Federico Cantale, assonometrie scultoree
Federico cantale pensa per forme amiche, frutto di una visione rigorosa, che vede nel respiro di tutte le cose la loro norma più profonda.
“L’opera nasce dall’intuizione della simmetria creatasi quando una persona gonfia con la bocca un palloncino”. Sono queste le parole che Federico Cantale, classe 1996, sceglie per introdurre Tra me e me (2024) e Tra sé e sé (2024), coppia di lavori dalla quale vorrei prendere le mosse per avvicinare la sua pratica e il suo pensiero.
“Tra me e me (2024) e Tra sé e sé (2024) – scrive Federico Cantale in una comunicazione via e-mail – sono due titoli per chiamare una sola opera”. Due variazioni siglate da altrettanti titoli omofonici, profondamente affini anche nel contenuto, per un’unica scultura. Più precisamente: per un’idea di scultura. Ciascuno dei lavori possiede un volume composito, formato di un primo elemento sferoide dal quale origina un secondo corpo parimenti sferico, leggermente inclinato verso il basso. Lontane dal suolo e da piedistalli, le opere vengono installate a circa un metro e mezzo di altezza. La verticale definisce il loro asse ed è nell’aria che questa scultura esiste, galleggiando in uno sforzo piccolo, senza fine. Vi è poi un ulteriore elemento da porre. La dualità della forma, la quale suggerisce – e non viceversa – la doppia titolazione, si riflette spontaneamente in un’ulteriore diade: quella di materia-materiale. Non si tratta di una logica oppositiva, quanto di una tensione antichissima che percorre le storie della scultura, intercettando una metamorfosi, o forse sarebbe più opportuno parlare di trasformazione, che ha come fuochi la scultura e la sua immagine, il suo esistere come presenza e insieme proiezione. Materia e materiali, allora. Il primo dei corpi sferoidi costituisce un pezzo delicatissimo, un involucro in terracotta ricavato da un’argilla bianca nel caso della prima versione, e rossa nella seconda. Entrambe tali impronte vengono lavorate per calco in negativo e sottoposta a cottura. Il secondo volume è un palloncino, una tonda vescica in lattice: nuovamente bianco e arancione. Queste sculture di Federico Cantale sono dunque essenzialmente fatte d’aria e di fiato, dall’aria e dal fiato. Il motore della scultura, il suo cuore, risulta invisibile agli occhi, se non come effetto. Esso è gesto materializzato dalla forma, ossia dalla performatività della terracotta e dal lattice. Il fatto che la scelta di tale gesto costituisca un accidente formale ineludibile, nonché la testimonianza viva di un modo di concepire l’atto scultoreo che muove dall’idea di modulo e non da quella di modello, e che si esplicita nell’ascolto delle norme che reggono l’esistere delle cose – ossia, del loro respiro – rappresenta un tema su cui sarà necessario tornare a breve, muovendo da un dato di fatto.
La progettazione delle opere rappresenta per Cantale un frangente denso. Essa si esprime, innanzitutto, quale pensiero in movimento: come una scintilla, la scultura brilla nell’immaginazione e la sua idea viene modellata dall’artista con cura quotidiana. In questa fase il disegno svolge un ruolo decisivo. Sia nei termini di strumento mediante cui tentare una morfologia della prassi – nel meditare nuove sculture, spesso Cantale abbozza su un unico foglio un paesaggio dei suoi precedenti lavori – sia quale mezzo attraverso cui verificare una composizione formale, la cui esecuzione, generalmente per assemblaggio, può essere assolta dall’artista o in serrato dialogo con gli artigiani. E uno dei punti nevralgici del pensiero di Cantale verte proprio sulla ricerca della composizione formale: ossia, di quella peculiare configurazione che permette alle forme di essere massa di elementi, colori, rapporti e, al contempo, portatrici di un gesto che origina da quella stessa e sola configurazione. In fondo, Tra me e me (2024) e Tra sé e sé (2024) interroga la possibilità, potenzialmente infinita, di un incontro tra due forme sferoidi. Un accostamento che porta con sé molteplici immagini, tra le quali quella della testa lievemente reclinata, tema della scultura per eccellenza, specie se tardo ottocentesca e primo novecentesca, così come quella, ora maggiormente pittorica, del soffio.
Per Cantale, dunque, la forma sembra costituire il punto di partenza e di arrivo della scultura, laddove l’immagine, ovvero il gesto, definisce di tale scultura la voce, il racconto, l’idea. Una simile tensione, riscontrabile peraltro sin dai primi lavori dell’artista, potrebbe essere definita nei termini di processualità. Concetto, tuttavia, qui non del tutto riferibile alla corrispettiva, straordinariamente letterale protagonista di talune esperienze dell’Arte povera e nordamericana coeve, quanto, ancora una volta, alla peculiare tensione che si viene a determinare tra materia e immagine in termini narratologici.
Si pensi alle due versioni di Trance di Miele (2021, 2024). Scultura della terra, e non dell’aria, essa si compone di due cilindri lignei aventi proporzioni antropomorfe, laccati di rosso e di verde e atterrati orizzontalmente al suolo. Il sospiro di queste sculture dormienti, il loro soffio, è materializzato da una coppia di piedi in legno che ne conclude una delle terminazioni: l’afflato minimale del lavoro viene dissipato dal gesto che la scultura attivamente interpreta.
Persino in un’opera a suo modo ludica come Felina (2021), assonometria scultorea di un gatto nero, tal processualità sembra baluginare nell’intercapedine, tutta semantica, tra l’immagine del gatto e la sua traduzione concettuale e modulare. Da queste poche, pochissime opere mutuate dal corpus di Federico Cantale, è possibile intuire quale sia il bacino di referenze artistiche, presenti e passate, che l’artista ha variabilmente intercettato. Un insieme di fonti che, da un lato, vede l’egida di Fabro e del Fontana ceramista, ma che anche trattiene l’eredità di quella fortunata stagione in cui il fare scultura era dipeso da una straordinaria vis assemblativa, da Consagra e Marotta.
Dall’altro, tale esattezza formale si accompagna a una dimensione ludica non estranea a numerose delle coeve in ambito scultoreo, tra le quali quelle di Camille Henrot, Camille Blatrix o Rodrigo Hernandez [ne abbiamo parlato qui, Ndr.]. “Tra me e me (2024) e Tra sé e sé (2024) paiono dunque descrivere uno scarto lieve, dell’ordine del refolo che fa vibrare l’aria, ossia la materia, i materiali, i colori, le proporzioni, gli ingombri, ma non i principi che regolano l’universo dell’artista. Un mondo di forme amiche, frutto di una visione rigorosa, che vede nel respiro di tutte le cose la loro norma più profonda.
November 11, 2024