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Nina Zeljković e i modi di contestare la prospettiva

Jelena Dakonovic

Nina Zeljković nello stand di Eugster || Belgrado ad Artissima 2022 è stata una gemma del settore emergente della fiera. Ecco un’analisi della sua pratica

Seguo da tempo il lavoro di Nina Zeljković – nata nel 1985 in Serbia, ma divisa tra Amburgo e Berlgrado -, ma l’ho vista per la prima volta dal vivo quest’anno a Torino, ad Artissima. I suoi dipinti erano esposti da Eugster || Belgrado, insieme a opere di Saša Tkačenko. Tele sagomate e incorniciate, alcune di grandi dimensioni, a tecnica mista, tutte del 2022, tutte strettamente interconnesse al pubblico. C’è da chiedersi quale sia la ricerca che sottenda il lavoro, una ricerca chiaramente non limitata alla sfera pittorica. Ne ho parlato con l’artista, per scoprire aspetti di cui non sapevo. Avvertendo l’assenza di un vero e proprio dibattito artistico nella Belgrado negli anni ’90 e ’00, Nina Zeljković sottolinea come la pittura abbia bisogno di un punto d’accesso, che per lei sono state le classi di Jutta Koether ad Amburgo, nel 2015. L’esperienza tedesca le ha aperto gli occhi. Oggi le manca il modo in cui si discuteva d’arte in quel momento.

Nina Zeljković
Installation view, Nina Zeljković, Artissima Torino, 2022. Courtesy of the artist and Eugster || Belgrade. Photo: Flavio Palasciano.

L’arte di Nina Zeljković ruota attorno al corpo, anche se questo non viene mai rappresentato. È invece il suo potenziale a manifestarsi, in un cambiamento che spinge a interrogarsi su come la sua manifestazione si relazioni a spazio e immagine. Dice l’artista: “Tutto nasce dal disagio che provo nei confronti della rappresentazione. Volevo rompere con il flusso infinito di immagini, così mi sono avvicinata agli iconoclasti. Provo a riportare il corpo nello spazio reale sperimentandone la presenza nei dipinti”.

Nina Zeljković, Cave painting, 2022, 150cm x 110cm. Mixed media. Artissima Torino, 2022. Photograph by Flavio Palasciano. Courtesy of the artist and Eugster || Belgrade.

L’accenno di Nina Zeljković all’arte bizantina è convincente, soprattutto riguardo all’idea di “prospettiva inversa”, un modello prospettico sviluppato nell’Impero Romano d’Oriente che è anche uno strumento importante del canone ortodosso orientale. In questo paradigma le linee di proiezione che convergono — proprio come avviene nella prospettiva lineare — sono disegnate come linee divergenti rispetto all’orizzonte, raffigurando lo spazio così come si apre a chi osserva. Il punto di fuga non si trova all’interno dello spazio pittorico dunque, ma piuttosto al posto dello spettatore. “Questo di solito si spiega attraverso un modello occidentale — dice Nina Zeljković — cioè in relazione alla prospettiva del punto centrale; l’idea è invece quella di offrire un altro o più punti di vista. Si tratta piuttosto di una visione sintetica, in linea con l’idea di decentramento che mi sta a cuore; guardare l’immagine dal basso verso l’alto, resistere alla rappresentazione come modo per rompere con l’egemonia dell’immagine e, soprattutto, riportare il corpo nello spazio attraverso un punto di vista mobile e spazialmente situato”.

Nina Zeljković
Nina Zeljkovic, Nave Nartex Navel, (Video still) HD video 22 minutes Courtesy of artist.

Nel 2021, durante la pandemia, Nina Zeljković ha intrapreso un viaggio di 10594 kilometri attraverso la Turchia, visitando chiese iconoclaste, città sotterranee e grotte di monaci paleocristiani. Il modo in cui le persone vivevano con e tra i dipinti, adornando le loro dimore con simboli e ornamenti, usandoli anche come segnali per i piccioni con i quali vivevano in modo simbiotico e sostenibile, le parlava di temi ricorrenti nell’immediatezza della pittura. La presenza simultanea del corpo dipinto e quella del pittore, per esempio, nel modo in cui la rappresentazione dipendeva dalla portata fisica dell’artista. Lo spazio ristretto di una grotta limitava di fatto l’estensione delle pennellate, e così faceva la lunghezza delle braccia del pittore.

Nina Zeljković
Installation view, Nina Zeljkovic, Nave Nartex Navel, 2 channel Audio-Video installation. Frozen Noises in the Hollow Basins at Holger Priess, Hamburg, 2021. Photograph by Fred Dott. Courtesy of the artist, Neue Kunst in Hamburg.

