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Giovanni Comin, putto con teschio e libro

Maichol Clemente

Un putto con teschio di Giovanni Comin, che medita sulla morte e il rifiuto dei beni mondani, essendo le cose terrene “pitture di nuvole nell’apparire sparite”

L’inedito putto inginocchiato che qui si esamina ha il volto diretto verso il riguardante. Egli offre infatti a noi il suo pianto, che va letto come la più primordiale delle risposte alla scoperta dell’ineluttabilità del comune destino umano, cioè la sua transitorietà materiale. [1] Un sentimento doloroso che ha nella presenza del teschio – su cui il nostro fanciullo appoggia la mano destra e che stringe a sé mediante il manto che in parte lo veste – la sua causa prima. Il cranio, privo della mandibola e con gli incisivi e canini dell’arcata dentaria superiore assenti, è sistemato sopra un volume chiuso. Le dense ombre scaturite dalle sue orbite concave e dalle narici profondamente incavate si allineano quasi verticalmente, ma contrapponendosi a esso per il gioco di pieni e di vuoti, al viso del putto: questo è infatti caratterizzato da una mimica facciale iper-espressiva dal forte risalto chiaroscurale. Insomma, siamo dinanzi alla viva reazione dell’uno sulla silenziosa e perenne impassibilità dell’altro.

Giovanni Comin, “Putto with a skull and a book (allegory of vanitas)”. Late XVII century (before 1695), Carrara marble, cm 80. Courtesy of Botticelli Antichità, Florence.

Scolpita in un solo blocco di marmo di Carrara, l’opera si presenta sul fianco sinistro totalmente percorsa dagli scabri segni dello scalpello a punta e della mazzetta, strumenti entrambi utilizzati dall’artista per la prima sbozzatura. Anche il retro offre in parte le stesse tracce; tuttavia al centro la parete del marmo è sostanzialmente liscia, con a metà, però, la presenza di un evidente dislivello. Tutti dati, questi, che inducono a ritenere che la scultura qui indagata dovesse nell’idea originale essere agganciata e addossata a una struttura di maggiore complessità – essendo il lato destro più rifinito rispetto all’altro, esso era evidentemente quello visibile dall’osservatore.

Il Putto con il teschio e libro richiama, come si è già anticipato, il tema della Vanità, vale a dire uno dei concetti più cari alla cultura europea seicentesca. [2] Fu in quel secolo che questo particolare soggetto ebbe uno dei suoi momenti di maggiore ‘fortuna’ e, per così dire, ‘successo’, arrivando a conoscere un vero e proprio sviluppo iconografico non paragonabile a quello dei periodi precedenti, incluso il Cinquecento. Con esso, con la sua rappresentazione, si tentava di «superare il trauma della mortalità» prendendo coscienza di sé e della propria finitudine. Se da un lato era necessario «meditare la morte, sconfiggere il richiamo ai beni mondani, essendo le cose terrene “pitture di nuvole nell’apparire sparite, farine impastate di privazioni, bugie colorite di verisimili, spiriti volatili nell’essere, non fissi nel durare, ombre”» [3], dall’altro, invece, la vanitas – con l’implicito richiamo al biblico: «Vanitas vanitatum et omnia vanitas» – portava l’uomo a esasperare all’eccesso l’essenza del significato del carpe diem oraziano, di quel «Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza» cantato da Lorenzo il Magnifico nel suo Il trionfo di Bacco e Arianna del 1490. Cogliere il momento, quindi. Dare spazio ai sensi, alla ricerca del piacere e del godere; all’appagamento immediato, dunque, del desiderio, carnale o intellettuale che fosse.

Giovanni Comin, “Putto with a skull and a book (allegory of vanitas)”. Late XVII century (before 1695), Carrara marble, cm 80. Courtesy of Botticelli Antichità, Florence.

Come sempre accade con sculture raffiguranti soggetti di questo tipo, la cui genericità implica uno strenuo ricorso alla micro-filologia, l’unica possibilità per una seria soluzione attributiva è individuare entro il catalogo di un determinato autore una o più opere che abbiano degli addentellati incontrovertibili, ovvero di eclatante identicità, con quella esaminata. In questo caso, a sorprendere è per l’appunto la sovrapponibilità del volto del Putto qui discusso con il fanciullo presente nella Cappella Ballarin della chiesa di San Pietro Martire a Murano, una statua realizzata, insieme alle altre lì conservate, dallo scultore trevigiano Giovanni Comin (1647 ca – 1695). [4] Siamo intorno al 1681 e Comin oltre alle statue dell’altare scolpì anche due memorie funebri, tra cui quella dedicata a Giovanni Battista Ballarin dove campeggia, alla destra del busto del defunto, il Putto con il teschio citato. Differentemente dal nostro, questo è in piedi e tiene con la mano destra (l’altro braccio manca totalmente) il teschio, che, come quello nell’opera esaminata, è privo sia della mandibola sia degli stessi denti superiori. I volti, entrambi colti in un triste pianto, hanno i medesimi tratti fisionomici, anche se il Putto qui esaminato denota una qualità maggiore, sostenuta anche dal suo ottimo stato di conservazione.

