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Lippo di Dalmasio: pop ante litteram

Carlo Prada

Lippo di Dalmasio degli Scannabecchi, che dipingeva in serie, firmando le sue opere, e si autopromuoveva, come i maestri del boom statunitense

Se fosse vissuto qualche centinaio di anni dopo avrebbe avuto molto in comune con la pop art. Ma Lippo di Dalmasio dipinse a cavaliere tra la fine del Trecento e l’inizio del secolo successivo, quando artisti come Warhol e Hirst, paladini di un’arte seriale, erano ancora ben lontani dal divenire. Eppure, con loro, il pittore bolognese condivide più di un aspetto. Che ne fa oggi una personalità da rileggere in chiave attuale, una personalità contraddistinta da fama, astuta intraprendenza e fiera autoconsapevolezza; capace, anche se a sua insaputa, di valicare i confini della propria città e, con un salto temporale, comparire sui biglietti natalizi e le edizioni speciali dei francobolli della Royal Mail. La sua Madonna dell’Umiltà con angeli, proprietà della National Gallery di Londra, solenne più che dolce, e illuminata da un enorme cerchio di luce, diventa così un’assidua presenza nel focolare domestico anglosassone secoli dopo la scomparsa dell’artista (1).

lippo di dalmasio
NG752: Lippo di Dalmasio, The Madonna of Humility, about 1390 © The National Gallery, London.

Una strategia di mercato questa, che negli ultimi anni ha visto protagoniste numerose personalità del panorama contemporaneo. Per esempio, le collaborazioni di Louis Vuitton siglate con Yayoi Kusama o Jeff Koons – sebbene nel caso di Lippo di Dalmasio l’iniziativa accada post mortem. Ma il risultato è lo stesso: la fruizione di un’opera d’arte avviene mediante la trasformazione di questa in bene di consumo alternativo, destinato alla massa.

Una retrospettiva

La mostra del Museo di Arte Medievale di Bologna, curata nel 2023 da Massimo Medica e Fabio Masaccesi, ha ospitato non solo le opere di Lippo di Dalmasio, ma anche testimonianze scultoree e manoscritte coeve, offrendo lo spunto per approfondire un artista inserito a pieno titolo nel tessuto della sua città natale, che lo ha consacrato a fama imperitura come pittore di Madonne. A siffatta carriera, Lippo di Dalmasio è in un certo senso predestinato. Suo padre è il pittore Dalmasio degli Scannabecchi, documentato tra il 1342 e il 1377 e attivo a Pistoia tra il 1359 e il 1365 (2). Suo zio invece, è Simone di Filippo Benvenuto, uno degli artisti più affermati della Bologna Trecentesca, altrimenti conosciuto come Simone dei Crocifissi [qui il testo che abbiamo dedicato ai crocefissi giotteschi e al Maestro del crocifsisso Corsi, ndr]. Lippo di Dalmasio, nato in una data successiva al 1350, deve aver compiuto il suo tirocinio proprio a Pistoia, sebbene le opere certe risalgono tutte a dopo il suo rientro a Bologna e sono state composte in poco più di un ventennio (3).

Su falsariga dello zio – il cui soprannome deriva dal soggetto prediletto -, così pure Lippo di Dalmasio si dedica in modo pressoché esclusivo alla raffigurazione di Madonne, e soprattutto di Madonne dell’Umiltà sedute a terra. Con una lungimiranza quasi warholiana, Lippo di Dalmasio individua quindi una formula vincente e la replica in modo da perfezionarla e soddisfare così le richieste dei committenti: se “Andy” ripeteva i ritratti delle celebrità per compiacerle e assicurarsi il loro appoggio, Lippo ritrae la Maria Vergine che ça va sans dire è la Jacqueline Kennedy di un’era in cui l’iconografia della Madonna si diffonde grazie alla presenza e all’azione teologica degli ordini mendicanti. La strategia prova di essere vincente e Lippo raggiunge la popolarità, non solo ai suoi tempi, ma soprattutto quando, nel tardo Cinquecento, diventa un modello di riferimento per la pittura devozionale e mariana promossa dalla Controriforma. Di lui tesse le lodi Francesco Cavazzoni nella sua opera: “Lippo dal Massi […] bolognese fu assai valente pittore da quei tempi ed omo esemplare di buona vita e costumi. Non pinse mai cose vane, ma sempre si compiacque in operare per sua mera divozione la imagine de la gloriosa Vergine […]” (4). Stando al racconto di Malvasia invece, Guido Reni, di cui Lippo di Dalmasio è in un certo senso precorritore, ravvisa nei volti delle Madonne del primitivo “un certo ché di sovrumano, che gli faceva pensare, il suo pennello, più che da forza di uman sapere, venir mosso da un occulto dono infuso” (5).

