Olafur Eliasson e la luce (nel tempo): una prospettiva storico artistica
La mostra Nel tuo tempo (Palazzo Strozzi, Firenze) porta Olafur Eliasson a confrontarsi con il passato umanistico e rinascimentale della luce
Il significato simbolico della luce e l’utilizzo in ambito artistico hanno radici lontane: fu l’abate Suger (1081- 1151) che, nella ricostruzione dell’abbazia di Saint-Denis rese la luce protagonista dell’architettura gotica, in riferimento alle teorie neoplatoniche secondo le quali essa è simbolo e manifestazione visibpaile del divino e tramite di elevazione spirituale (1). Le iconiche vetrate delle cattedrali rappresentano una rara tipologia di oggetto d’arte illuminato dal retro, e sono l’elemento con cui la luce confluisce dall’esterno all’interno dell’edificio creando, come nella zona absidale di Santa Croce a Firenze, un arazzo luminoso e colorato. Poiché la luce cambia nelle diverse ore della giornata, ed essendo modificata da differenti punti di vista di chi l’osserva, dalle angolazioni dell’illuminazione e dalle condizioni atmosferiche, ne derivano opere d’arte mutevoli, in divenire (2) come le installazioni di Eliasson.
A partire dagli anni Venti e Trenta del Quattrocento, l’interesse fiorentino per la luce e per il suo significato simbolico travalica l’architettura e assume un forte rilievo in pittura anche per i nuovi rapporti e confronti con l’arte fiamminga, come attesta il De Pictura di Leon Battista Alberti (3). Pittori come Beato Angelico (1395- 1455) e Piero della Francesca (1412-1492) sono infatti da inserire nella corrente della cosiddetta “pittura di luce”, una definizione coniata per descrivere un breve ma importante momento dell’arte a Firenze intorno alla metà del secolo, in cui i colori «si imperlano di luce e la prospettiva diventa uno spettacolo per gli occhi. La pittura si fa chiara, come il cielo quando è sereno, come l’aria quando è primavera, e perfino le ombre diventano nitide e trasparenti» (4).
Un raggio divino scende dall’alto nell’Annunciazione dipinta dall’Angelico per il convento di San Domenico di Fiesole (1425-1426 circa) (5), simbolo dell’incarnazione di Cristo nel ventre della Madonna, mentre una luce più terrena entra anche dalla finestrina del vano sul fondo. Ugualmente alludente al miracoloso concepimento di Maria, è la luce proiettata dalla finestra nella Madonna di Senigallia di Piero della Francesca. Nella stanza sul fondo che si apre oltre il portale in pietra serena, Piero, consapevole dei fenomeni ottici e prospettici, rende reale, e insieme metaforico, il pulviscolo atmosferico del fascio luminoso dalla tonalità dorata che si rifrange sul muro, scompartito dalle piombature del vetro, in modo simile all’effetto di Triple window projection (1999) di Eliasson e di Triple seeing survey (2022), ma già presente in Love sees with eyes, not with mind (1999) (6).
Anche Filippo Lippi (1406-1469) ebbe un ruolo nell’affermazione di questa pittura «tangibile e trasparente» legata alla luce, di cui esempio lampante è la “guastada” in vetro dell’Annunciazione Martelli, con i riflessi degli ambienti circostanti e l’ombra portata proiettata sul pavimento. Questo prisma allude ancora una volta all’Immacolata Concezione come metafora della luce che attraversa il vetro lasciandolo intatto (7): l’immagine ricorda visivamente gli effetti delle opere di Eliasson, il quale però è interessato alla percezione dello spettatore, concentrandosi sull’immanenza e la correlazione, non sulla trascendenza e sul divino.
