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Gökhun Baltacı: pagina dopo pagina dopo pagina…

Stefano Pirovano

Le immagini di Gökhun Baltacı si parlano tra loro, generando un racconto, senza che il racconto esista davvero.

Gökhun Baltacı, Gökhun Baltacı, Gökhun Baltacı. Se scandito tre volte con voce ferma suona come una formula magica, per schiudere la porta di un mondo immaginario, o per ottenere dal genio della lampada il compimento di certi inconfessabili segreti. Invece si tratta del nome di un artista turco, che ha fatto dei pastelli a cera la sua virtù, per raccontare le pagine mai scritte del proprio romanzo interiore. Anche questa è magia. Già, perché la prima cosa che si nota avendo l’opportunità di vedere una mostra di Gökhun Baltacı, intendo un gruppo di sue opere eseguite ed esposte con coerenza, è che le immagini si parlano tra loro generando l’idea di un racconto, senza però che il racconto esista davvero. Lo stesso tavolino compare più volte, come la musicassetta che ci sta sopra; il giardino che fa da sfondo a un ritratto è protagonista nell’opera successiva; i personaggi dialogano tra loro da una stanza all’altra, racchiusi nel perimetro generalmente orizzontale, e dunque cinematografico, del foglio di carta su cui stanno. 

Gökhun Baltacı, Untitled, 2024, oil pastel on paper. Courtesy of the artist, kaufmann repetto Milan / New York and Galeri Nev, Ankara.

“Un cavallo corre, un pesce nuota, io dipingo” dice Gökhun Baltacı quando lo incontro e gli chiedo il motivo di quel che ho visto. Qualcuno aggiunge che Gökhun dipinge da quando andava all’asilo, e ha continuato a dipingere forse anche per merito di un’attenta maestra che, notando un senso per il colore fuori dall’ordinario, un giorno ha preso in disparte la mamma del bimbo e gli ha affidato la sua profezia. Se un giorno Gökhun le dicesse che vuole diventare un artista, signora, non lo ostacoli.

Gökhun Baltacı è cresciuto ad Ankara, abitando la stessa casa dov’è nato fino a quando, lo scorso anno, si è trasferito a Parigi, per risiedere alla Cité internationale des arts. La coerenza tra i suoi dipinti e la personalità che riesce a conferire agli oggetti sulla scena forse dipende anche da questo. Il tavolo, il pacchetto di sigarette, il pettine, il flauto, la castagna, le strisce di cocaina stese sulla monografia di Soutine. Sono presenze simboliche, non aneddoti. Il colore di Gökhun non è pensato per descrivere, ma per raccontare. Così il valore dell’oggetto assume una natura simile a quella degli oggetti intorno ai quali Orhan Pamuk ha costruito il suo Museo dell’Innocenza (qui il link alla nostra intervista con lo scrittore). Il clima cospiratorio è, invece, lo stesso che aleggia in Il mio nome è rosso. 

Gökhun Baltacı, Untitled, 2024, oil pastel on paper. Courtesy of the artist, kaufmann repetto Milan / New York and Galeri Nev, Ankara.

E Infatti, quando chiedo a Gökhun Baltacı cosa egli stia in realtà dipingendo, al di là delle singole scene, la sua risposta è perfino allarmante: “in realtà dipingono le manovre che ogni giorno devo fare per sfuggire al senso di colpevolezza con cui mi alzo ogni mattina”. E cita il gigante della colpevolezza che a un certo punto compare in Spirited Away di Miyazaki. “Vedo il gigante della colpevolezza, e cerco di sfuggirgli”. Per farlo lavora tutto il giorno nel suo studio. Si è alzato presto, ha preso il caffè, e poi sì emesso al lavoro, con ostinata diligenza, per otto o nove ore. A un certo punto posa i pastelli, si lava le mani, che ha spesso usato per stendere il colore o compattarlo, ed è uscito per andare a incontrare gli amici. “Solo i diavoli lavorano di notte”. 

Gökhun Baltacı, Untitled, 2021, pastel on paper, cm. 100 x 70.

Gli amici sono quelli che poi compariranno nei suoi dipinti, come interpreti di quella narrazione non precisata di cui dicevamo. La loro biografia non importa e, dopotutto, non importa nemmeno che siano amici. Dopotutto nell’universo semantico di Gökhun Baltacı la presenza più importante è quella di Gökhun Baltacı stesso. Più che per la straordinaria compattezza della materia pittorica, una qualità che sarebbe impossibile ottenere con il pennello, le opere di Gökhun sono fotografiche proprio per questo motivo. Più che la scena, il soggetto, o l’inquadratura in sé, è la motivazione a farla da protagonista, ossia l’enigma che l’immagine pone, con i suoi indizi e i suoi gli omissis. Così l’autore ci prende per mano, accendendo la nostra curiosità, una pagina dopo l’altra.

February 11, 2025