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Milano 1487: Bernardo Zenale e Jacopino de Mottis

Laura Paola Gnaccolini (from Nuovi Studi 27, 2022-2023 anno XXVII-XXVIII)

Nuova attribuzione per Bernardo Zenale e Jacopino de’ Mottis, che affittano insieme una bottega per lavorare al Duomo

Il recente restauro della vetrata con Storie di san Giovanni Damasceno, realizzata nel Duomo di Milano su commissione del Paratico degli Speziali, che ottenne il 7 maggio 1478 a questo scopo una finestra vicino all’altare dei Notai (fin. IX), è stato l’occasione per tornare a riflettere su un tema molto complesso e nell’insieme ancora non del tutto chiarito, come è quello del rapporto tra maestri vetrai e autori dei cartoni nel cantiere quattrocentesco del Duomo di Milano.

Nello specifico della vetrata in questione bisognerà ricordare brevemente le notizie nelle fonti: il 16 febbraio 1479 il vetraio Nicolò da Varallo viene incaricato dalla corporazione de gli Speziali della realizzazione di una vetrata e a questo scopo nell’ottobre i Deputati acqui stano 395 libbre di vetro (corrispondenti a circa 22-23 antelli). Il 25 maggio del 1480 Nicolò ottiene dalla Fabbrica un ambiente da adibire a laboratorio, che dovrà essere lasciato libero quando il maestro non sarà impegnato per questo lavoro. Negli anni seguenti Nicolò risulta documentato anche su altri fronti, sia in Duomo che altrove (in particolare a Lodi tra 1484 e 1486), fino agli ultimi pagamenti della Veneranda Fabbrica dell’agosto 1489, con note di bia simo, che a tutt’oggi costituiscono la sua ultima attestazione. Il 1 ottobre 1498 tuttavia la ve trata risulta non conclusa e ancora nel settembre del 1516 ci sono forniture di vetri “iuxta so litum”. Infine nel 1539 viene registrato un pagamento “pro aptari faciendi” la vetrata in que stione, che è stato messo in relazione, credo correttamente, con il suo spostamento dal fine strone IX al XXV, dove si conserva attualmente, in occasione della collocazione nel transetto sud della tomba di Gian Giacomo Medici voluta da papa Pio IV.

Nicolò da Varallo su cartone di Vincenzo Foppa, Nascita di San Giovanni di Damasco, particolare delle levatrici. Milano, Duomo, finestrone XXV.
Nicolò da Varallo su cartone di Vincenzo Foppa, Nascita di San Giovanni di Damasco, particolare delle levatrici. Milano, Duomo, finestrone XXV.

Il soggetto della vetrata scelto dal Paratico degli Speziali, la vita di san Giovanni di Damasco, è piuttosto inconsueto e fu probabilmente veicolato dal desiderio di inserire nella ricca iconografia del Duomo questo santo della chiesa orientale che aveva difeso strenuamente nei suoi scritti il culto delle immagini. Le scene della vita raffigurate sono tratte dallo Speculum Historialis di Vincenzo di Beauvais, un testo piuttosto sintetico di XIII secolo, che risulta alla base anche dell’unica altra sequenza dedicata a questo personaggio rintracciabile in Lombardia, realizzata nel XIV secolo ad affresco su un sott’arco della chiesa di San Francesco a Lodi. La rilettura del testo della Vita ha consentito di identificare con precisione i vari episodi e di propor re il rimontaggio degli antelli in una posizione più rispondente a quella che doveva essere la sequenza originaria.

Dal punto di vista dello stile l’osservazione ravvicinata degli antelli in occasione del restauro consente di proporre qualche ulteriore considerazione sia sull’entità dell’intervento di Nicolò, che sulla possibile paternità degli autori dei cartoni per la vetrata. Si notano infatti all’incirca tre macro-gruppi, chiaramente distinguibili sia per quanto riguarda l’impostazione generale del le composizioni, la resa delle figure e dei dettagli, sia per i dati tecnici, che inducono a ritenere che ci sia stato un avvicendamento non solo tra i vetrai, ma anche tra i realizzatori dei cartoni. Infatti le prime scene (dalla Nascita attraverso la Monacazione, fino a Giovanni che insegna al figlio del Califfo) mostrano tratti di stile piuttosto omogenei, che risultano ben confrontabili con diverse opere di Vincenzo Foppa: i rimandi più pertinenti sono in particolare con la Presentazione al tempio già in collezione Gerli (Milano, Pinacoteca di Brera), dove si trovano confronti convincenti per le donne della Nascita e lo stesso Giovanni infante (ma anche per la Madonna col Bambino che appare al giovane santo in preghiera). Le figure maschili trovano dei precedenti negli affreschi della Cappella Portinari, dove gli Apostoli che assistono all’Assunzione della Vergine sono parenti degli astanti che assistono alla lezione di Giovanni dodicenne, solo un po’ più massicci nella volumetria; il giovane santo che prega la Vergine è una rielaborazione del San Cristoforo (Denver, Art Museum), mentre possiamo leggere la scena del Fanciullo che scrive la falsa lettera arrivando a ritroso fino al Fanciullo che legge Cicerone (ciò che resta degli affreschi per il Banco Mediceo, 1462 circa) e alle ambientazioni spaziali della Cappella Portinari (si veda il Miracolo del piede risanato). Ancora, i giovani allievi nella parte sinistra de Il monaco Cosma che fa lezione, con i visi di notevole naturalismo e volumetria, i morbidi capel li che sfuggono dai berretti, possono ben confrontarsi con l’angelo musico accanto alla Madonna col Bambino (Firenze, Gallerie degli Uffizi), mentre i visi più larghi dei monaci della Vestizione paiono in debito con la volumetria più massiccia del santo Stefano nella Pala Bottigella (Pavia, Pinacoteca Malaspina).