Diverse opere di Eliasson fatte di luce, come Tomorrow (2022), si caratterizzano anche per la presenza di ombre, un elemento che ha interessato e coinvolto profondamente gli artisti, seppur in modi diversi, nei differenti momenti storici (8). All’ombra si fa addirittura risalire la nascita del disegno, fondamento dell’arte fiorentina, secondo la leggenda tramandata dalla Naturalis Historia di Plinio che Giorgio Vasari (1511-1574) ha voluto affrescare nella Sala Grande della propria residenza fiorentina: un ragazzo è inginocchiato davanti a una lampada e ripassa con un pezzo di carbone la propria ombra (9). Rifacendosi a una definizione di Filippo Baldinucci (1624-1696) (10), l’ombra “propria” è quella che la luce genera sugli oggetti in quelle parti che raggiunge con minore intensità, mentre l’ombra “portata” è quella che gli oggetti proiettano sulle superfici dalla parte opposta a quella illuminata e che ha un ruolo fondamentale nella resa dello spazio e della luce. Spesso le “ombre portate” hanno anche un significato simbolico, come dimostra quella proiettata da san Pietro che al proprio passaggio guarisce un malato, in una delle storie della Cappella Brancacci dipinta da Masaccio (1401-1428).
La ricerca di Eliasson sulle ombre può essere accostata, ancora una volta, a quella di Leonardo, cui si devono folgoranti intuizioni e i primi esperimenti con proiezioni su superfici bianche della luce solare riflessa da superfici colorate. Così, nel Trattato della pittura, Leonardo teorizza una colorazione verde ottenuta su un corpo bianco mescolando riflessi gialli e blu e una superficie colorata in azzurro, che riflette la luce solare (trasformandola in azzurra), su un corpo giallo che si tingerebbe così di verde. Un disegno del Codex Atlanticus (f. 277v) rappresenta il tentativo di proiettare su una sfera bianca luci colorate differenziando gli effetti di ciascuna luce e delle varie combinazioni (11). Questi studi leonardeschi ricordano opere come Your uncertain shadow (colour) (2010), in cui Eliasson dirige faretti colorati allineati sul pavimento su una parete bianca: i colori si combinano per illuminare la parete con una luce bianca brillante. Quando il visitatore entra nello spazio la sua ombra proiettata, ostacolando ogni luce colorata da un’angolazione leggermente diversa, appare sulla parete come una serie di sagome di colori differenti. Oltre all’ombra scura creata dove le luci incontrano un ostacolo, i colori delle altre ombre riflettono le proprietà del colore additivo; mentre i visitatori si muovono nello spazio, avvicinandosi e allontanandosi dalle luci, le sagome cambiano di intensità e scala cromatica.
[qui la nostra intervista con Olafur Eliasson, Ndr]
Se la luce è elemento primario nella pittura rinascimentale, anche i colori, esaltati proprio dalla luminosità, hanno un forte significato simbolico. Per Tommaso d’Aquino (1225-1274) i colori, a seconda della diversa quantità di luce che assorbono e riflettono, mostrano la differente partecipazione all’essenza divina: è il motivo dei bianchi usati dai pittori nei secoli per raffigurare le vesti di Cristo e gli aloni luminosi che circondano i santi. Se l’Angelico utilizza pigmenti brillanti e materiali preziosissimi, Piero della Francesca, che fa un uso precoce dell’olio, utilizza un approccio più consapevolmente scientifico, usando colori bilanciati e complementari. Analogamente a Piero, l’interesse di Eliasson per le teorie legate al colore e alla sua percezione «deriva principalmente dalla ricerca sulle modalità di funzionamento dell’occhio e sui modi in cui si può utilizzare il colore per esplorare le differenze in ciò che vediamo» (12). Così si è impegnato in un progetto per definire una nuova teoria dei colori basata su quelli prismatici e ha iniziato questi esperimenti lavorando con un chimico del colore per mescolare nella vernice un colore esatto per ogni nanometro di luce nello spettro visibile e ha utilizzato questa tavolozza per realizzare dei dipinti noti come Colour experiment paintings nati talvolta dalla tavolozza di artisti del passato come Joseph Mallord William Turner (1775-1851), Caspar David Friedrich (1774-1840) o Claude Monet (1840-1926).
