Maren Karlson: affetti e difetti
Maren Karlson studia la continuità tra l’essere umano e l’ambiente, tra la scienza e la spiritualità, tra il corpo individuale e quello collettivo
Maren Karlson si esprime attraverso il vuoto, sviluppando forme articolate, sinuose, persino aerodinamiche, situate intorno ad esso. Alcune opere raffigurano cavità (corporee), altre ricordano grotte sotterranee scavate dall’acqua, o conducono al campo semantico delle macchine fanta-tecnologiche. Forme lisce, allungate e arrotondate. Colori notturni. Il chiaroscuro per creare volumi. Quando le ombre si intensificano, suggeriscono profondità inesplorate, perpetuando l’inaccessibilità del vuoto alla luce o alla vista di chi guarda.
Oltretutto, la natura della pittura di Maren Karlson non è virtuosistica. I dipinti e i disegni sono precisi, equilibrati, armoniosi, indubbiamente ben eseguiti. Ma la tecnica non prende mai il sopravvento. “Sono più interessata a distorcere o confondere la prospettiva – dice Karlson -, a muovermi tra le dimensioni e a riconoscere che non c’è un terreno stabile a cui aggrapparsi”. Ne consegue che la pratica scultorea di Karlson non è una mera traduzione tridimensionale di quella pittorica. L’artista preferisce invece percorrere la strada dell’assemblaggio, almeno per il momento.
Per leggere l’aspetto formale dell’opera di Maren Karlson è importante comprenderne la premessa spirituale. “Cosa succede – si chiede l’artista – quando l’essere umano si lascia superare da ciò che lo circonda per diventare parte di uno sfondo? Cosa succede quando la distinzione tra qualcosa e il nulla si dissolve?”. Le immagini di Karlson sono elaborazioni complesse in cui radiografie umane e dettagli del paesaggio che l’artista stessa fotografa convergono. Il paesaggio è inteso come luogo degli effetti e dei difetti dell’antropizzazione. Un’auto incidentata, un quadro elettrico smontato, uno svincolo autostradale. Lo spazio vuoto che dipinti e disegni generano è quindi la forma dello spirituale che si adatta dialetticamente all’ambiente. Le forme cambiano e si rinnovano perché l’universo è visto nel suo continuo divenire. In questo senso, lo spazio è, proprio come quello racchiuso dall’architettura delle chiese medievali europee, una sostanza in cui gli esseri umani sono immersi e dissolti. È per questo che le variazioni di colore nei suoi dipinti sono così sottili, spesso impercettibili ai sensori delle macchine fotografiche. Le cavità sono ottenute per sottrazione da un materiale che ha la natura simbolica della pietra. La sinuosità potrebbe essere la stessa che troviamo nei capitelli, nei portali, nelle piastrelle che compongono l’apparato simbolico delle architetture sacre medievali sulle vie di pellegrinaggio, come rivelerebbe un’immagine a raggi X.
Una mostra collettiva intitolata “Species”, organizzata nella prima metà del 2023 da Mai 36 a Zurigo, ha suggerito una vicinanza tra le opere di Maren Karlson e quelle del papà di Alien, Hans Ruedi Giger. La mostra comprendeva anche opere di Hiroki Tsukuda e Berenice Olmedo (dell’artista messicana abbiamo scritto qui). Per le ragioni che abbiamo spiegato, e alla luce della dichiarazione dell’artista di cui sopra, l’attinenza tra Karlson e l’immaginario di Giger sembra applicabile solo a livello formale. A questo punto verrebbe da pensare anche all’universo post-tecnologico di certi media giapponesi (si pensi al Castello errante di Miyazaki, per esempio), o agli scenari proto-postumani generati negli anni Settanta dall’artista e fumettista Sergio Sarri… ma stiamo camminando sul terreno scivoloso delle similitudini formali. Come sottolinea Karlson, il suo approccio ha più a che fare con artisti come Lee Bontecou, Lee Lozano, Tishan Hsu o Martin Wong. Indipendentemente dal luogo in cui l’artista decide di collocarsi, il suo tipo di processo di astrazione è in realtà simile a quello di Giorgio Morandi o Peter Dreher. Allo stesso modo, le opere di Karlson espandono un’intuizione poetica labirintica che le sue note e i titoli delle opere possono talvolta verbalizzare.
Karlson parla della sua pittura come di un modo per “digerire” alcuni aspetti del mondo che la circonda. Dipingere significa filtrare, ridurre, scomporre, analizzare. Il primo processo di questo passaggio avviene in schizzi e frasi che Karlson annota liberamente, ma con ordine costante e scrivendo quasi sempre in stampatello. C’è qualcosa di sistematico e metodico nei suoi quaderni. Si nota l’interesse di Karlson per lo studio della continuità tra l’essere umano e l’ambiente, tra la scienza e la spiritualità, tra il corpo individuale e quello collettivo. Ci sono anche diagrammi e schizzi di quelli che a un certo punto sarebbero diventati dipinti. Tuttavia, il flusso di pensiero che percorre questo canale più intimo e privato porta anche a dare forma a quel vuoto di cui abbiamo parlato all’inizio. Ed è come se la pittura di Karlson fosse un modo per mantenersi in equilibrio nel cuore stesso di questo vuoto.
September 4, 2023