Magnus Frederik Clausen: dipingere, con il passare del te
Dipingendo il tempo Magnus Frederik Clausen suggerisce processioni di momenti memorabili, nel corso di una giornata ordinaria.
La prima volta in bicicletta senza le rotelle, la prima passeggiata verso la scuola senza nessuno che ci accompagni, la prima guida in auto, il primo bacio, la prima perdita di una persona amata. Degli appuntamenti al buio con il destino. Nessuno sa quando si presenteranno, ma a un certo punto arrivano. Un momento casuale acquista un nuovo significato e celebra un nuovo ricordo. Nessuno avrebbe potuto prevedere quando sarebbe arrivato il momento, eppure ecco che è successo –– fino a quando qualcuno se ne ricorderà.
Tra il 2020 e il 2021, Magnus Frederik Clausen ha insegnato al figlio maggiore a leggere l’orologio. Grazie a questa circostanza un po’ casuale, un po’ prevedibile dell’essere genitore, l’artista ha iniziato a riflettere sulla traduzione e sull’oscillazione da un sistema di codici a un altro. In particolare, Clausen ha iniziato a passare da un sistema analogico a uno digitale e viceversa, sviluppando una serie di dipinti raffiguranti orologi che ha continuato a indagare fino a oggi, esplorandone le molteplici implicazioni.
Nel commissionare la produzione degli orologi a degli assistenti, Magnus Frederik Clausen agisce come un narratore che stende il canovaccio di una storia. Prendendo in prestito alcune definizioni dalla narratologia; potremmo dire che la “storia” coincide con la trama che l’artista delinea e poi affida ai suoi collaboratori; il “racconto” coincide con la loro esecuzione, e la mostra è la “narrazione” che risulta dall’intreccio di questi due momenti, come medium in sé. Da questo protocollo nasce la serie degli orologi, che ha avviato una riflessione più ampia sulla natura dell’autorialità e del compimento dell’opera.
5.05, 7.00, 11.00 (gli squallidi quadranti di alcuni orologi a muro mi ricordano gli infiniti giorni di scuola passati a fissare l’ora), 10.35, 8.00 (è mattina o pomeriggio?). Queste combinazioni non recano traccia di una ricorrenza, di un anniversario o di un significato, al pari di qualsiasi altro momento nello svolgersi del quotidiano. Se si riferiscono a qualcosa di speciale devono essersene dimenticati, o ce ne siamo dimenticati noi. Le opere acquistano un significato e una concretezza per il solo fatto di essere o, meglio, di essere “narrate” su regia dell’artista. Formandosi in una catena di relazioni, invece che in una narrazione a circuito chiuso, il procedimento rivela una ricerca sui meccanismi che regolano la costruzione dell’opera. L’atto artistico si configura come l’attesa di un racconto.
Colori, si intuisce, e mani, e stili diversi distinguono queste pitture. È un conto alla rovescia, una sfilata di momenti memorabili, o la registrazione perduta di tutte le volte che ci è capitato di chiedere che ora fosse, in un momento qualsiasi di una giornata qualunque?
Che cos’è l’arte? Perché arte? Credo che il tentativo di Magnus Frederik Clausen di svelare il funzionamento di queste opere sia uno dei molteplici e possibili modi di offrire delle risposte a queste domande aperte. Così facendo, Clausen svela il lavoro, le economie relazionali, e le strutture di potere nascoste in questi dipinti. La struttura di una nuova opera sta nell’atto di progettarla, o di raccontarla.
Approfondendo la pratica di Magnus Frederik Clausen, mi è venuta in mente una fondamentale opera postmoderna italiana del Novecento. Nel 1972, lo scrittore italiano Italo Calvino scrisse un romanzo breve, Le città invisibili, che descrive i dialoghi immaginari tra il viaggiatore veneziano Marco Polo e l’imperatore mongolo Kublai Khan. Nella richiesta ossessiva rivolta a Marco Polo dal Khan di raccontare il suo regno attraverso il resoconto dei suoi viaggi, il romanzo è un’opera articolata, un edificio intricato che riflette le diversioni e i cunicoli intrinseci al narrare. Credo che il desiderio impossibile del Khan di possedere il suo impero risuoni con la necessità di Clausen di esaurire le alchimie, le deleghe e le procure che accompagnano il processo artistico.
L’opera, proprio come la missione di Polo, si compie solo nell’impossibile ricerca di un’affermazione conclusiva, o nella narrazione, forse reale, forse fittizia, dei suoi viaggi attraverso l’impero. Nel frattempo, l’orologio ha battuto ancora un altro colpo.
November 20, 2024