putto
Giovanni Comin, “Putto with a skull and a book (allegory of vanitas)”. Late XVII century (before 1695), Carrara marble, cm 80. Courtesy of Botticelli Antichità, Florence.

Altri confronti utili a certificare la paternità a Comin della Vanitas ora indagata si possono trovare con i vari angeli che abbelliscono l’altare della Madonna di Rimini nella chiesa di San Marziale a Venezia. [5] Qui non solo la complessione dei paffuti e levigati corpi è simile, ma anche la modulazione dei panneggi, caratterizzati da una risentita, spessa volumetria e la cui superficie è percorsa da nette ammaccature. Inoltre, dettaglio che si poteva notare già nel putto di Murano, anche in queste figure l’autore ha impiegato l’uso del trapano per segnare al centro i grossi riccioli della capigliatura. Un particolare che ritorna pure nel gruppo di figure angeliche – parte, in passato, di un tabernacolo purtroppo smembrato – oggi visibili sulla mensa dell’altare Zen-Valier (Venezia, basilica di Santa Maria Assunta dei Frari).[6]

Nato intorno al 1647 nella principale città della marca trevigiana, Giovanni Comin, secondo la documentazioni finora reperita, dovette arrivare a Venezia intorno al 1677; si trattava, dunque, di un artista già formato. L’anno successivo egli presenzia in qualità di padrino al battesimo di Olivia Agnese, figlia dell’intagliatore suo conterraneo Giacomo Piazzetta. [7] Una testimonianza che in qualche modo lo associa al gruppo di artisti più vicini al campione della scultura barocca della Serenissima, cioè Giusto Le Court, il quale però morirà di lì a poco, nell’autunno del 1679. Al settembre di quello stesso millesimo risale la testimonianza di Parenti, ambasciatore estense in laguna, il quale scrivendo al duca di Modena Francesco II ricordava tra gli altri scultori di grido presenti in città anche «Giovanni Comini detto il Trivisano». L’artista aveva quindi ormai raggiunto una certa notorietà, tanto da essere avvicinato a maestri del calibro di Le Court, Ongaro, Marinali e Tommaso Rues. Riprova dell’acquisita posizione nel panorama artistico veneziano fu certamente la sua partecipazione alla decorazione dei nuovi altari della basili ca di Santa Giustina a Padova, dove infatti egli realizzò, tra il 1680 e il 1681, la Rachele piangente e due gruppi di putti per l’altare degli Innocenti; un altro insieme di putti e la statua principale per l’altare di San Giuliano; e, infine, il San Filippo Apostolo per quello dedicato a San Massimo. 8 Sempre nella città antenorea, questa volta però al Santo, egli fece le sculture per il Monumento funebre a Pietro, Domenico e Antonio Marchetti, opera terminata nel 1690. [9] Entro il 1693 scolpì per San Nicolò a Treviso il Monumento a Benedetto XI, opera firmata «IOANNES COMINI S.». L’anno successivo, invece, portò a termine il paliotto per l’altar maggiore della cappella del palazzo del Monte di Pietà a Udine, una delle ultime opere dal lui eseguite prima della sua morte improvvisa, avvenuta nel 1695.

Giovanni Comin, “Putto with a skull and a book (allegory of vanitas)”. Late XVII century (before 1695), Carrara marble, cm 80. Courtesy of Botticelli Antichità, Florence.

Più che il Putto con teschio di Le Court nel Monumento Cavazza alla Madonna dell’Orto, giustamente richiamato quale prototipo della statua in San Pietro Martire a Murano, appare più plausibile che Comin per il marmo qui esaminato si sia ispirato a quelli eseguiti dal bolognese Clemente Molli all’incirca nel 1659 per la facciata della chiesa dell’Abbazia della Misericordia a Venezia. È noto che Giovanni eseguì per la cappella di Santa Filomena, in quella stessa chiesa, un’immagine oggi dispersa raffigurante San Domenico.