Se consideriamo che analoghi riferimenti stilistici si trovano nei primi antelli delle Scene del Nuovo Testamento e nella vetrata con Storie di sant’Eligio, che risultano realizzate su cartoni di Vincenzo Foppa, dietro commissione dell’11 marzo 1482 del Paratico degli Orefici, possiamo avere conferma della paternità di Foppa per i cartoni di questa parte della vetrata. Sempre ad un disegno di Foppa dovrebbero spettare i sei Angeli vestiti alla greca, con le braccia incrociate al petto, che ornano a coppie il poco spazio ai lati delle guglie degli strafori a metà finestra, che, seppure molto interpolati dai restauri, risultano ben confrontabili con gli Angeli reggi-stemma nelle vele della Cappella Portinari.

Vincenzo Foppa, Presentazione al tempio Gerli, particolare del chierico. Milano, Pinacoteca di Brera.
Vincenzo Foppa, Presentazione al tempio Gerli, particolare del chierico. Milano, Pinacoteca di Brera.

Dal punto di vista tecnico si nota l’uso di vetri molto trasparenti (nei volti c’è il vetro bianco), con la grisaglia data in tratti sottili, piuttosto raffinati, a sottolineare in maniera calligrafica volti e panneggi; vetri rossi e prugna di magnifiche tonalità; l’utilizzo abbondante del giallo d’argento, per sottolineare alcuni dettagli delle figure (es. capelli), ma soprattutto per particolari architettonici (capitelli, cornici); l’uso di vetro damascato nel pannello in finto tessuto che fa da testiera al letto della puerpera; un colore molto inusuale (tipo terra rossa) usato in cottura per ravvivare sulle guance gli incarnati e in un caso – la scena di Giovanni che comunica ai genitori la sua vocazione – per l’intero mantello del padre. In queste caratteristiche tecniche dobbiamo probabilmente riconoscere l’intervento di Nicolò da Varallo.

Dopo queste scene, che arrivano all’incirca all’altezza degli strafori a metà finestra, si nota una cesura e con gli antelli del Supplizio del santo e La mano appesa alla porta della città si riconosce con chiarezza la mano del pittore e maestro di vetrate Pietro da Velate, la cui personalità è stata recentemente ricostruita in maniera efficace: il suo intervento, che si caratterizza per l’utilizzo di una grisaglia lavorata ‘a risparmio’ (cioè asportando con un legnetto o il retro del pennello la grisaglia dopo averla stesa) deve risalire ad un momento tra il 1519 e il 1523, quando ricevette vari pagamenti “pro aptando” e “pingendo” vetrate in Duomo: ne consegue che le due scene vennero introdotte probabilmente al momento del montaggio finale della vetrata.

L’antello con la Cattura non è facilmente giudicabile, poiché interessato probabilmente già da restauri e sostituzioni antiche (in particolare nella parte destra). Spicca tuttavia la testa frontale di uno degli sgherri, di marcata volumetria e grande forza, di notevole influenza bramantesca, ben confrontabile con le teste dei carnefici di san Sebastiano nel Martirio del santo (Milano, Pinacoteca di Brera) di Vincenzo Foppa proveniente da Santa Maria di Brera, generalmente collocato verso il 1487, ma anche con il Re Davide affrescato da Bernardo Zenale sulla volta della navata centrale della chiesa della Certosa di Pavia, nel corso degli anni novanta del XV secolo. Anche la resa tecnica della grisaglia è diversa sia dal primo gruppo di antelli, che da quelli di Pietro da Velate. 

