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Serban Savu (una conversazione)

Georgiana But

Abbiamo incontrato Serban Savu, che con un enorme polittico sociale ha rappresentato la Romania alla Biennale di Venezia

Nei dipinti di Șerban Savu le persone comuni vivono la loro vita quotidiana. Studiate per giorni con la pazienza di un voyeur, persone che non necessariamente si conoscono tra loro finiscono per ritrovarsi sulla tela, all’interno di uno stesso perimetro. Nella maggior parte dei dipinti la prospettiva aerea è immersa in un paesaggio urbano-rurale. È qui, alla periferia della città, che si distillano decenni di storia. Altre serie collocano i personaggi in luoghi che ricordano le rovine archeologiche, oppure ritraggono interni in cui opere d’arte di epoche diverse affiorano da libere rappresentazioni, giustapponendo registri diversi e molteplici realtà. Si tratta di lieux de mémoire dinamici, impegnati in un meticoloso lavoro di recupero e restauro.

Șerban Savu
Șerban Savu, Electric man, 2022, oil on canvas, cm. 50 x 40. Courtesy of the artist.

Il rapporto tra lavoro e tempo libero è presente da tempo nei dipinti di Șerban Savu. L’interesse del pittore per la figura del lavoratore – protagonista della glorificazione del lavoro nell’arte ufficiale del comunismo – è nata come un persistente tentativo di comprendere la realtà della società rumena dopo il crollo del progetto utopico di Solidarność. Savu torna sul tema nella mostra What Work Is, allestita per il Padiglione della Romania alla Biennale di Venezia 2024. Come recita il testo di sala, la mostra “invita a esplorare l’iconografia del lavoro e del tempo libero, ispirandosi al realismo storico e all’arte di propaganda del blocco comunista. Invece di smantellare questi discorsi, Savu li sfida riorganizzandone i tropi”. Destabilizzando una dicotomia, l’attenzione della mostra si concentra sull’indecidibile e offre momenti di ambiguità in cui le persone al lavoro sono inattive, in uno stato di indifferenza letargica e di disimpegno dal sistema produttivo.

Nella sala principale del Padiglione rumeno si trovano una quarantina di dipinti. Sono uno spaccato degli ultimi quindici anni del lavoro di Șerban Savu. Sono stati racchiusi in un vasto polittico, come fossero un grande affresco. Affrontato alla parete dei dipinti, uno dei quattro modelli architettonici esposti integra una scena di relax. L’opera so intitola True Nature ed è stata composta a mosaico; è una sorta di “rivincita storica” di coloro che si sono impegnati in passato e che ora si prendono il loro tempo per riposare. L’opera ha miniaturizzato un mosaico monumentale immaginato da Șerban in dialogo antitetico con L’Aratore dell’Universo di Aurel David, un’opera d’arte socialista-realista degli anni Settanta che ancora oggi adorna il Centro giovanile I. A. Garagin di Chișinău, nella Repubblica di Moldova.

A complemento della presentazione nel Padiglione della Romania, la Nuova Galleria dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia è stata trasformata in un laboratorio di mosaico. Artisti provenienti dalla città moldava di Chișinău e dalle città rumene di Iași e Cluj sono stati invitati a ricreare la scena del picnic di True Nature in un mosaico di grandi dimensioni. L’opera, composta durante tutta la durata della Biennale, è una performance continua aperta al pubblico. Una volta completata sarà donata e collocata su un edificio di Chișinău, chiudendo il cerchio dell’ispirazione, della creazione e della produzione innescato da Șerban Savu.


Georgiana Buț – La mostra per il Padiglione della Romania stabilisce un legame tra una versione contemporanea del polittico e l’arte storica di Venezia. Immagino che per te sia stato un gesto naturale, dato il tuo interesse per la storia dell’arte e l’aver trascorso due anni in laguna. Racconti spesso di esserti appassionato ai pittori veneziani e a opere come il Polittico di San Vincenzo Ferrer di Giovanni Bellini. Del resto, il formato polittico non è nuovo nella tua arte, così come il concetto di vivere nell’intersezione tra lavoro e tempo libero. È molto interessante che abbia scelto una forma tipica dall’arte religiosa per rappresentare scene laiche e temi di grande attualità. Cosa ti ha spinto a unirli?