È quindi ipotizzabile che similmente a quanto testimoniano sia il Monumento Ballarin a Murano sia quello alla Misericordia riservato a Gasparo Moro, anche il nostro Putto doveva in origine far parte di un complesso ben più articolato. A tal proposito, bisogna ricordarsi che Comin fu dal 1694 impiegato, insieme a molti altri artisti, alla realizzazione della decorazione plastica per il deposito – che nei progetti di Antonio Gaspari era costituito da due grandi strutture a piramide collocate una di fronte all’altra – del doge Francesco Morosini. Benché il progetto non venne mai portato a termine, sappiamo che parte delle sculture furono effettivamente eseguite .[10] Ma delle loro successive vicenda nulla è emerso e nulla, purtroppo, continuiamo a sapere.


[1] Un ottimo viatico alla comprensione di questo soggetto è Humana fragilitas 2000.

[2] Vedi Scaramella 2000.

[3] Ivi, p. 75.

[4] La bibliografia sullo scultore continua a essere assai limitata. Si rinvia, quindi, a Semenzato 1966, pp.26-27, 90-91, e alla voc

e stesa da Susanna Zanuso in Da Sansovino 2000, pp. 724-725. Altri

contribuiti, ma di carattere prettamente attribuzionistico, sono Guerriero 2009, p. 206; Tulić 2009 (per il riconoscimento delle sculture della Cappella Ballarin a Murano); Sava 2015, passim; Tulić 2016; Favilla e Rugolo 2016, passim.

[5] Per questo complesso vedi Guerriero 2009, p. 206.

[6] Cfr. Tulić 2016, p. 44.

[7] Favilla e Rugolo 2016, p. 82 nota 33.

[8] Vedi il recente De Vincenti e Guerriero 2020, passim.

[9] Per questo intervento rinvio a De Vincenti e Guerriero 2021, pp. 1452-1455.

[10] Favilla e Rugolo 2004-2005, pp. 113-118.


Bibliografia

Semenzato 1966:
C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966.

Da Sansovino 2000:
Da Sansovino a Canova, repertorio fotografico a cura di A. Bacchi, Milano 2000.

Humana fragilitas 2000:
Humana fragilitas. I temi della morte in Europa tra Duecento e Settecento, a cura di A. Tenenti, Clusone (BG) 2000.

Scaramella 2000:
P. Scaramella, L’Italia dei Trionfi e dei Contrasti, in Humana fragilitas. I temi della morte in Europa tra Duecento e Settecento, a cura di A. Tenenti, Clusone (BG) 2000, pp. 25-98.

Favilla e Rugolo 2004-2005:
M. Faville e R. Rugolo, Frammenti della Venezia Barocca, “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti”, 163, 2004-2005, pp. 47-138.

Guerriero 2009:
S. Guerriero, Per un repertorio della scultura veneta del Sei e Settecento. I, “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 33, 2009, pp. 205-292.

Tulic 2009:
D. , Per Giovanni Comin. L’arredo marmoreo secentesco della cappella Ballarin a Murano, “Arte|Documento”, 25, 2009, pp. 165-171.

Sava 2015:
G. Sava, Scultori veneziani del Sei e Settecento a Brescia e a Bergamo: Giovanni Comin, Pietro Baratta, Antonio Gai, “Arte Veneta”, 72, 2015, pp. 202-210.

Favilla e Rugolo 2016:
M. Favilla e R. Rugolo, Le “deliranti fantasie” barocche di Giovanni Comin, Enrico Merengo, Antonio Molinari, Giacomo Piazzetta e Domenico Rossi, “Saggi e memorie di storia dell’arte”, 40, 2016, pp. 79- 107.

Tulic 2016:
D. , Kipovi Giovannija Comina na glavnom oltaru franjevačke crkve na Trsatu, “Radovi Instituta za povijest umjetnosti”, 40, 2016, pp. 35-49.

De Vincenti e Guerriero 2020:
M. De Vincenti e S. Guerriero, Le sculture e gli altari barocchi di Santa Giustina, in Magnificenza monastica a gloria di Dio, a cura di G. Baldissin Molli e F. G.B. Trolese, Roma 2020, pp. 379-403.

De Vincenti e Guerriero 2021:
M. De Vincenti e S. Guerriero, Monumenti sepolcrali del Seicento, in La Pontificia Basilica di Sant’Antonio in Padova, a cura di L. Bertazzo e G. Zampieri, vol. II, Roma 2021, pp. 1397-1458.

November 14, 2022