Armin Lorenz Gerold: la città si rivela nel suono
Utilizzando testo, scultura, video e installazione, Armin Lorenz Gerold cerca rendere visibile il suono, e un nuovo tipo di immagine.
Armin Lorenz Gerold mi racconta come ha conosciuto Reece Cox, un amico comune. Reece gli ha inviato un messaggio su Instagram chiedendogli il permesso di utilizzare le immagini dell’installazione della sua mostra alla Kunsthalle di Graz (AT) per il proprio blog, intitolato Nothing To See. Nothing To See documenta le “arti visive non visive” ed è, a prima vista, un flusso di pareti bianche vuote e assemblaggi di casse acustiche, che sembrano incredibilmente umanoidi se descritti in questo modo. In realtà, sotto tale umoristica visione del destino dell’artista sonoro si cela un interrogativo: come rappresentare le esperienze sonore quando il mondo dell’arte è dominato dalla riproduzione lineare? Come considerare i tipi di immagini sonore, virtuali e immaginate accanto a una storia narrata imposta dalla format “mostra”? Armin Lorenz Gerold (nato nel 1981 a Graz, Austria) utilizza suono e testo, insieme alla scultura, al video e all’installazione, per mettere in discussione i confini della vista e del suono, cercando non solo di rendere il suono visibile, ma anche di creare un nuovo tipo di immagine.
Nell’autunno del 2023, presso Mint – spazio no-profit di Stoccolma -, è stata presentata in anteprima l’opera intitolata Many Ways to Now. Si tratta di un’installazione video a due canali, con audio a dodici canali. Armin Lorenz Gerold e Mara Lee hanno letto in modo performativo dieci testi di altrettanti autori, artisti e poeti. Fotogrammi video, per lo più statici, documentano il processo di registrazione audio che ha avuto luogo nei Labour Movements Archivi della Stockholms Elektronmusikstudion e nella sede dell’Arbetarnas bildningsförbund (l’Associazione educativa dei lavoratori), dove si trova anche Mint. I leggenti sono visti seduti o in piedi, spesso da lontano, così da poter collegare la voce a un corpo. Per quanto il ciclo, che due più di due ore, non abbia capo ne coda (come mi dice la curatrice Emily Fahlén), il pezzo di apertura, un estratto del discorso di Anne Boyer al FORUM: Altered States presso il Kunstinstituut Melly, Rotterdam, 2021, è anche quello che ha stimolato la riflessione iniziale di Armin Lorenz Gerold. Le parole della Boyer “Le cose alate, i profumi, i pigmenti fuggitivi, i fiori agiscono su di noi in istanti verticali, non nell’orizzontalità del tempo” delineano con delicatezza una graduale erosione dei sensi nel capitalismo, sostenendo che il ritmo e la velocità della vita contemporanea lasciano poco tempo per tutto ciò che non è produttivo; per non parlare della bellezza, come fermarsi ad annusare un fiore. Da lì Armin Lorenz Gerold ha invitato i partecipanti ad approfondire i temi del tempo e della temporalità, temi particolarmente rilevanti in uno stato di disordine post-pandemico.
Mi sdraio sul pavimento imbottito della stanza illuminata di blu e lascio che le voci di Armin Lorenz Gerold e Mira Lee mi attraversino, accogliendo la prosa di Jay Bernhard, Lori E. Allen, Reece Cox e altri ancora. Penso a come un’opera audio funzioni su registri temporali diversi rispetto, ad esempio, alla visione di un quadro. Quando si guarda un’immagine, l’insieme si rivela quasi istantaneamente. Tutte le forme e i colori sono già presenti, in relazione tra loro. Collegando i puntini delle singole specificità si crea gradualmente un significato. Quando invece ci si affida alla voce di un altro per raccontare una storia, bisogna aspettare pazientemente che l’immagine si dispieghi nel tempo. I testi di Armin Lorenz Gerold sono narrazioni cariche di suspence e dettagli minuti. Un’opera audio intitolata Temporal Unease, che è uno dei testi inclusi nella mostra da Mint, si apre alla fine di una lunga notte: “Un uomo tiene una sigaretta quasi completamente bruciata tra due dita che sono appoggiate sulla spalla di un altro uomo”. Da lì la scena si espande in quello che sembra un afterparty. L’ascoltatore viene accompagnato gradualmente, come se potesse dare un senso alla situazione solo in tempo reale, con il protagonista, mentre cammina verso casa.