Anche Room for one colour (1997), che attraverso lampade con luce mono-frequenza annulla ogni percezione del colore trasformando ai nostri occhi il mondo in monocromo, come se fossimo in un dipinto a grisaille (13), si basa su studi dedicati a questo tipo di ricerche. Secondo Eliasson, inoltre, l’esperienza «di trovarsi in uno spazio monocromo varia certamente a seconda del visitatore, ma l’impatto più evidente della luce gialla è la consapevolezza che la nostra percezione venga assorbita: diventiamo consapevoli dell’esistenza di un filtro rappresentativo, improvvisamente ci accorgiamo che la nostra vista semplicemente non è oggettiva e con ciò riusciamo a vedere noi stessi sotto una luce diversa (14)». Con questa opera Eliasson coinvolge i visitatori, facendoli partecipi del suo lavoro attraverso esperienze in grado di stimolare emozioni, riflessioni sulla relazione con l’ambiente e sul rapporto con l’arte e l’architettura, salvaguardando la soggettività contro ogni rischio di omologazione, secondo l’idea del “seeing yourself sensing” che si applica perfettamente in tutto il percorso di Nel tuo tempo (Palazzo Strozzi, 2022).
L’uso dello specchio, che nella mostra di Palazzo Strozzi Eliasson utilizza diffusamente in diverse opere, tra cui Red window semicircle (2008), Solar compression (2016), How do we live together? (2019), ha una lunga tradizione in arte e a Firenze un ruolo fondamentale nella storia della prospettiva, visto che già Filippo Brunelleschi (Firenze 1377-1446) utilizzò uno specchio, parte di un sistema ottico che ricorda quello di Your circumspection disclosed (1999), nelle prime tavolette prospettiche, oggi perdute, raffiguranti il Battistero di San Giovanni e il Palazzo della Signoria. Da effetti specchianti dipende anche How do we live together? (2019) – basata su una composizione doppiamente circolare, costituita da una struttura in metallo a semicerchio intersecata a una grande superficie specchiante sul soffitto nella quale essa si riflette – che, mentre coinvolge i visitatori all’interno dell’opera, crea un effetto di “sfondamento barocco” dei volumi della sala.
Anche i dispositivi ottici che frammentano e moltiplicano i riflessi, come Colour spectrum kaleidoscope (2003) e Firefly double-polyhedron sphere experiment (2020), rappresentano un importante ambito dell’indagine artistica di Eliasson. Nonostante siano rivolti all’esplorazione sensoriale piuttosto che a quella dei cieli, sembrano discendere da quegli strumenti scientifici dalle forme mirabolanti, come le sfere armillari, gli astrolabi, i cannocchiali e i telescopi inventati e utilizzati da scienziati pionieri come Galileo (1564-1642) o Evangelista Torricelli (15) (1608-1647) le cui ricerche hanno avuto il loro centro proprio a Firenze.
Anche The weather project (2003), la fortunatissima installazione realizzata per la Turbine Hall della Tate Modern di Londra, si avvaleva di un enorme soffitto di specchi per creare – insieme a uno schermo semicircolare e a una nebbia artificiale – l’illusione di un sole, di un gigantesco e infinito tramonto percepito attraverso la caligine. Un’immagine potente che rimandava alla percezione individuale della natura e degli eventi atmosferici, ma che – ripensata dalla situazione attuale – poteva evocare temi come quello del cambiamento climatico.
L’essere vissuto a certe latitudini, tra l’Islanda e la Danimarca, ha fatto crescere in Eliasson una forte sensibilità per i fenomeni naturali protagonisti di Din blinde passager (Your blind passenger, 2010), dove una nebbia diffusa in un ambiente lungo e stretto e illuminata da una sequenza di luci colorate, acceca i visitatori richiedendo loro di fare affidamento su altri sensi per orientarsi. Capostipite di questo genere di installazioni atmosferiche nel corpus di Eliasson è la poetica Beauty (1993) (in mostra), nella quale, a seconda del punto di vista da cui la osserva, ciascuno potrà trovare il proprio arcobaleno. L’opera è legata al vissuto di ognuno, come suggerisce anche il titolo della mostra, Nel tuo tempo, che allude non solo alla relazione individuale con l’esperienza ma anche alle condizioni atmosferiche e climatiche.