Lippo Di Dalmasio degli Scannabecchi
Lippo Di Dalmasio degli Scannabecchi, Madonna of the velvet, 1400-1408, tempera on board, 80x 57 cm, Bologna, Museo della Basilica di San Domenico. Courtesy of CFA.

Ma il figlio di Dalmasio non è un esecutore pedissequo di questo tema che in area emiliana e bolognese ha avuto tanto successo. Il pittore infatti sembra aver importato alcune iconografie sino a quel momento estranee, come il Bimbo fasciato in piedi sulle gambe della Madre che vediamo nel “finto” polittico nella Basilica di Santa Maria dei Servi. E ancora, il ditino in bocca o la presenza del cardellino, come nella Madonna del Velluto (6), così chiamata perché già alla fine del Seicento posta su un velluto cremisi. Si tratta di un’opera delle più riuscite, spesa su nimbi fogliacei e morbide transizioni degli incarnati, con Il manto impreziosito da grifoni rampanti, lo stesso motivo araldico che ammiriamo su quello della Madonna dei Denti di Vitale da Bologna del Museo Davia Bargellini. Altre variazioni del tema della Madonna dell’Umiltà (7) sono la presenza di un sole raggiato e di un prato fiorito. Il disco luminoso, oltre che nella sopracitata Madonna della National Gallery di Londra, compare già in un affresco pistoiese attribuito a Lippo di Dalmasio e situato nel refettorio vecchio del Convento di San Domenico, conosciuto come Madonna del Padiglione (8).

Altri esempi sono l’affresco strappato proveniente dalla Chiesa di Santa Maria della Misericordia e la bella tela della galleria della Banca Popolare dell’Emilia Romagna. In entrambi i casi il soggetto della Maria lactans – iconografia originatasi in Oriente e diffusasi in Occidente grazie all’azione mistica francescana (9) -, è illuminato da un grande sole; nel secondo dipinto sono presenti altri attributi apocalittici, come la luna ai piedi della Vergine e le dodici stelle a farle da corona (10). L’altro elemento che spicca è, come dicevamo, il prato lussureggiante, chiaro richiamo all’hortus conclusus desunto dal Cantico dei Cantici (IV, 12) e simbolo del giardino dell’Eden (11). Ora, la definizione di Lippo come pittore esclusivo di Madonne è vera ma va ridimensionata. Ecco due croci dipinte, una delle quali, dopo il restauro, ha riportato alla luce, nella parte inferiore dell’asse verticale, una precedente pittura della fine del Duecento, quasi un’operazione di upcycling ante litteram.

Lippo Di Dalmasio degli Scannabecchi,
Lippo Di Dalmasio degli Scannabecchi, Crucifixion, tempera and gold on board, 138 x 101 cm, Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, inv: P 75. Courtesy of CFA.

Lippo di Dalmasio, uomo polivalente

Se poi dal bolognese Museo di Arte Medievale ci spostiamo in Pinacoteca, troviamo una tavoletta, simile a una biccherna, raffigurante l’Orazione nell’Orto e i Santi Ambrogio e Petronio (12). Il modellino di Bologna, retto da quest’ultimo, è il più elaborato del XIV secolo e in esso sono riconoscibili le due torri pendenti e la cattedrale di San Pietro. Il paesaggio, tratteggiato rapidamente, trasmette un certo mistero notturno mentre i semplici alberi e i tocchi dell’erba ricordano il trattamento vivace dei miniatori, pratica che nella città felsinea ha sempre goduto di grande prestigio.

Lippo di Dalmasio, Vergine col Bambino e Santi, 1395-1400. Courtesy of Bologna Pinacoteca Nazionale
Lippo di Dalmasio degli Scannabecchi, Vergine col Bambino e Santi, 1395-1400, tempera and gold on board, Bologna, Pinacoteca Nazionale. Courtesy of Pinacoteca Nazionale, Bologna.