Le narrazioni sono arricchite di partiture, musica d’ambiente e registrazioni in presa diretta …dalle fusa dei gatti all’eco dei passi sul cemento bagnato. “Voglio dipingere un quadro attraverso il suono” dichiara Armin Lorenz Gerold. Per una persona come me, il cui lavoro è guardare l’arte, essere privati della componente visiva è una proposta scoraggiante. Le immagini visive create durante l’esperienza dell’opera non sono fisse, ma virtuali, poiché dipendono dalla guida di un narratore e, soprattutto, dalle sfumature della propria immaginazione. In questo contesto ogni ascoltatore è portatore di un’immagine mentale unica. Ci si può chiedere: “come si traduce il suono in un’immagine?” o, per superare il visuale, “come si sente il suono? Che sapore ha questo suono?”
“La gente non si rende conto che l’orecchio è un dispositivo estremamente potente”, dice Armin Lorenz Gerold con entusiasmo. In assenza di stimoli visivi il potere del suono di evocare uno spettro di percezioni sensoriali prende vita. Nel 1998, per incapsulare il potenziale rivoluzionario insito nella musica afrofuturista, Kodwo Eshun ha coniato il termine Sonic Fiction. Sebbene Eshun non si sia curato di offrirne una definizione scientifica, da allora molti hanno cercato di farlo, entusiasmati dalla possibilità di generare da lì un vero e proprio mondo sonoro. In un libro che esplora questa nozione, Holger Schulze scrive: “non appena ascoltate, sperimentate, digerite o anticipate un determinato evento sonoro, esistono alcuni germi di una narrativa sonora piantati nella vostra immaginazione sensoriale, nella vostra riflessione e nei vostri desideri. La finzione sonora è sensibilità sensoriale”. In effetti, la presenza affettiva dei suoni può essere fortemente legata a ricordi, sentimenti, luoghi. Non vi è mai capitato che una canzone sdolcinata che diventasse insopportabile semplicemente perché qualcuno che vi ha spezzato il cuore l’ha messa in macchina, o in camera da letto, dopo aver fatto l’amore? Eppure la ascoltiamo a ripetizione, perché è la cosa più vicina a rivivere quel momento.
Quando penso al rapporto tra suono e immagine o, in generale, alla comunicazione dei sensi, trovo coerente che Armin Lorenz Gerold mi racconti di aver iniziato a studiare fotografia e di essersi già rivolto al suono in occasione del suo progetto di laurea. “Stavo lottando con l’aspetto rappresentativo della fotografia e con la codificazione specifica delle immagini. Il suono mi ha permesso di lavorare nell’ambito della finzione, di ciò che potrebbe essere possibile”. Intitolato Fogs (2011), il progetto analizzava la scomparsa degli spazi queer all’indomani dell’epidemia di AIDS degli anni Ottanta. Si trattava di un’unica fotografia associata a quattro altoparlanti che riproducevano un pezzo sonoro composto ad hoc. Allontanandosi dalla pura documentazione, il suono sembra catturare una sensazione come nessuna fotografia potrebbe. L’idea era quella di catturare con voci melodiche e un’eterea partitura per sintetizzatore una certa atmosfera: “è possibile trasmettere uno stato d’animo o l’essenza di uno spazio ormai scomparso?” chiede Armin Lorenz Gerold. Il suono crea spazio per il potenziale, cioè porta la finzione al di là del reale.