Di fronte a effetti visivi come quelli appena descritti in Beauty, il pensiero va ancora una volta a Leonardo, al suo interesse per i fenomeni atmosferici e per la loro raffigurazione, che emerge in numerosi capitoli del Trattato della pittura (16), e anche al “velo atmosferico”, ottenuto nei dipinti con la graduazione infinitesimale delle vibrazioni luministiche. Leonardo scrive della prospettiva aerea e della «gran quantità dell’aria che vi si trova infra l’occhio tuo e dette montagne» che paiono «azzurre quasi del colore dell’aria, quando il sole è per levante» (17) e della componente acquatica che pervade l’atmosfera.
All’interesse di Leonardo per l’acqua, ai suoi studi sui fiumi come le osservazioni per rendere navigabile l’Arno o per regolamentare i corsi d’acqua lombardi, fa da contraltare Green River (dal 1998 al 2001) nella quale Eliasson utilizza l’uranina per colorare di verde i fiumi di diverse città per attirare l’attenzione sul rapporto uomo-ambiente, mentre la fascinazione per le cascate, descritte nel Codex Atlanticus (18), rinvia ad alcune delle opere più famose di Eliasson, come le grandi waterfall costruite lungo l’East River (2008), a Versailles (2016) o alla Tate Modern (2019). Negli ultimi anni di vita Leonardo disegnò in modo ossessivo vortici e tempeste che travolgono un paesaggio. In un foglio che raffigura una montagna che sta per crollare su una città, in una spirale terribile di energia, l’analisi scientifica dei moti acquosi cede il passo a un senso di precarietà di fronte alla potenza della natura. Ritroviamo questo tema anche in Eliasson, aggiornato e legato all’impellente drammaticità dei cambiamenti climatici che stiamo vivendo e alla volontà di sensibilizzare il pubblico sul tema del riscaldamento globale, reso evidente dall’agonia dei ghiacciai che si stanno sciogliendo. L’artista ha dedicato a questa denuncia la celebre e controversa installazione Ice Watch, portando a Copenaghen, Parigi e Londra dodici o ventiquattro grandi blocchi di ghiaccio già staccati dalla calotta glaciale della Groenlandia, e rendendo concreto e visibile a tutti il problema del global warming.
Si potrebbe continuare con queste analogie ma non vorrei spingere Eliasson verso un tempo che non gli appartiene. Come già l’artista ha precisato:
Leonardo e il Rinascimento hanno reso visibile il mondo, ma operavano in un’era centralizzata, con ruoli gerarchici e militari del sapere […]. Leonardo studiava la meccanica dei muscoli e dell’arte, a me interessa più il riflesso psico-sociale dell’arte e della natura. Per questo costruisco ponti e facciate di edifici che abbattono la distanza tra la gente e favoriscono inclusione (19).
1 Cfr. tra l’altro Erwin Panofsky, Suger, abate di Saint-Denis, traduzione italiana, Milano, Abscondita, 2018.
2 Iko Takuma, La vetrata nella Toscana del Quattrocento, Firenze, Olschki, 2011.
3 Paula Nuttall, Pittura degli antichi Paesi Bassi a Firenze: commentatori, committenti e influsso, in Firenze e gli antichi Paesi Bassi, 1430-1530, dialoghi tra artisti: da Jan van Eyck a Ghirlandaio, da Memling a Raffaello…, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 20 giugno-26 ottobre 2008), a cura di Bert W. Mejer, Livorno, Sillabe, 2008, pp. 22-37.
4 Luciano Bellosi, Introduzione, in Pittura di luce. Giovanni di Francesco e l’arte fiorentina di metà Quattrocento, catalogo della mostra (Firenze, Casa Buonarroti, 16 maggio-20 agosto) a cura di Luciano Bellosi, Milano, Olivetti-Electa 1990, pp. 11-12.
