Nandi Loaf: esperienze, partecipazioni, feticci
Nandi Loaf attira i frequentatori di mostre in un’arena di partecipazione, che diventa una variabile carica, a favore o contro.
Nandi Loaf è un progetto di posizionamento. La sua pratica ruota attorno alla collocazione di una o più variabili all’interno di un luogo predisposto alla sovra-spiegazione artistica e all’iper-commodificazione. Loaf immerge i suoi spettatori in una rete di variabili, creando un’esperienza coinvolgente e stimolante. Questa pratica non è composta da fiumi che si riversano nell’oceano; è l’oceano stesso. Ciò detto, non ci sono tracce di risoluzioni concrete, né luoghi comuni inebrianti. Nulla è fisso. Piuttosto, i significanti aperti rimangono in sospeso, agitati dall’input dello spettatore. Loaf, interessata alle strutture superiori, attira i frequentatori di mostre in un’arena di partecipazione, che diventa una variabile carica con cui l’artista può lavorare, e contro cui può lottare.
L’artista è una sorta di tecnico di scena, la cui presenza si fa scarsa una volta che il sipario si alza e l’azione inizia. Il progetto consiste nel riunire forme e idee estranee, forse casuali, in un paesaggio tendenzialmente omogeneo. Così lo spettatore-performer confonde la disperazione con l’euforia, sottomettendosi a un baccanale di emozioni deformate. Nandi Loaf osserva la partecipazione che si ripiega su se stessa, ancora e ancora, fino a quando il nucleo originale diventa irriconoscibile e si avvicina al punto di collasso entropico.

King’s Leap è la galleria principale di Loaf, quella dove l’artista esprime al megliuo la sua creatività. Il proprietario, Alec Petty, si occupa costantemente del lavoro dell’artista e, in quanto tale, diventa complice della performance che lei progetta. Petty deve costantemente osservare e negoziare il proprio ruolo, spiegando che “in ogni circostanza in cui collaboriamo, Nandi trova un nuovo modo per me di attivare il suo lavoro”. E continua: ‘Poiché il suo lavoro si concentra spesso sul confrontarsi con il significato di essere un artista che si occupa della sporcizia dell’industria, l’estetica della sua pratica diventa il vero lavoro in galleria.’ Petty non diventa perciò autore, ma le mostre non funzionerebbero allo stesso modo senza la sua posizione all’interno della matrice.
La mostra personale più recente di Nandi Loaf, da King’s Leap, è stata inaugurata nel settembre del 2024. Intitolato ‘Ever’, lo spettacolo ha scatenato il caratteristico teatro dell’assurdità dell’artista. Secondo Petty “è stato concepito prestando attenzione che tutti i ritmi narrativi colpissero quando dovevano colpire”. Il piano terra, completamente trasformato, era composto da finestre satinate e luci a soffitto ricoperte di vinile, per creare l’atmosfera di un nightclub fetish. Nella serata di apertura, un gruppo di cameriere ha distribuito lambrusco, shot di Fireball e biscotti con la scritta “WE LOVE YOU NANDI”, mentre gli ospiti, ammessi solo su invito, entravano e attraversavano il set. Un artista della galleria era di guardia alla porta, seguendo le istruzioni di Loaf di far entrare solo cinque persone alla volta. Attraversando una porta e entrando nella stanza sul retro, si poteva trovare un piccolo beccuccio che perdeva un fluido rosso, come se stesse lentamente sanguinando.

Durante l’evento gli ospiti dovevano firmare i giocattoli Funko POP!, che fungevano poi da libro dei visitatori. Questa mossa aveva lo scopo di attivare i giocattoli, che l’artista avrebbe poi sigillato in scatole acriliche e collocato su una serie di piedistalli vuoti installati al piano di sotto. Scendendo nel seminterrato, un’altra cameriera offriva altri shot di Fireball mentre le persone esploravano i lotti temporaneamente vuoti. Dopo l’apertura, questo spazio sarebbe stato chiuso a tutti, tranne che ai “professionisti del mondo dell’arte”, ovvero a coloro che si identificavano come collezionisti, curatori o scrittori.

Gli oggetti Funko POP!, attentamente selezionati da Nandi Loaf, risuonano grazie alla loro chiara associazione con l’oggetto d’arte: collezionabili, scambiabili, feticizzabili. Come spiega Petty, l’artista riconosce che, nonostante si trovi all’inferno, deve lavorare entro i limiti delle circostanze. E attraverso questo processo, può trovare soluzioni innovative ai problemi estetici. I giocattoli sono la risposta perfetta a queste condizioni. Petty continua, ‘questi beni commerciali che sfuggono a relazioni obiettive con l’estetica e il valore’, si riferiscono direttamente alla ‘base materiale condizionale dell’opera, che è il mercato sovra-saturato, ossia il destino del nostro momento’.
Per una precedente mostra al Profil di Parigi, le macchinazioni di Loaf sono state organizzate con parsimonia. Due opere murali si aggrappavano agli angoli della stanza, mostrando lingue alternative nel caratteristico Helvetica in grassetto dell’artista. Quello stampato in vinile recita ‘je ne sais pas’ (‘non lo so’ in italiano). Un altro, dipinto a mano, dice ‘non c’è spettacolo’ in giapponese, ma potrebbe essere tradotto come ‘non c’è mostra’, ‘la mostra è finita’ o qualche altra variazione a seconda della macchina o dello spettatore. Il testo è accompagnato da Jack Skellington in abito da Babbo Natale, incorporato senza alcuna pretesa di significato. I visitatori potevano anche sperimentare un brano audio pieno zeppo di numeri e sciocchezze, convertito da testo a voce. Tutte queste mosse hanno ridotto lo spazio a pura esperienza, partecipazione e, ancora una volta, feticizzazione.

Da Sebastian Gladstone a Los Angeles, Nandi Loaf ha orchestrato un altro campo di gioco ridotto all’essenziale, che ruotava attorno a un’installazione di fotografie montate su alluminio. La presentazione, nota come ‘Lot 99’, ricorda la serie ‘Cluster’ di Rosemarie Trockel, composta da immagini organizzate in sistemi di visualizzazione rettangolari. In un saggio pubblica nel catalogo della mostra dell’artista al Moderna Museet Malmö, Jo Applin collega questo lavoro al resto della pratica artistica di Trockel, affermando che essa ‘incarna questa matrice concettuale-materiale’ e ‘produce non una voce autoriale ma un gioco polivocale, una cacofonia, in cui possiamo sintonizzarci, ma anche fuori, come se fosse una frequenza radio difficile da trovare’. Applin si spinge oltre, scrivendo: ‘La pura eccentricità e disconnessione delle fotografie nei suoi gruppi di cluster costringe gli spettatori a cercare linee di collegamento che attraversano i loro soggetti disparati, un impulso perverso per imporre ordine al disordine, per vedere la chiusura dell’aspetto aperto della serie.’

A questo punto, certi nodi concettuali dovrebbero suonare familiari, vibrando all’unisono con quelli del progetto di Loaf e allineandosi nelle presentazioni condivise di prospettive narrative non fisse e di elisioni di risoluzione. Il loro coordinamento delle immagini è congruo, ma posizionato in diversi terreni concettuali, catalogando materiali da qualsiasi luogo e depositandoli in ambienti disparati. Il paesaggio in cui opera Nandi Loaf, tuttavia, parla costantemente e direttamente al complesso industriale dell’arte. Petty sostiene che, guidandoti attraverso una situazione molto intensa, elaborata e prolungata, Loaf sottolinea che la vera macchina della pratica è la messa in scena, per la nostra esperienza di come funziona una mostra.
February 26, 2025