavoriamo potrebbero essersi formati in Germania, ma magari poi vivono a Pechino. Prestiamo costante attenzione alla bio-politica e alla geopolitica, che hanno profonde ramificazioni sulla scena artistica internazionale, ramificazioni che poi si riflettono nel programma della nostra galleria.
June 3, 2022