5 Cfr. Fra Angelico “The Annunciation Altarpiece” in the Museo del Prado, curated by Carl Brandon Strehlke, Madrid, Museo Nacional del Prado, 2019.
6 Luciano Bellosi, Sulla formazione fiorentina di Piero della Francesca in Una scuola per Piero. Luce, colore e prospettiva nella formazione fiorentina di Piero della Francesca, catalogo della mostra (Firenze, Galleria degli Uffizi, 1992) a cura di Luciano Bellosi, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 43-44.
7 Sebbene a lungo Lippi non sia stato inserito tra gli artisti “luminosi”, soprattutto a motivo delle opere degli anni maturi, è ormai accertato che l’artista ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo della “pittura di luce”, cfr. Neville Rowley, Una pittura di luce, in Intorno all’Annunciazione Martelli di Filippo Lippi. Riflessioni dopo il restauro, a cura di Monica Bietti, Firenze, Mandragora 2018, pp. 155-163: 159.
8 Cfr. tra l’altro Ernst H. Gombrich, Ombre. La rappresentazione dell’ombra portata nell’arte occidentale, nuova edizione con introduzioni di Nicholas Penny e Neil McGregor, Torino, Einaudi, 2017 e Victor Stoichita, A Short History of the Shadow, Reaktion Books, London 1997, (ed. it. Breve storia dell’ombra: dalle origini della pittura alla Pop Art, Milano, Il Saggiatore, 2015).
9 Cfr. tra l’altro Eliana Carrara, Plinio e l’arte degli antichi e dei moderni. Ricezione e fortuna dei libri XXXIV-XXXVI della “Naturalis Historia” nella Firenze del XVI secolo (dall’Anonimo Magliabechiano a Vasari), in «Archives Internationales d’Histoire des Sciences», 61, 166-167, 2011, pp. 367-381: 372; Lorenzo Ratto, La notte moderna. Pittura dell’oscurità nel Cinquecento, Università di Genova, tesi per il conseguimento del titolo di Dottorato di Ricerca in Studio e Valorizzazione del Patrimonio Storico, Artistico-architettonico e Ambientale, 2020, pp. 115-117.
10 Filippo Baldinucci, Vocabolario toscano dell’arte del disegno, Firenze, per Santi Franchi al segno della Passione, 1681, p. 111. L’ombra portata viene chiamata «sbattimento». da Baldinucci
11 Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, paragrafi 162 e 163. Cfr. tra l’altro Corrado Maltese, Leonardo e la teoria dei colori, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 20 (1983), pp. 209-219: 214.
12 Studio Olafur Eliasson. An Encyclopedia, Taschen, 2012, p. 95.
13 Monochrome: Painting in Black and White, (London, National Gallery, 30 October 2017 – 18 February 2018), London, National Gallery Company Limited, 2017.
14 Qualche idea sul colore, in Leggere è respirare 2021 cit., pp. 47-57: 47-49.
15 Cfr. tra l’altro in Galileo. Immagini dell’universo dall’antichità al telescopio, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi, 13 marzo – 30 agosto 2009), a cura di Paolo Galluzzi, Firenze, Giunti, 2009, pp. 247-253; 307-322; 347-349. Sulla lente cfr. p. 349.
16 Il trattato è stato redatto dopo la sua morte, intorno al 1540, sulla base di suoi appunti, cfr. Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, II, parte III, capitoli 452, 457-460.
17 Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, II, capitolo 258.
18 Trattato delle acque, Windsor, Royal Library, cfr. Carlo Pedretti, The Drawings and Miscellaneous Papers of Leonardo Da Vinci in the Collection of Her Majesty the Queen at Windsor Castle: Landscapes, plants and water studies, Windsor, Johnson Reprint Company, 1982.
19 Stefano Savastano, Olafur Eliasson si racconta, «L’Espresso», 3 dicembre 2015.
October 20, 2022