Nina Zeljković non teme di addentrarsi nelle comunità ai margini e di entrare in contatto con le persone che fuggono dalla persecuzione a causa delle loro idee. La metropolitana è sempre stata il luogo più fecondo per le idee radicali. Non so dire dove sia oggi questo underground, ma mi piace il modello proposto da Peter Lamborn Willson, che ha a che fare con le zone autonome temporanee e con la tattica socio-politica di creare spazi temporanei che evitano le strutture formali di controllo. Lo spazio del mio studio è un bunker e una grotta monacale. È un luogo di urgenza e rifugio. Mi piace fantasticare su situazioni iconoclaste per mettere fine al flusso di immagini e creare qualcosa di nuovo, da quel momento in poi. È questa la situazione che cerco di rappresentare. Dopotutto le mie opere potrebbero essere zone autonome a cui altri individui possono partecipare”.

Non è un caso che, attraverso l’arte bizantina o la discesa nelle grotte paleocristiane, il sacro affermi la sua pesante presenza. “Gli spazi sacri sono i primi esempi di gesamtkunstwerk. Sono luoghi in cui si può sperimentare l’immersione. Voglio immergermi, voglio smettere di vedere le opere d’arte attraverso gli schermi dei telefoni. Lavoro su larga scala con elementi architettonici e voglio che siano leggeri, così da poter influenzare e modificare l’architettura esistente in modo semplice e morbido. Lavoro anche con tele sagomate, curve o piegate. Possono svettare su di te. Puoi entrarci dentro. Possono abbracciarti. Lo spettatore è nell’opera ma non può afferrarla completamente, come pittura espansa e site-specific”.

Nina Zeljković, I am not a divider am I?. Mixed media, fresco, performance by Stella Sieber, 2020, Salon Saloon at Frappant. Courtesy of artist and Salon Saloon.

Nina Zeljković desidera allontanarsi dall’immagine curata per passare a un’opera d’arte provvisoria. “Come già ai bizantini, il concetto di rendering non mi interessa. Mi piacciono invece le opere aperte, quelle che si espandono. Mi attraggono gli atteggiamenti non produttivi e il lavoro negativo”. A questo proposito cita Support/Surfaces, René Daniëls, Isabella Ducrot, Mario Merz, Josef Strau, Carla Accardi, Richard Tuttle e Jean Fautrier.

Nina Zeljković
Installation view, Nina Zeljković, Charlie Jeffery, egg tempera on canvas 2021, l’entre-deux at Pina, Vienna, Courtesy of the artist and Pina Vienna.

Ciò che accomuna tutti questi artisti potrebbe essere il senso di un atteggiamento che si riflette sulla propria arte. Questo è vicino al modo in cui Nina Zeljković affronta la pratica di studio. Sebbene il suo quadro concettuale sia effettivamente stretto come sembra, il lavoro si basa su un processo e non può essere anticipato. Al contrario, deve essere esperito. Dice l’artista: “voglio fare tutto da sola, a partire dalla stesura e dal dimensionamento; sono tutte fasi importanti, perché voglio anche cogliere la dimensione e la sensazione della tela. Mescolo i miei colori e i miei medium. Mi affido a vecchie ricette e procedure, rispettando le leggi imposte dalla materia. Credo di poter mettere in atto tutte le idee della mia infanzia e di portarle a un altro livello”.

Nina Zeljković, Papilon painting, 2022, oil on canvas, 180x180cm. Installed at Non canonico, Courtesy of the artist and Non canonico, Belgrade.

Ho iniziato questo testo dicendo di Amburgo. Lo concluderò a Belgrado, ossia la città di Nina Zeljković, quella che ha dovuto lasciare ma che alla fine ha ritrovato. Un ruolo importante nel suo trasferimento nella capitale serba è senz’altro stato giocato dalla collaborazione con il gallerista Mirko Lubarda e il suo spazio, che si chiama Non canonico. Qui Lubarda ha presentato la personale “Ellipsis of Tunica Retina”, poco prima dello stand di Eugster || Belgrado ad Artissima. Ciò detto, la motivazione più grande per il ritorno a Belgrado è una casa/studio, con giardino, in riva al fiume Sava, alla periferia di Belgrado. L’hanno costruita tra i vigneti i nonni di Nina Zeljković. Il luogo ha le dimensioni e la storia di cui l’artista in questo momento ha bisogno. La proprietà è in parte in fase di riprogettazione, anche per attivare una residenza per artisti provenienti dal resto del mondo. Di nuovo, si tratta di autonomia, della necessità di creare una propria piattaforma. “In senso più ampio, l’idea di decentramento sta influenzando le condizioni di vita di tutti. Quel che intendo fare è una proposta di riposizionamento rispetto alla scena o al centro per trovare questo centro all’interno. Seguo il principio del satellite, come tentativo di stabilire una struttura abbandonata nei tempi post-post. Questo risponde anche al mio interesse per le comunità marginali e gli spazi liminali, per l’underground. La Serbia è un luogo di mezzo, tra est e ovest; e questo è anche il modo in cui mi sento io”.

December 7, 2022