Manuel, or a Hint of Evil (2021) si propone di catturare l’essenza inquietante della prima pandemia. Nato in forma installativa, il progetto ha subito un arresto involontario a causa della pandemia e alla fine si è trasformato in un’opera audio rappresentata con Hanne Lippard alla Haus der Kulturen der Welt di Berlino. Nell’arco di 42 minuti, un narratore senza nome racconta le sue visite quotidiane all’Olympiabad di Berlino, una piscina all’aperto costruita sotto il regime nazionalsocialista, la cui architettura, immutata da allora, oggi evoca quel momento storico. “Cosa si prova a nuotare in un bagno nazista in un’epoca in cui le persone non vogliono più avvicinarsi l’una all’altra?” mi chiede retoricamente Armin Lorenz Gerold, cercando di spiegarmi le sue intenzioni. Il protagonista descrive l’astio latente che i suoi compagni di bagno sembrano nutrire l’uno verso l’altro, dopo settimane di isolamento; sentimento rispecchiato dall’architettura opprimente. Nel frattempo, le voci intime ma prive di affetto di Armin Lorenz Gerold e Lippard orchestrano un’inquietudine. Manuel, che dà il titolo alla pièce, è un giovane che attira l’attenzione del narratore, che ne descrive la figura aggraziata fin nei minimi dettagli. È difficile non immaginare lo stesso Gerold seduto a bordo piscina ad annotare i suoi appunti; anche se la voce poi si distacca dal narratore utilizzando la terza persona.
Tali acute descrizioni sono caratteristiche della scrittura di Armin Lorenz Gerold. Le esperienze personali sono intrecciate a quelle del pubblico. Spesso i suoi testi assumono la forma di osservazioni vaganti, mentre seguono trentenni che si incontrano per un caffè, passeggiano in un cimitero o nuotano tra ostili sconosciuti. Ma più di ogni altra cosa, sembra che il vero protagonista sia la città. In uno spirito psicogeografico, le persone sembrano sfregare contro il tessuto urbano il loro stesso comportamento, modellato dalle circostanze in cui sono costrette a navigare. In Scaffold Eyes, un’opera audio rappresentata al KW di Berlino nel 2017, ascoltiamo le deliberazioni non dette di un incontro tra amici: “Cominciarono a vagare nel quartiere su percorsi incongruenti. Apparentemente inconsapevole del suo orientamento, lei curava il percorso, evitando di percorrere due volte le stesse strade, mantenendo la direzione di una stazione della metropolitana. Era come se prolungasse la conversazione passo dopo passo, tenendo sempre a portata di mano una potenziale partenza”. Armin Lorenz Gerold mi dice di essere interessato all’intersezione tra spazio e suono. Perciò trascorre molto tempo a fare registrazioni sul campo. “Quando si pensa di costruire mondi con i suoni bisogna lavorare con l’ambiente circostante. Queste strutture limitano automaticamente ciò che è possibile”. Come un pipistrello cieco che costruisce uno spazio mentale attraverso il riverbero dei suoi echi, Armin Lorenz Gerold esplora la biopolitica spaziale delle città neoliberali, in cui il cambiamento è costante e avvantaggia chi è già al potere.
In Complicity, uno dei testi scelti per Many Ways To Now, l’artista e scrittore Jay Bernard cammina per il sud di Londra prendendo appunti su come è cambiato il paesaggio urbano a seguito delle chiusure per il coronavirus. “Derelitto è una parola forte per qualsiasi zona di Londra nel ventunesimo secolo, perché tutti gli spazi vuoti sono solo futuri appartamenti di lusso”. Gli strati temporali si dispiegano, dall’immediatezza di un’immagine visiva alla graduale rivelazione insita nelle narrazioni uditive; ed è una voce effimera a guidarci attraverso l’adesso, prima che anch’essa diventi un passato. Quando le finzioni sonore di Armin Lorenz Gerold si intrecciano con la psicogeografia dell’esistenza urbana, ci si ritrova nel punto in cui l’immaginazione, la memoria e il paesaggio urbano convergono: una dissonanza armoniosa che permane negli echi dei suoi paesaggi sonori.
December 4, 2023