Șerban Savu – Il primo polittico che ho dipinto, nel 2014, è stato proprio il Polittico del Lavoro e del Tempo Libero. Per il Padiglione Rumeno della Biennale ho rivisitato l’idea di dieci anni fa portandola su una scala completamente diversa, e in un formato diverso, pensato per adattarsi al contesto. La storia dell’arte, che si tratti di arte recente o antica, mi ha sempre interessato e mi piace usare il linguaggio dell’arte storica per discutere idee attuali. In questo caso ho sovrapposto il polittico come forma di arte religiosa a scene ordinarie di lavoro e di svago, prendendo in prestito i temi principali del Realismo socialista, ma spogliandoli di qualsiasi ideologia o fine propagandistico. L’opera riflette ciò che è accaduto nella società rumena dopo la caduta del regime comunista, quando l’ideologia politica è stata sostituita dalla religione.

Șerban Savu, Saint Christopher, 2022, oil on panel, cm. 42.5 x 60. Courtesy of the artist.

Georgiana Buț – In mostra ci sono oltre 40 dipinti, selezionati in un arco di tempo considerevole, circa 15 anni. Si tratta di un’installazione di grande complessità, che salda il tema della mostra e la sua forma. La composizione risponde alla scala dell’architettura e offre uno sguardo immediato e completo, ottenendo l’effetto complessivo di un affresco. Durante i giorni di apertura della Biennale ho avuto modo di notare questo effetto sugli spettatori. La composizione consente molteplici percorsi che si snodano nel tempo, con una certa ritmicità, mentre si cammina nello spazio. Come hai pensato all’esperienza dello spettatore nel processo di composizione del polittico?

Șerban Savu – Volevo che il polittico fosse monumentale, per dare allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte a un affresco sociale. Volevo anche che questa installazione suggerisse l’idea di un polittico religioso, per questo ho incastrato le opere nella parete e le ho raggruppate su tre livelli. Non ho seguito la disposizione tradizionale del polittico; per esempio, ho introdotto la predella che contiene le opere più piccole nella parte centrale, e non in quella inferiore dove di solito si trova, in modo che sia più facile per gli spettatori vederla. Si può anche osservare una delimitazione compositiva che ricorda un polittico classico; La parte centrale è composta in modo diverso ed è più alta rispetto alle parti laterali.

Infine, abbiamo prestato grande attenzione alla luce, perché volevamo utilizzare principalmente la luce naturale, la più adatta alla pittura, e quindi abbiamo coperto i lucernari con una pellicola a dispersione per eliminare qualsiasi ombra che potesse interferire con la lettura dell’opera.

Georgiana Buț – Come ha percepito l’architettura del Padiglione Rumeno, che è stato progettato da Brenno del Giudice? È una struttura che deposita strati e strati di storia e ideologia…

Șerban Savu – Ho visto l’architettura del padiglione più di 20 anni fa, nel 2003, quando ho visitato la Biennale di Venezia per la prima volta; poi sono tornato a vedere tutte le edizioni della Biennale, fino a quella attuale. Ero anche a conoscenza della storia del padiglione, costruito, come hai ricordato, dall’architetto veneziano Brenno del Giudice, durante il regime fascista di Mussolini. Tuttavia, per la mostra di Venezia, ho preferito concentrarmi sulla mia pratica artistica abituale, piuttosto che sullo sviluppo di un’installazione site-specific. C’è ovviamente un dialogo tra due dei miei modelli architettonici presentati in mostra e l’edificio del padiglione: il blocco socialista (True Nature, 2021) e la Fabbrica di Spazzole (Lunch Break, 2024), due edifici emblematici costruiti negli anni ’70 dal regime rumeno.

Șerban Savu
Șerban Savu, The Weeping Willow, 2018, oil on canvas, cm. 150 x 193. Courtesy of the artist.