Il dipinto, di forte connotato civico grazie alla presenza dei santi spesso invocati come patroni, ci consente di gettare luce su un altro elemento che fa di Lippo di Dalmasio un pittore assolutamente moderno: il suo essere polivalente, o meglio, multitasking. A Pistoia prima e a Bologna poi, infatti, ricopre diversi incarichi pubblici, tra cui quelli di esattore comunale, vicario, capitano, castellano e anche notaio (13). Per chi sapeva scrivere e disponeva di un certo livello di cultura, assumere mansioni ufficiali e coltivare a latere un’attività diversa come la pittura era prassi piuttosto invalsa. Ma i dati riportati testimoniamo che Lippo di Dalmasio fu in grado di guadagnare credibilità e fiducia anche in questi campi, e incrementando sistematicamente il proprio patrimonio immobiliare, anche grazie a una costante campagna di autopromozione che ricorda da vicino la parabola di alcuni nomi del milieu artistico attuale, divenuti veri e propri impresari. E che magari si limitano ad apporre la propria firma a conclusione dell’opera eseguita da uno dei numerosi assistenti, che lavorano nelle loro colossali “botteghe”. Anche su questo fronte, Lippo di Dalmasio è un pioniere: in un’epoca in cui la firma sulle opere è piuttosto rara, il gesto di inserire il proprio nome sulle proprie rivela una presa di coscienza da parte dell’autore del proprio status di artista. Con la differenza, sostanziale, che Lippo le sue Madonne le ha dipinte davvero.


1. Scott Nethersole, Devotion by Design: Italian Altarpieces before 1500, Londra, National Gallery Co. , 2011, pp. 34-35; sulle edizioni Royal Mail, Lippo di Dalmasio, Flavio Boggi e Robert Gibbs, Bononia University Press, Bologna, 2013, p. 20.
2. F. Filippini, G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti dei secoli XIII-XIV, Firenze 1947, pp. 59-61; Gibbs, Two Families of Painters at Bologna in the Later Fourteenth Century, in “The Burlington Magazine”, CXXI, 918, 1979, pp. 560-568; R. Pini, Il Mondo dei Pittori a Bologna. 1348-1430, Bologna 2005, pp. 55-56.
3. F. Masaccesi, Lippo di Dalmasio e le arti a Bologna tra Trecento e Quattrocento, Milano, 2023, p. 52.
4. F. Cavazzoni, Pitture et sculture et altre cose notabili che sono in Bologna e dove si trovano, Bologna. Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B 1343; il profilo di Lippo, quale artista devoto e famoso per le raffigurazioni di Madonne emerge anche nella Felsina Pittrice di Malvasia quando l’autore dichiara quanto “fossero in tanto pregio […] le sacre immagini di Maria Vergine da Lippo Dalmasio dipinte, avendo saputo ei più d’ogn’altro dar loro un’aria così santa e divota” cfr. C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, con aggiunte, correzioni e note inedite del medesimo autore di G. Zanotti e di altri scrittori viventi, t. I, ed. Guidi dell’Ancora, Bologna 1841, p. 74.
5. C.C. Malvasia, Felsina Pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, per l’erede di Domenico Barbieri, Bologna 1678, vol. I, p. 26.
6. F. Masaccesi, Lippo di Dalmasio cit., pp. 62 – 63.
7. Grazie agli studi di Millard Meiss sappiamo che la prima raffigurazione della Madonna dell’Umiltà in un’opera monumentale è l’affresco della lunetta del portale di Notre Dame des Doms ad Avignone, che nel 1340 Simone Martini realizzò per il cardinale Stefaneschi. Cfr. M. Meiss, Pittura a Firenze e Siena dopo la morte nera, Torino, 1982, cap. VI, p. 208.
8. Sull’opera si veda Boggi, Gibbs, Lippo di Dalmasio, cit., pp. 59-66, 136-137.
9. H. e M. Schmidt, Il linguaggio delle immagini. Iconografia cristiana, Roma, 1988, p. 274, n.39.
10. B. Carmignola, Dalla donna vestita di sole delle apocalissi anglosassoni all’iconografia di Maria Lactans, in E. Simi Varanelli, Maria L’Immacolata. La rappresentazione nel Medioevo. Et Macula non est in te, contributi di B. Carmignola, C. M. Paolucci, Roma, 2008, pp. 62-64.
11. Ilaria Negretti, Lippo di Dalmasio cit., p. 122.
12. Sul culto di San Petronio a Bologna si veda, per esempio, Beatrice Buscaroli (a cura di), Petronio e Bologna. Il volto di una storia. Arte, storia e culto del Santo Patrono, Ferrara, Editai, 2001.
13. F. Boggi e R. Gibbs, Lippo di Dalmasio cit., p. 119.

December 11, 2023