Gli antelli seguenti risultano molto interpolati a causa di restauri antichi e dei rifacimenti ottocenteschi dei Bertini (che utilizzarono vetri poco trasparenti), evidentemente intervenuti in maniera massiccia a seguito di un degrado maggiore, dovuto con ogni probabilità ad una resa tecnica di qualità inferiore – anche se è già stato notato per altri casi che i Bertini in genere sono molto rispettosi delle linee originali della composizione e delle fisionomie dei volti. In molte delle parti antiche sopravvissute la grisaglia originale è caduta. Si riconoscono tuttavia ancora diverse porzioni antiche di grande bellezza, oltre alle impostazioni generali delle composizioni, e ciò consente di trarre alcune osservazioni di carattere generale. Tralasciando rari casi dove ricorrono ancora evidenti tratti foppeschi, siamo di fronte a personaggi resi per ampi piani, dalle grandi teste rotonde, una certa semplificazione, architetture meno complesse, ma soprattutto un diverso uso dello spazio a disposizione, come appare evidente nella scelta di riservare gli ultimi due registri della vetrata a due soli episodi, che unificano l’ambiente entro cui si svolge la scena. Un’impaginazione molto simile si ritrova nella coeva pittura su tavola, ad esempio nel trittico eseguito da Bernardo Zenale intorno al 1490, forse per la chiesa di Ognissanti di Monza, oggi diviso tra le Gallerie degli Uffizi e il Museum of Art di Lawrence (Kansas). Qui si trovano confronti puntuali anche per la bella testa del monaco a mani giunte che accoglie Giovanni nella scena con l’Imperatore dona a Giovanni un monastero, parente stretto del santo abate del pannello destro (Firenze, Uffizi).

Un riferimento molto stringente per l’analogo trattamento delle volumetrie e dei panneggi ricorre anche nei laterali del polittico francescano, eseguito sempre da Zenale, diviso tra la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, una collezione privata e il Museo di Grenoble, che dovrebbe risalire agli stessi anni, così come nei laterali del più tardo polittico per la Cappella dell’Immacolata in S. Francesco a Cantù (divisi tra il Museo Bagatti Valsecchi e il Museo Poldi Pezzoli di Milano), per il quale ricorre un pagamento artista nel 1502.

Bernardo Zenale, San Ludovico di Tolosa. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana.
Bernardo Zenale, San Ludovico di Tolosa. Milano, Veneranda Biblioteca Ambrosiana.

Si consideri ora che l’11 settembre 1487 Bernardo Zenale e Jacopino de Mottis affittano per tre anni un laboratorio nella parrocchia di San Giovanni Laterano a Milano da Giuliano da Sondrio, con lo scopo di cooperare per lavori fino ad oggi non individuati. Jacopino risulta poi pagato nel 1488 e nel 1489 per vetrate e affreschi nella chiesa della Certosa di Pavia con “compagni pittori” e tra questi Stefania Buganza ha già da tempo correttamente proposto di identificare Bernardo Zenale, riconoscendo la mano del trevigliese in due Santi monaci certosini sulla volta della terza cappella sinistra. Ulteriori pagamenti a questa compagnia si hanno nel 1491 relativamente a tre cappelle sul lato destro, dove Jacopino è stato riconosciuto nelle figure di Profeti (volta della terza cappella), Patriarchi (volta della quinta cappella) e in due Monaci conversi sulla volta della prima cappella, mentre gli altri due sono appunto di Zenale, a cui spettano anche alcune figure affrescate (probabilmente già nella seconda metà degli anni novanta) sulle volte della navata centrale, come Re Davide.

Jacopino de Mottis, Avicenna. Milano, Duomo, fin. XXV.
Jacopino de Mottis, Avicenna. Milano, Duomo, fin. XXV.

Se si considera che i ritratti dei sei medici famosi dell’antichità (Dioscoride, Galeno, Mesue, Avicenna, Ipocrate, Serapione), che ancora ornano gli strafori collocati a metà della finestra XXV in Duomo, risultano gemelli (nelle fisionomie, nello stile per piani semplificati, nelle mani piccole e nervose, nel panneggio un po’ metallico e strizzato) dei personaggi affrescati da Jacopino de Mottis sulle volte delle cappelle della Certosa di Pavia (soprattutto i Patriarchi e i Profeti) abbiamo un forte grado di probabilità che il documento del 1487, che sott’intende una collaborazione tra i due artisti a Milano, possa riferirsi anche alla realizzazione dei cartoni per la parte alta della vetrata, la cui realizzazione fu poi procrastinata nel tempo fino all’intervento di vetrai di minori capacità tecniche, come testimonia l’estremo degrado della grisaglia e la perdita di gran parte dei vetri originari nella parte alta della finestra, dove ricorrono le figure dei monaci dai larghi volti, i tratti fisionomici un po’ caricati, e alla conclusione di Pietro da Velate.

Da ultimo, ragionando sulla figura di Zenale come autore di cartoni per vetrate e vista la sua presenza Pavia già nel 1477 e il fatto che nel 1488-1489, in qualità di compagno di Jacopino, risulta documentato per vetrate e affreschi in Certosa, con grande prudenza si potrebbe proporre che proprio alla sua mano sia da ricondurre il cartone per il San Michele arcangelo firmato da Antonio da Pandino, per il quale l’unico termine di confronto proponibile resta il santo omonimo di Zenale già in collezione Contini Bonacossi, oggi alle Gallerie degli Uffizi.

June 20, 2024