Georgiana Buț – Di fronte alla parete di dipinti ci sono queste 4 opere “in volume”, all’incrocio tra modello architettonico e scultura, ognuna impreziosita da una piccola scena composta a mosaico. Una di queste è un sito archeologico, Untitled (The Last Provincial Unearthings), del 2023. Puoi dirci qualcosa di più sul tuo interesse per l’archeologia? C’è un legame tra questo il lavoro con i mezzi diversi dalla pittura?

Șerban Savu – Il mio interesse per l’archeologia non è nuovo. È strettamente legato ai viaggi che faccio nel Mediterraneo e al fatto che fin da piccolo conoscevo i miti dell’Antica Grecia. Negli ultimi 20 anni ho visto molti siti archeologici e musei d’arte antica, ma solo negli ultimi 5-6 anni l’archeologia è diventata un tema della mia pittura e, recentemente, anche dei nuovi mezzi di comunicazione hai citato. Non credo che ci sia un legame tra il mio interesse per l’archeologia e il tentativo di lavorare con altri mezzi. Ho fatto ricorso ad altri mezzi perché col tempo mi sono venute delle idee che non potevano essere espresse in pittura; così ho finito per comporre mosaici o modelli/oggetti architettonici.

Georgiana Buț – Rappresenti la realtà della gente comune che va alla deriva, che si riadatta in mezzo ai cambiamenti della società. Parlando di alcuni dei temi che affronti nella tua pittura, hai fatto un’osservazione che mi ha incuriosito: “Mi interessano le incongruenze che derivano dal modo in cui la società è costruita e dalle sue esperienze storiche passate. Sono cose che ho in mente da molto tempo, solo che non sapevo di poterle dipingere”. Cosa intendeva dire, precisamente? Il fatto che questi temi possano essere trattati con un linguaggio pittorico? Oppure ti riferivi alla tua capacità di ritrarli in modo convincente? Come è avvenuta questa scoperta?

Șerban Savu – Dopo aver soggiornato per due anni a Venezia, tra il 2002 e il 2004, con una borsa di studio, sono tornato a Cluj e mi sono reso conto che le esperienze e la vita vissuta in un’altra cultura mi hanno aiutato a vedere più acutamente le realtà che mi circondano. Questa nuova prospettiva mi ha fatto capire che le cose a cui pensavo, e che osservavo nella realtà immediata, potevano diventare soggetti di pittura, oppure che potevo capirle meglio attraverso la pittura. Direi che è stata una sorta di intuizione-rivelazione attraverso la quale ho trovato il modo di esprimere quelle idee in un linguaggio pittorico.

Șerban Savu, Untitled, 2009, oil on canvas, cm. 14 x 26. Courtesy of the artist.

Georgiana Buț – Ti occupi della funzione della pittura e del ruolo del pittore in diversi momenti della storia dell’arte. Quando nei tuoi dipinti hai reso alcune scene di opere monumentali degli anni Settanta – come L’Aratore dell’Universo di Aurel David del Centro giovanile I.A. Garagin di Chișinău, o il mosaico sulla facciata della fabbrica Steagul Roșu di Brașov – hai messo in discussione l’esperienza del pittore nel periodo socialista per scoprire, come dici “dall’interno”, la loro percentuale di autenticità in mezzo alla propaganda. Altre volte ti rifai ai dipinti classici, in un processo di “entrata nelle loro viscere”. Come vivi l’essere pittore oggi? E come descriveresti il tuo rapporto con il lavoro?

Șerban Savu – In effetti, riprendendo alcune opere pubbliche del realismo socialista e integrandole nei miei dipinti, ho cercato di comprendere meglio i vincoli o le libertà degli artisti di un’epoca per molti versi travagliata. Per me il rapporto con il passato è sempre una negoziazione e un modo per definirmi nel presente. Ho la sensazione di non capire chi sono se prima non guardo al passato, sia esso recente o remoto. Per un artista che utilizza questo “vecchio” mezzo di espressione artistica, la pittura, guardare al passato è ancora più necessario e stimolante; ma non per passatismo o nostalgia, al contrario. Il passato contiene tutta l’immaginazione dell’umanità e, allo stesso tempo, tutti i semi del futuro.

Come artista, sono interessato al presente e al tempo in cui vivo e di cui voglio parlare; ma ovviamente non posso farlo senza guardare indietro.

In altre parole, per rispondere più precisamente alla tua domanda, la routine è per me l’unico modo in cui posso lavorare, in cui posso delineare e approfondire le mie idee, in cui posso costruire immagini. D’altra parte, l’ispirazione per me significa uscire dalla routine. Per questo, purtroppo, non ho ancora trovato una vera e propria ricetta…

Georgiana Buț – Attraverso le tue opere e i suoi discorsi su di esse poni domande sulla natura e sullo scopo della pittura. Alcune delle questioni che abbiamo toccato in questa conversazione potrebbero essere viste come attinenti alla filosofia dell’arte. L’estetica è una questione importante per te? E mi permetto di allargare la domanda: pensi che la filosofia dell’arte – e non solo la storia dell’arte – possa dirci qualcosa sulla pittura di oggi?

Șerban Savu – L’arte e la filosofia dell’arte sono inseparabili fin dai tempi degli antichi greci e non vedo come le cose potrebbero cambiare in futuro, nel modello sociale in cui viviamo.

Penso che per ogni artista la domanda “perché faccio arte” rimanga una questione molto importante che merita di essere periodicamente riesaminata. Per un pittore come me, le domande più specifiche “perché dipingo” e “perché non scelgo un altro mezzo per fare arte” si affacciano costantemente e a volte cerco di trovare risposte anche attraverso la pittura.

Come spettatore mi pongo le stesse domande sulla natura e sul significato della pittura, che altrimenti rimarrebbe solo un’esperienza sensoriale superficiale.

Exhibition view, What Work Is, The Romanian Pavilion at the 60th Venice Biennale, 2024, photography by Marius Popuț, Courtesy Galeria Plan B.

Georgiana Buț – fai spesso dei paralleli tra il processo pittorico e quello letterario. La tua monografia del 2019, Drifting (Idea Design & Print, Cluj-Napoca, 2019), è stata strutturata intorno a poesie di Philip Levine. Inoltre, la mostra al Padiglione della Romania è intitolata a una delle sue poesie, What Work Is, evidenziando in questo modo linee di continuità nella tua pratica nel corso degli anni. Anche nel descrivere il dialogo con le opere di Nana Esi e Sophie Keij, il duo di Bruxelles che avete invitato a rispondere al progetto a Venezia, fate ricorso a una metafora letteraria, paragonando l’intervento di Atelier Brenda a una copertina che avvolge un libro. Puoi dirci qualcosa di più sul ruolo che la letteratura svolge per te?

Șerban Savu – Il mio legame con la letteratura è molto diretto: mio padre era uno scrittore. Il rapporto con la letteratura è stato mediato fin dall’inizio. Non ho mai cercato di scrivere. Anzi, scrivere è qualcosa di molto difficile per me, forse perché mio padre aveva una personalità molto dominante. Ma sono rimasto un lettore. Ho sempre un libro con me. Non di rado trovo, leggendo, ispirazione o almeno uno stato d’animo creativo.

Probabilmente i libri più impressionanti – e così diversi da tutto ciò che ho letto finora – sono l’Iliade e l’Odissea. Al momento mi aspetta sul comodino un romanzo di Richard Flanagan, La strada stretta per il profondo Nord; ma lo leggerò solo dopo aver finito L’Isola, di Aldous Huxley.


Nota: In occasione della 60a Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia 2024 (20 aprile – 24 novembre 2024) il Padiglione della Romania presenta un progetto di Șerban Savu e Atelier Brenda, a cura di Ciprian Mureșan. Intitolato WHAT WORK IS, il progetto si sviluppa in due sedi: Giardini Biennale e la Nuova Galleria dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica nel cuore del quartiere Cannaregio. Invitato a rispondere al progetto di Șerban Savu, lo studio grafico Atelier Brenda (Sophie Keij e Nana Esi), con sede a Bruxelles, propone un intervento site-specific sulla facciata e nell’atrio del Padiglione della Romania. Il progetto avviato e sostenuto dalla Fondazione IDEA.

September 25, 2024